Vitigni d’Italia: il Primitivo

di Marco Nocella

Il Primitivo è un vitigno a uva nera che viene coltivato principalmente in Puglia, nelle province di Bari e di Taranto, mentre in Australia, America e Sudafrica viene chiamato Zinfandel. Il suo nome ricorda la precocità di maturazione delle uve dalle quali si ricavano vini rossi, rosati e spumanti bianchi: in purezza o in unione ad altri vitigni, dà luogo ai seguenti vini a Denominazione d’origine: Cilento, Falerno del Massico, Gioia del Colle, Gravina, Primitivo di Manduria, Primitivo di Manduria Dolce Naturale, Salice Salentino. In particolare il Primitivo di Manduria, nelle varianti secco e dolce, viene prodotto in provincia di Brindisi, nei comuni di Erchie, Oria e Torre Santa Susanna, e in provincia di Taranto , Lizzano, nei comuni di Avetrana, Carosino, Faggiano, Fragagnano, Leporano, Lizzano, Manduria, Maruggio, Monteparano, Pulsano, Roccaforzata, San Marzano di San Giuseppe, San Giorgio Ionico, Sava e Torricella, nella frazione di Talsano, e nelle isole amministrative del comune di Taranto incluse nei territori di Fragagnano e Lizzano.

Nel passato il Primitivo veniva utilizzato principalmente come vino da taglio, oggi viene vinificato in modo da eliminare le sue caratteristiche selvatiche che lo identificavano per trasformarlo in un vino possente ma gentile ed elegante. Il nuovo corso è iniziato quando i produttori pugliesi hanno scoperto che il vitigno del Primitivo è lo stesso dello Zinfandel californiano, lavorato dai vinificatori in maniera da conferirgli maggiore finezza. Il lavoro di affinamento si è rivolto alla versione secca del Primitivo caratterizzato dal denso colore rosso porpora cardinalizio, dal profumo intenso, aromatico e austero, dal notevole corpo e complessità, con 13,5 gradi naturali di alcol. Questo vino, inizialmente sottovalutato , si avviava a diventare un grande rosso di rilevanza internazionale, ma restava il mistero di come il vitigno da cui derivava fosse diffuso con un altro nome oltre oceano, da dove entrambi provenissero e del loro legame.

Nel 1967, un professore californiano in vacanza in Puglia, assaggiando il Primitivo notò che il suo sapore, il colore e il profumo avevano una spiccata somiglianza con lo Zinfandel. Questa sensazione venne poi confermata dagli studi ampelografici e dall’analisi del Dna.

Dato che non erano note altre zone al mondo in cui venisse coltivato il Primitivo, si pensò che lo stesso fosse arrivato in California dalla Puglia. In realtà una ricerca condotta da un gruppo di ampelografi californiani e croati sulla somiglianza fra Zinfandel e Plavac Mali, un vitigno di origine croata diffuso nella penisola balcanica, ha scoperto, in un gruppo di vitigni della Dalmazia ormai quasi scomparsi, il probabile progenitore dello Zinfandel e con buone possibilità anche del Primitivo: un vitigno dal nome impronunciabile, Crljenac, ancora presente con pochi esemplari nella zona di Spalato.

L’origine di ogni vino viene raccontata fra storia e leggenda: il Primitivo giunse in Puglia dall’altra sponda dell’Adriatico per mano degli Illiri per poi essere commercializzato in tutto il Mediterraneo dai Fenici, che anticamente svolgevano la loro attività lungo le coste italiane. La colonizzazione del Sud Italia ad opera dei Greci (la cosiddetta Magna Grecia nel VII sec a. C.) portò alla diffusione dei loro vitigni a bacca nera, il vino Ellenico precursore dell’Aglianico che non si diffuse in Puglia, dove già esisteva vino di qualità. La prova è data dal fatto che in epoca romana accanto alla parola “vinum” si utilizzava anche la parola “merum” per indicare il vino schietto, sincero, puro in contrapposizione al primo che indicava il vino miscelato con acqua, miele, resine ed altri addittivi per renderlo più sciropposo.

