
di Vittorio Ferla
Ho visitato la cantina di Andrea Franchetti alla fine del 2015 (leggete il racconto della visita qui). In quella occasione ho provato quattro vini.
Chardonnay
È un prodotto del 2014 (nella foto, l’unica bottiglia senza etichetta) che fa 12 mesi di affinamento tra botti di legno e di cemento. Vitigno internazionale, ma impiantato nella terra lavica di contrada Guardiola, a 1000 metri di altezza, lavorato per sprigionare le caratteristiche di questo territorio. Qui la resa per pianta è minima e il raccolto si fa a fine settembre.
Qualcuno si chiederà (legittimamente): che senso ha portare lo Chardonnay sull’Etna? Perché non puntare sui vitigni autoctoni invece di riprodurre una ulteriore variazione di un vitigno più che inflazionato? Confesso: mi sono posto le stesse domande. Alcune risposte si sono manifestate subito all’assaggio. Altre sono ritornate nei giorni successivi, riemerse dalla memoria.
Questo Chardonnay pare (ed è) studiato a tavolino, con un obiettivo enologico chiaro: la sicurezza che viene da uve versatili, il rifiuto della tradizione a partire dalle scontate note di banana, la ricerca dell’eccellenza e del rigore, la scommessa sulle variabili che possono derivare dal terroir locale. L’attento lavoro preparatorio ha generato un vino dalla mineralità pungente e dalla struttura importante, un vino complesso che sviluppa lunghezza e profondità. Il bouquet di profumi è un mix di fiori bianchi, di erba, di agrumi e pesche. Vibrante al palato, si apprezza per il sale e per una bella personalità, esplicitamente etnea.
Passorosso
Qui c’è il Nerello Mascalese delle contrade di Arcuria, Malpasso, Favazza, Guardiola e Feudo di Mezzo. Annata 2013, è considerato il Nerello di base della casa, da gustare prima di passare ai singoli cru. E’ pungente al palato e forte nel corpo come ti aspetti da un giovane vino costruito con uve allevate sulle zone più alte dell’Etna e che hanno tra i 70 e i 100 anni di età.
Profumo intenso di visciola macerata, tracce di scorza d’arancia, retrogusto abbastanza alcolico, questo vino può sembrare un incrocio nobile tra Pinot nero e Nebbiolo, ma si presenta più fine e delicato, con maggiore acidità e freschezza. Il Passorosso è asciutto e strutturato, assai fedele alle sue origini etnee. Per le caratteristiche evidenziate e contro ogni ovvietà può essere senza dubbio associato anche ai piatti di pesce tipici della cucina di queste coste ioniche.
Guardiola Cru
Il Cru di contrada Guardiola viene da una vecchia proprietà sita tra gli 880 e i 1000 metri la dove si è asciugata la colata lavica del 1947. Le piante hanno tra gli 80 e i 100 anni di età e la vendemmia si fa alla fine di ottobre. Il vino è invecchiato per 18 mesi in botti grandi di rovere.
Rispetto ai prodotti di altre contrade è più potente e caldo, offre una maggiore complessità di profumi, soprattutto di frutti rossi e agrumi, che lo rende sontuoso al naso. E’ un vino molto solido con grande corpo, tanta acidità, grande mordente e che pure conserva una piacevole armonia. Sembra di cogliere una grana scolpita e rifinita come quella della pietra lavica quando è lavorata dalle mani di un sapiente artigiano.
Questo prodotto eccellente dimostra che ormai l’imprenditore “straniero” ha preso le misure del vitigno autoctono ed è capace di proporre soluzioni sempre più raffinate.
Franchetti
Si finisce in bellezza con un prodotto che Wine Advocate – una delle riviste internazionali di settore più prestigiose e autorevoli – colloca nella prima fila dei migliori vini siciliani.
Si tratta di un taglio bordolese composto per il 70 per cento da Petit Verdot e per il 30 per cento da Cesanese d’Affile. Ancora una volta ci si potrebbe chiedere il perché dell’impianto di un vitigno alloctono. Ma come succede nelle competizioni sportive la risposta potrebbe essere tanto semplice quanto cinica: è il risultato quello che conta…
Con 15,5% di tasso alcolico è certamente un vino caldo, ma quasi non si sente grazie alla sua estrema eleganza. Un vino di grande complessità, molto profondo e vellutato. L’acidità spiccata invita ad altri sorsi. I tannini più intensi, ma raffinati danno un tono morbido agli aromi di frutti neri pestati e di ciliegia. Si possono cogliere sentori di moka e cioccolato, di liquirizia e di affumicato in un finale assai denso.
Potremmo definirlo un “prodotto di laboratorio” perché viene da piante estranee alla storia di questo terroir. Ma che laboratorio! L’”alchimista” della casa ha realizzato un vino parecchio potente, tanto scuro da dirsi impenetrabile, concentratissimo. In tutti i sensi, qui siamo sulle stelle.