Fontana Candida: l’azienda che è sinonimo di Frascati

 

di Vittorio Ferla

“Il 1958 è l’anno in cui si comincia a imbottigliare. Prima l’azienda produceva uve e le vendeva. Il proprietario era Renato Sacerdoti, molto noto per essere stato il presidente della squadra di calcio della Roma per 13 anni. E’ stata una contessa di origine piemontese, Giovanna Orta di Torre Uzzone, a disegnare e brevettare – inaugurando l’imbottigliamento di un vino che prima si vendeva solo sfuso – la speciale bottiglia in vetro chiaro, bassa e panciuta, che diventerà la ‘frascatana’. L’idea avrà successo: fu l’avvento della bottiglia a determinare la diffusione e la valorizzazione del ‘bianco dei Papi’ in Italia e nel mondo. Dopo un passaggio di proprietà ad una società svizzera negli anni ’70, il marchio entra a far parte del Gruppo Italiano Vini (GIV) che all’inizio degli anni ’80 comprende anche le aziende vitivinicole del Sud”. Cominciamo la visita a un marchio storico del vino del Lazio, Fontana Candida, con la guida di Luca Gariboldi, sommelier, che in azienda svolge il ruolo di responsabile per l’imbottigliamento, la programmazione e la produzione.

A Monte Porzio Catone un pezzo di storia

stemma-font-cand“GIV è il più grande gruppo italiano – spiega – e la sua filosofia è quella di lasciare indipendenza alle singole aziende della rete. Per esempio, valorizzando l’enologo che sta nel territorio e conosce bene le vigne. Ecco perché c’è un enologo in ogni cantina e non il fly winemaker. Il nostro enologo è Mauro Merz: segue il gruppo per il marketing e gli acquisti. GIV cercava uno che lavorasse qui e che conoscesse la zona: lui era la persona giusta. Negli ultimi 10 anni il Gruppo ha cercato di sviluppare lo scambio di conoscenze enologiche. C’è un coordinatore degli enologi dei vari territori. Si condividono le sperimentazioni e le conoscenze”.

Passeggiamo tra i viali della sede storica della cantina, sita sul poggio di Fontana Candida, a Monte Porzio Catone, in un casale sorto nell’area dove un tempo si innalzava un’imponente villa romana. Presso la villa arrivavano molte condutture d’acqua provenienti da Monte Porzio. La denominazione “Candida” probabilmente deriva da qui: una trasformazione del nome “Calida o Canicha”, ossia calda, o dal colore dell’acqua.

“La prima fase di lavorazione si svolge a Frascati dove arrivano circa 50 mila quintali di uva, conferiti da oltre 120 viticoltori. L’affinamento e l’imbottigliamento si svolgono qui, in questa tenuta che gode di 8 ettari complessivi, di cui 5 coltivati a vigneto”. Proprio all’ingresso del vigneto, molto ordinato e curato, c’è una sorta di ‘reperto’: una conocchia mantenuta così come si usava un tempo: “l’allevamento a conocchia, cioè realizzato con le canne, rappresenta un pezzo di storia importante. Era caratterizzato da tante piante per ettaro: tanta quantità, ma poca qualità. Negli anni bui fu sostituito dal tendone. Poi, l’orientamento moderno verso la qualità ha cambiato i metodi di allevamento: adesso è tutto guyot e cordone speronato con l’obiettivo di fare pochi grappoli”.

La via della qualità, dopo anni bui

Dopo anni bui in cui il Frascati è stato sinonimo di scarsa qualità, infatti, l’azienda sta cercando di risalire ula china. “La facilità di vendita ha portato ad inseguire le richieste al ribasso. Tanti produttori hanno puntato sulla bassa qualità e l’utente si è abituato. Inoltre, Roma è il più grande mercato del vino d’Italia, ma si chiede ogni tipo di vino da tutte le regioni d’Italia. Anche la ristorazione ha la sua responsabilità sui prezzi bassi. Il problema è che qui ci sono solo poche ‘mosche bianche’: non c’è ancora il ‘territorio’, capace di esprimere un insieme coerente, come componente importante dell’economia della zona. Siamo partiti in ritardo”.

