Palamà: vini schietti dal cuore del Salento

di Vittorio Ferla

La cantina di Cosimo Palamà si trova proprio dentro Cutrofiano, un paesino di nemmeno 10mila abitanti, situato nel Salento centro-meridionale. Sebbene nel paese non si parli più la lingua grika da decenni, Cutrofiano (Kutrufiàna in griko) fa parte dell’Unione dei comuni della Grecìa Salentina. All’inizio del XIX secolo, insieme agli attuali comuni della Grecìa Salentina, formava parte dei Decatría Choría (τα Δεκατρία Χωρία), i tredici paesi di Terra d’Otranto che conservavano la lingua e le tradizioni greche.

Il paese delle ceramiche

L’origine etimologica del nome del paese potrebbe risalire al nome di persona greco-latino: Oecotrophius. C’è un’altra versione, però: il nome potrebbe derivare  dall’antica attività di produrre oggetti di terracotta, i cutrubbi, tipici recipienti di argilla (dal greco kutra, che vuol dire vaso), da cui Cutrubbiano, e poi Cutrofiano. In effetti, ancora oggi Cutrofiano è nota come centro di produzione di ceramiche artistiche.

Un tempo l’argilla gialla locale era estratta, purificata, impastata, lavorata, essiccata, cotta e smaltata completamente a mano. Solo cinquanta anni fa, quando ancora non esisteva la plastica, la terracotta era utilizzata per tutti gli usi quotidiani come materia di minor pregio rispetto al vetro o alle leghe metalliche con produzione di boccali, bicchieri, bacinelle per lavabo, vasi da notte, ecc. I manufatti erano molto img_8192semplici e di uso quotidiano: stoviglie in terracotta smaltata, giare per la conservazione dell’olio, capase per mantenere i legumi o altre derrate alimentari.

Oggi le macchine e i forni sono più sofisticati e si sono sviluppate delle scuole di decorazione che negli anni settanta-ottanta hanno rivitalizzato e professionalizzato questa attività fino alla produzione di oggetti d’arte.

Il vino quotidiano per una civiltà contadina
Il viaggiatore che capita oggi da queste parti, però, non potrebbe più accontentarsi di portar via come souvenir un piatto, un fischietto o un salvadanaio di ceramica. La visita all’enoteca dei Palamà è diventata d’obbligo: impossibile andar via da Cutrofiano senza un cartone di vini genuini di territorio.

L’azienda nasce negli anni ’60 per iniziativa di Michele Arcangelo Palamà, padre di Cosimo e nonno di Michele. E’ quest’ultimo, 24 anni appena, da poco laureato enologo a Piacenza, che ci accoglie in azienda e ci racconta la passione della sua famiglia per il vino. “Qui ci sono le ‘buttazze’, le botticelle da 70 litri per la vendita dello sfuso. Mio nonno era viticultore e produttore di vino. Girava con calesse e cavallo o con il furgoncino per portare il vino alle osterie del Salento dal ’36, l’anno in cui img_8191
avvia l’attività, fino agli anni ’70, gli anni in cui cominciamo a imbottigliare”. Nei palmenti della provincia si usavano spesso tinelle, ‘butticeddre’, ‘butti’ e ‘buttuni’: l’esportazione del vino in altre parti dell’Italia avveniva con questi contenitori. La clientela era costituita da grandi proprietari e produttori di vino ma anche da singoli contadini: per questi ultimi il vino era un alimento abituale della dieta quotidiana.

Gli anni del nonno Arcangelo sono quelli di una civiltà autentica, ancora esclusivamente e genuinamente contadina. La maggior parte dei braccianti lavoravano ‘de sule an sule’, cioè a giornata. Le donne partecipavano ai lavori dei campi nelle giornate di vendemmia e raccolta delle olive. La maggior parte dei lavori erano svolti manualmente. L’alimentazione quotidiana era modesta, fatta soprattutto da minestre di legumi e cereali.

Dagli anni Settanta, con l’elettrificazione delle campagne e con il completamento della rete idrica e fognaria, le attività agricole e zootecniche vengono potenziate. Anche l’azienda vitivinicola dei Palamà cambia passo e comincia a imbottigliare.

