ABCvino – Ogni vino ha il suo tappo

di Fabio Ciarla

 

“Baciò un nano e disse. Sa di tappo!” questa frase, associata a due labbra carnose, campeggiava su una maglietta che ho indossato per anni. Oggi mi serve per introdurre un argomento del vino di quelli difficili e spesso affollato di luoghi comuni, ovvero le “chiusure” e i loro difetti.

 

Quanti tappi? 

Per il sughero tutti conoscono il sentore, fastidioso al naso e legato alla presenza di un fungo, dovuto al TCA (Tricloroanisolo), ma spesso se ne sottovalutano i problemi dovuti all’elasticità o alla scarsa/eccessiva permeabilità di altri materiali.

Tecnicamente parliamo dell’elemento chiamato a proteggere il vino chiuso in bottiglia dal contatto con l’esterno, ma le nuove tecnologie e le sperimentazioni hanno acceso una luce nuova sulle sue capacità e così diverse soluzioni sono diventate accettabili e anzi auspicabili.

In pratica è cambiato del tutto l’approccio: non esiste più una graduatoria tesa a scegliere il miglior tappo per tutti i vini ma esiste la chiusura migliore per quel determinato vino. La filosofia produttiva, insieme a quella commerciale, si sono inserite con forza nel dibattito, cancellando in pochi anni convinzioni e convenzioni.

 

Tappi in sughero

Il tappo da vino per eccellenza alle nostre latitudini, dall’enologia moderna ad oggi, è quello in sughero. Tutti lo conoscono ma pochi lo sanno riconoscere, nel senso che per “tappo di sughero” si dovrebbe intendere esclusivamente – a mio modo di vedere – il monopezzo. Si tratta di un singolo pezzo di sughero estratto dalla corteccia di una varietà di quercia prodotta in particolare nella penisola Iberica e nei Paesi del Mediterraneo (in Italia soprattutto in Sardegna), è il prodotto più costoso e, se di qualità, offre le maggiori garanzie della categoria.

 

Esistono poi i tappi che io definisco “a base sughero”, da quelli tecnici a quelli agglomerati. Parliamo cioè di unioni di parti di sughero (ad esempio tutti quelli a fungo che chiudono i vini spumanti) o di agglomerazione, tramite colle di varie tipo, di polvere di sughero. Definizioni che, meglio ribadirlo, non hanno a che fare comunque con la qualità del prodotto. Il tappo di sughero finora è l’unico che può vantare sperimentazioni su larga scala che vanno ben oltre i 30 anni, ecco perché continua ad essere l’unica soluzione per i vini di più alta fascia. Probabilmente quando anche i concorrenti (che esamineremo più avanti) potranno contare su dati certi e di uguale longevità, allora si rimetterà tutto in discussione.

 

Difetti e pregi

Il suo difetto principale è appunto il TCA, che una lavorazione di altissima qualità relega sotto il 3% del totale, ma possono esserci anche problemi dovuti ad un eccessivo passaggio di ossigeno. Deve essere sempre umido (per questo le bottiglie non si conservano in piedi!) e mantenuto entro certe temperature per poter dare il meglio. È molto delicato quindi e anche per questo, negli anni, esigenze commerciali hanno spinto verso il cambiamento. A maggior ragione se pensiamo che, essendo un prodotto naturale, di per sé è assolutamente non uniforme.

 

Non esistono quindi due tappi di sughero completamente uguali, il che a volte può avere conseguenze sullo stesso vino in due bottiglie della stessa partita. Le prime soluzioni sono arrivate, anche per motivi produttivi, con lavorazioni ulteriori del sughero tramite i tappi tecnici e quelli agglomerati. Di solito questi tappi subiscono trattamenti tesi a eliminare il temuto TCA e vengono poi assemblati con colle di diverso tipo, ovviamente non pericolose per il contatto con gli alimenti. Ce ne sono di vario tipo e di differente qualità, come per il monopezzo dove conta anche l’età della pianta e le modalità di coltivazione, e sono una delle alternative preferite al monopezzo perché conservano elementi culturali come l’aspetto (tutti, compresa la legislazione, tendiamo a definirli “di sughero”) e la modalità estrattiva (con il cavatappi).

 

Tappi di vetro

So che può sembrare poco ma mi fermo qui, e passo ad elencare due altre possibili chiusure partendo dalla nuovissima, e molto chic, chiusura “in vetro” e arrivando a quella considerata bruttissima ma decisamente efficace del tappo a corona. I tappi in vetro, a parte l’elevato costo dell’operazione che coinvolge chi li sceglie, per chiudere ermeticamente sfruttano in realtà un anello, di solito in materiale sintetico, che li fa aderire al collo della bottiglia. Sono molto belli a vedersi, personalizzabili quasi come gioielli, ma dal punto di vista tecnico sono poco apprezzati e, anche per questo, di scarso utilizzo se non per alcune piccole nicchie o su singoli vini progettati come “diversi” dalle stesse cantine.

 

Tappi a corona

Il tappo a corona, quello delle birre per capirci, ha un suo ruolo fondamentale nel vino che si perde nella notte dei tempi perché è quello che chiude le bottiglie dei vini spumanti prodotti con metodo classico durante la rifermentazione in bottiglia. Parliamo di periodi che possono raggiungere anche i dieci anni e che, quindi, ne testimoniano le alte prestazioni. Finora non ha mai sfondato come chiusura per il prodotto finale, sicuramente l’estetica e la cultura della stappatura sono dei freni alla sua diffusione ma da più parti lo si sta rivalutando.

Che fatica sintetizzare argomenti così complessi! Un’attività stressante che lascia per strada tante altre argomentazioni, ma che spero sia servita almeno come infarinatura generale, prima di passare, nella prossima puntata, al mondo dei tappi sintetici e di quelli a vite (o screwcap).

Fabio Ciarla

Enoagricola Blog