E il ruolo di Fontana Candida? “La Malvasia di Candia e del Lazio, per noi, fanno parte di un progetto di qualità. La Malvasia di Candia è resistente e produttiva. In passato abbiamo rinunciato a qualcosa dal punto di vista qualitativo. La Malvasia del Lazio è necessaria per dare più personalità aromatica e per restare sull’autoctono. Compriamo uva dai fornitori della zona e chiediamo loro di abbandonare i vitigni di grande produttività come il Trebbiano toscano. Chiediamo ai vignaioli di andare su vitigni più nobili: sono il 70% del Frascati. Seguiamo i 400-500 ettari da noi controllati con l’aiuto di un agronomo sia con riguardo ai trattamenti che al controllo della qualità al momento del conferimento. Sappiamo che, coltivata nel modo giusto, la Malvasia di Candia può dare anche vini di qualità. D’altra parte, il Frascati nasce come vino di struttura e di qualità: il vino bianco accompagnava tutto il pasto e doveva essere di buona struttura”.

I due Cru

tizio-roscio“Il Frascati non è paragonabile al Sauvignon, allo Chardonnay o al Gewurtztraminer che hanno personalità spiccata. Il Frascati di bassa qualità – sottolinea Gariboldi – è un bianco anonimo: manteniamo sì la linea da supermercato, ma abbiamo anche prodotti di alta gamma che ricevono buone critiche”. Ecco, dunque, i cru di Fontana Candida, due bianchi di tutto rispetto, grazie ai quali l’azienda laziale sta cercando di ridare prestigio a un vino eccessivamente bistrattato in anni recenti.

“Il Santa Teresa – continua – è una eccellenza di questa cantina. Lo facciamo dagli anni ’83-’84: in quegli anni era già tra i migliori del Centro Italia, a dimostrazione del fatto che la ricerca della qualità in azienda c’è sempre stata. Le uve provengono tutte da un singolo vigneto di 13 ettari. E’ un cru realizzato con Malvasia di Candia (che dà livello alcolico, rotondità e morbidezza), Malvasia del Lazio e Greco (che serve per dare freschezza e acidità)”.

“L’altro cru è Luna Mater (leggi la nostra degustazione): una selezione da vigneti di Malvasia di Candia e del Lazio, Greco e Bombino con una età media di 50 anni. La fermentazione avviene in parte a contatto con le bucce in botti di acacia. Alla fine della fermentazione vengono aggiunti acini per estrarre più profumi e dare più personalità al vino. Dopo la vinificazione segue un periodo di affinamento di 12 mesi di cui almeno 4 in bottiglia, nelle antiche grotte di tufo della cantina con umidità e temperature costanti. E’ un bianco da invecchiamento: tutto il contrario dell’immagine del Frascati leggero e facile da bere. Ma molti esperti anziani ci hanno detto che il Frascati in origine era così! L’intento è proprio quello di ritornare ai livelli del Frascati tradizionale. Siamo orgogliosi di questo prodotto”.

Tra le vigne e la cantina

cantinaIl nostro ospite ci racconta poi il processo controllatissimo di imbottigliamento e ci mostra la suggestiva cantina sotterranea, con le sue nicchie piene di bottiglie a riposo: “per un certo periodo è stata solo un museo, poi è ritornata alla sua funzione di affinamento in grotta con il Luna Mater. La spiccata mineralità che origina dal terreno vulcanico tipico della zona permette al vino di conservarsi a lungo. Nelle più vecchie annate di Santa Teresa e Luna Mater la nota minerale è parecchio evidente”.

