Le sfide di Elisabetta Gnudi, la signora del Sangiovese

di Vittorio Ferla

 

“Comprare vigneti in Toscana è stato da incosciente. Quando mi misi in testa di investire in agricoltura non c’era ancora molto spazio per le donne in campagna. Ho fatto dei sondaggi in Piemonte e in Sicilia, ma la Toscana era per me un ambiente più facile. Dopo 23 anni di attività sono contenta della scelta fatta”. La vocazione per il vino di Elisabetta Gnudi Angelini, origini bolognesi, ma nata a Roma, arriva a 40 anni. Fino a quel momento – dopo aver perso molto giovane il marito, l’imprenditore farmaceutico Paolo Angelini – aveva fatto i lavori più diversi: gestore d’albergo negli Usa, manager dell’azienda farmaceutica di famiglia, correttrice di bozze per Confagricoltura, produttrice di cinema e teatro con l’attore Luca Barbareschi.

Quando decide di cedere le sue quote dell’impresa di famiglia, la passione per la campagna, per il buon bere e mangiare, la orienta verso la Toscana. Acquista così la Tenuta di Caparzo, affermata azienda di Montalcino. “Era già allora un’azienda fuori dagli schemi con la sua etichetta verde un po’ bruttina, ma futurista. Ci ho messo due anni per mettere d’accordo i dodici soci”. Poi arriva Borgo Scopeto, nel Chianti. “Un colpo di fortuna”, ammette. “I proprietari furono coinvolti in una sorta di Tangentopoli svizzera e io ne approfittai per acquisire l’azienda”. Ai vigneti è annesso un Relais de Charme ricavato restaurando un antico borgo medievale che, senza l’intervento della Gnudi, sarebbe andato distrutto.

Ma per lei la più grande impresa è stato l’acquisto della tenuta di Altesino, che confina proprio con Caparzo: “Lì ho fatto una pazzia”, confessa. “Quando morì il proprietario, il figlio decise di vendere tutto. Si presentarono i francesi di Chateau Margaux, ma io non potevo accettare che a Montalcino e, per di più, al confine con la mia proprietà, ci fossero i francesi”, sorride con orgoglio. “Ancora oggi il direttore di Chateau Margaux, che ogni anno viene per assaggiare il mio vino, mi dice: sei l’unica che mi ha battuto”.

Con ben quattro cantine in Toscana – due a Montalcino (Altesino e Caparzo), una nel Chianti Classico (Borgo Scopeto) e una in Maremma (Doga delle Clavule) – il nome di Elisabetta Gnudi Angelini è ormai indissolubilmente legato al Sangiovese. “Amo il Sangiovese. È un vino speciale che viene bene soltanto in Italia”, confessa. “Non sono mai stata interessata a Bolgheri. Cabernet e Merlot vengono bene dappertutto. Ma non è il vino che voglio fare io. Le viti di Sangiovese sono faticose da allevare, ma, come il Nebbiolo, le uve danno risultati che nessuno sa dare. Sono vini capaci di durare anche 40-50 anni: poche zone nel mondo sono in grado di produrne. E noi italiani dobbiamo essere unici, altrimenti perché un americano dovrebbe comprare il nostro vino?”.

Proprio gli Usa rappresentano il mercato principale dell’azienda. Lo conferma Alessandra Angelini, la figlia, che si occupa dell’export: “gli americani sono affascinati dal Made in Italy e dalla Toscana in particolare. Ma abbiamo tanti ammiratori anche in Canada, in Germania e in Giappone. Quest’anno, poi, le scelte protezionistiche degli Usa ci hanno risparmiato. Hanno colpito i francesi e questo ovviamente ha avvantaggiato i prodotti italiani”.

Ingegnere aerospaziale e aeronautica tra l’Italia e l’America, Alessandra Angelini è stata parte del team di progettazione per il boeing 787-10 dell’azienda Rolls Royce. Ma nel 2017 rientra in Italia e si dedica alle aziende vitivinicole. “La campagna è stata sempre parte del mio mondo fin da quando avevo dieci anni. Dopo gli studi e le esperienze all’estero, ho continuato a cercare un altro modo di essere me stessa. Anno dopo anno in cantina ho imparato tanto”, racconta.

Elisabetta e Alessandra, madre e figlia, sono di fatto ambasciatrici del Made in Italy in ben 47 paesi. “Ma le nostre istituzioni dovrebbero fare di più”, accusa la Gnudi. “L’Ice (l’istituto del commercio con l’estero, ndr) sarebbe importantissimo per trovare canali di distribuzione affidabili nei diversi stati e per tutelare i prodotti italiani dalle contraffazioni. Ma spesso non è così”.

E ricorda alcune esperienze negative: “Una volta partecipai, con altri 40 viticultori italiani, a un evento di degustazione a Toronto, organizzato proprio dall’Ice. L’iscrizione era molto costosa, ma pensai che ne valesse la pena. Viceversa l’evento andò quasi completamente deserto. Era il giorno di Halloween e le persone erano interessate a festeggiare, non certo ai nostri vini. Ma come si fa a organizzare un evento in Canada con questa superficialità?”.

Secondo la Gnudi, gli altri paesi europei – Francia, Regno Unito – sono più “patriottici” quando si tratta di tutelare i propri marchi. In Italia, invece, quasi tutto è affidato ai singoli produttori: “noi abbiamo investito tanto sui distributori all’estero, dagli Usa alla Germania, dalla Svizzera alla Danimarca, e oggi possiamo contare su un altissimo tasso di fedeltà al nostro brand”. Anche la critica specializzata internazionale, ormai da anni, premia le etichette di famiglia.

Ogni anno, il Brunello di Montalcino di Altesino è fra i 100 Top Wine del mondo secondo l’autorevole rivista Wine Spectator: quest’anno all’undicesimo posto. Ma se le chiedi qual è il prossimo obiettivo, Elisabetta Gnudi non ha dubbi: “il vino perfetto”. Dopo aver conosciuto la determinazione e l’energia di questa donna, l’obiettivo ci pare realistico.