Da Arcangelo a Cosimo: qualità nella tradizione

img_8190Il primo Metiusco Rosso è del 1996 – racconta Michele – è un blend di Negroamaro, Primitivo e Malvasia che il nonno faceva già dagli anni ’30, ma papà decise di imbottigliarlo. Con riscontri ottimi. E poi mio nonno era un fanatico di Malvasia nera in purezza. Forse il suo vino preferito. Che beveva rigorosamente freddo, anche in abbinamento con il pesce. Proprio per rinnovare questa tradizione noi oggi facciamo il vino ‘D’Arcangelo’ con le caratteristiche che piacevano a mio nonno”. E continua: “A Lecce il bianco è il rosato! Per me il bianco potrebbe anche non esistere! – scherza Michele, ricordando anche il bianco dell’azienda fatto con Verdeca e Malvasia bianca – Ovviamente per i rosati usiamo solo il Negroamaro, praticamente è una religione! Usiamo poco le botti: soltanto per il Mavro un Negroamaro in purezza che fa barrique e per il 75 vendemmie che fa un breve passaggio in legno. Vinifichiamo anche un po’ di aleatico, altro vitigno di questo territorio. Stiamo sotto i cento punti di solfiti: le quote di anidride solforosa nei nostri vini sono estremamente basse”.

Si capisce bene la filosofia dell’azienda. Investimento esclusivo sugli autoctoni del Salento. Culto della tradizione territoriale e familiare. Predilezione per vini autentici e schietti, senza artificiali sofisticazioni.

La cantina dei Palamà – ecosostenibile grazie al fotovoltaico – non ha forse il fascino suggestivo di alcuni antichi palmenti della zona, ma si respira in ogni angolo la semplicità del lavoro quotidiano, l’amore per la storia, la sincerità della passione. Le vasche di cemento sono oggi vetrificate. “Erano vasche perfette dal punto di vista microbiologico. C’era il potassio che dava stabilizzazione tartarica. La img_8226
funzione di controllo termico era ottima”, spiega Michele. “Ora è tutto acciaio, quindi abbiamo piazzato delle vasche sotterranee. Le vinificazioni si svolgono nei fermentini, tini di acciaio tutti termocondizionati. Lavoriamo dei rossi a lungo stoccaggio: almeno un anno. C’è anche una piccola barricaia, ma noi usiamo il legno molto poco, perché preferiamo soprattutto vini giovani”.

Il Salento genuino premiato nel mondo

Vini giovani, dunque. E’ la linea dei Palamà. Il vino giovane è un vino schietto e spavaldo. Non va contemplato come una pietra preziosa, ma va bevuto con la stessa semplicità che usiamo per chiacchierare con un amico. Come Gino, l’artigiano che prepara tutti i laccetti della ceralacca (opera, questa, della zia) delle quattro etichette della linea dei Metiusco, termine salentino che significa “mi inebrio”.

Attenzione, però. Sarebbe un errore confondere la conduzione familiare con l’approssimazione o la genuinità con la scarsa qualità. I vini dei Palamà (leggi la nostra degustazione) sono, infatti, ottimi vini che cominciano a mietere riconoscimenti in Italia e all’estero. Per esempio, i tre bicchieri per il 75 Vendemmie 2011. Oppure, le medaglie d’oro al Concorso Mondiale di Bruxelles per il Metiusco Rosato o quella d’argento per il Mavro. Un’azienda che con i suoi 30 ettari di vigneti (“di cui 12 di proprietà e gli altri in affitto che producono secondo la nostra richiesta”, spiega Michele), le 16 etichette per img_8195250mila bottiglie può esprimere una voce autonoma e interessante nel panorama vitivinicolo del Salento. “L’80% della produzione – precisa Michele – è rivolta all’esportazione. In Europa, siamo presenti in Svizzera, Germania, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Regno Unito, Danimarca e Svezia. Negli USA con quantitativi importanti e vini più semplici. Cominciamo ad affacciarci anche in Australia, Cina e Giappone. Il 10% del prodotto è distribuito in Italia. L’altro 10% nella nostra enoteca, qui a Cutrofiano”.

Michele Palamà è un fiume in piena, trabocca entusiasmo e passione. Cosimo, il papà, ogni tanto fa capolino e se lo guarda con soddisfazione. “Prima, abitavo sulla cantina – dice Michele – e ci passavo per forza. E’ un mestiere che ti entra dentro: non c’è cosa più bella che mettere le mani in pasta”. Grazie per la visita, Michele. E continua così.