“L’utilizzo delle bottiglie non era contemplato nel commercio tradizionale di questo territorio. Il commercio locale era lo sfuso: si usavano botti, botticelle, fraschette. C’erano botti di legno di castagno da 10hl: erano solo contenitori. Lì si svolgevano sia la vinificazione che la vendita del vino. I ristoratori venivano e assaggiavano direttamente dalla botte e poi partivano le botticelle per i ristoranti”.

Nel corso della degustazione incontriamo Mauro Merz, l’enologo e direttore della cantina. Una vicenda originale, la sua: originario di Trento, trova a Roma, allo stesso tempo, la sua dimensione professionale e la compagna di vita: “mia moglie è di qui”, dice. Compie gli studi di enologia all’Istituto Agrario di San Michele all’Adige. La prima importante esperienza la fa presso la casa spumantistica Cesarini Sforza di Trento. Poi un passaggio fondamentale: l’impegno con l’azienda della Principessa Pallavicini di Frascati arricchisce il suo bagaglio tecnico e gli permette di conoscere il territorio come un ‘indigeno’. Così, dopo un breve passaggio in Cavit, ritorna nel Lazio a Fontana Candida, con i ‘galloni’ di conoscitore esperto di Frascati, proprio lui che viene dal Trentino.

Risollevare l’immagine del Frascati

enologo-font-cand“Da 12milioni di bottiglie siamo passati a 3milioni 700mila: il Frascati – ammette Merz – ha fatto la sua epoca, è evidente. Ma possiamo lavorare bene. Il vino è un prodotto culturale, non una bevanda anonima senza storia e territorio. Bisogna recuperare la tipicità del Frascati delle origini, della sua base ampelografica e dei vitigni della sua tradizione. Da una rigorosa selezione delle uve e da un attento processo di vinificazione possono nascere vini che siano tipica espressione del loro territorio. Abbiamo bisogno di massa critica. C’è un problema educativo e culturale nella ristorazione e nell’utenza. Il Frascati è stato spremuto in ogni modo. Negli anni ’80-‘90 grande successo ma non è stato gestito bene. In tanti hanno pensato di usarlo per fare soldi facili. In tanti hanno contribuito a rovinarlo. Anche le migliaia di fraschette e ristoranti: se il ristoratore romano volesse abbinare vini buoni a cucina buona farebbe un piacere al turista; invece preferisce fare soldi sul vino, con il prezzo triplicato. Dall’altra parte, ci sono i viticultori che lavorano facendo investimenti pazzeschi, sperando che le bottiglie siano pagate. E ancora: l’esperienza della cooperazione è fallita contribuendo al trend negativo del Frascati. Il territorio è finito in mano ai commercianti: così si imbottiglia quello che il mercato chiede”.

font-cand“Bisogna risollevare l’immagine – rilancia Merz – mantenendosi fedeli ai vitigni del territorio: troppo facile, altrimenti, fare il vino bianco aggiungendo il Sauvignon. La nostra missione è tirar fuori il meglio della varietà, evocare la migliore tradizione viticola del nostro territorio con il rigoroso rispetto del disciplinare: non vogliamo interferenze di vitigni internazionali (che pure sono ammessi nel 4%). La filosofia del gruppo è l’espressione del territorio: il 90% del nostro prodotto è il Frascati e lo vogliamo rappresentare nel modo più onesto possibile, promuovendo le potenzialità di invecchiamento”. Una bella responsabilità per un’azienda che, esportando il 60% del suo prodotto all’estero (USA, Giappone, Svezia, Danimarca, Germania, UK), può a ben diritto considerarsi l’ambasciatrice del Frascati nel mondo.

Non solo tradizione però. “Bisogna scatenare fantasia e confronti – assicura Merz, rivelando il suo ‘sogno nel cassetto’ – mi piacerebbe sperimentare uno spumante Frascati metodo classico, basterebbero mille bottiglie. Questo sarebbe un bel progetto. Ci stiamo lavorando”.

E allora a presto, aspettiamo con curiosità le bollicine del Frascati…