Il termine “vinum” è entrato in tutte le lingue indoeuropee, la parola “merum” è rimasta invece solo nei dialetti pugliesi, dove ancor oggi il buon vino si chiama “mjier”o “mieru”. In realtà prima dei romani e dei greci, le popolazioni autoctone della penisola balcanica probabilmente usavano il termine “mir” che in illirico (e anche ai nostri giorni in albanese) significa buono, bello, ben fatto per indicare la qualità del loro vino rosso. Una piccola curiosità personale: la mia passione da motociclista della Moto Guzzi mi porta tutti gli anni a fine agosto a visitare Noha, una frazione di Galatina in provincia di Lecce, per un raduno denominato “Mieru e Pizzica” dove il termine dialettale si conserva ancora oggi per indicare il Primitivo. In una edizione organizzata dal motoclub MIG (Motociclisti Italian Gentlemen) ho avuto anche la possibilità di visitare il Museo del Primitivo che si trova presso la Cantina Sociale di Manduria, dove durante la visita arrivavano le uve della vendemmia che si stava svolgendo a fine agosto.

Il Primitivo quindi può ritenersi il più diretto erede dell’antico “merum”, il vino storico per eccellenza della Puglia, che si affermò e divenne famoso nei dintorni di Taranto, dove Orazio paragonò i “mera tarantina” al Falerno della Campania, il vino più conosciuto dell’antica Roma. Lo scrittore romano Plinio il Vecchio definì Manduria città “viticulosa”, cioè piena di vigne e altri, come Marziale, Ateneo, Varrone, citarono e decantarono le qualità di questi vini. Le vigne erano coltivate da uomini liberi, in libere città confederate, come la cittadella peuceta di Monte Sannace a Gioia del Colle, dove gli scavi archeologici hanno portato alla luce impianti di vinificazione o quella messapica di Brindisi dove su una moneta venne coniata l’immagine del poeta-musico Arione mentre cavalca un delfino con un grappolo d’uva e una coppa di vino in mano. Nella sua vita aveva inventato il ditirambo dionisiaco e venne gettato in mare dai pirati tirreni e successivamente tratto in salvo da un delfino che era stato attirato dal suo canto bacchico.

Con l’avvento della dominazione romana si diffusero il latifondo e la schiavitù: la coltivazione servile gradualmente tolse ai vini pugliesi il loro carattere speciale, dovuto al clima, alla terra e al vitigno, ma soprattutto al libero lavoro umano e alle sue tecniche di coltivazione e conservazione. Iniziò così una lenta decadenza che durò per tutto il medioevo durante il quale la coltivazione della vite eseguita mediante le antiche abitudini dei contadini pugliesi venne portata avanti solo dai monaci basiliani nel Salento e i monaci benedettini sulla Murgia. Dato il pregio e il vigore dei vini ricavati dalle uve autoctone, i monaci basiliani provenienti dall’Oriente avviarono un discreto commercio con le loro terre natali (Libano, Siria).

Una bellissima curiosità sulla storia del vino è data dall’usanza nata nei principali porti pugliesi, dai quali partivano migliaia di pellegrini e militari per le Crociate: l’uso della parola “brindisi” col significato di solenne bevuta di vino augurale. I crociati, infatti, prima di imbarcarsi per la Terrasanta, facevano festa bevendo vino pugliese in gran quantità per augurarsi vittoria e salvezza. Da qui nacque il detto “fare come a Brindisi”, “Fare a Brindisi”, “Fare Brindisi”. In seguitò nell’età moderna ci fu chi seppe apprezzare i vini pugliesi, come Lorenzo il Magnifico che li serviva ai simposi d’onore; come i veneziani che durante la guerra coi turchi si rifornivano di vino a Brindisi; o come i francesi che lo scoprirono durante l’occupazione del 1568.

I primi documenti storici attendibili sulla diffusione del Primitivo risalgono alla seconda metà del XVIII secolo, quando venne selezionato a Gioa del Colle da un prete, don Francesco Filippo Indelicati, che aveva notato che fra le varie viti da lui coltivate una giungeva a maturazione prima e dava grappoli più gustosi e dolci che potevano essere vendemmiati a fine agosto: per questo gli dette tale nome.
Il vitigno ebbe successo e si diffuse in tutta la Murgia Barese e proprio da lì vennero prelevate le barbatelle che la contessina Sabini di Altamura portò con sé a Manduria come dono di nozze quando sposò Tommaso Schiavoni Tafuri. In quella zona del Salento il Primitivo trovò un habitat e un terroir favorevoli, soprattutto nei pressi del mare dove il clima provoca quasi un appassimento naturale delle uve. Il primo ad imbottigliare il Primitivo fu Menotti Schiavoni nel 1891 che lo aveva ottenuto da un vigneto situato sulle dune di Campo Marino, una località nei pressi di Manduria, che divenne poi la denominazione ufficiale sulla prima etichetta del vino.

Bibliografia:
L’Enciclopedia del Vino – Boroli Editore, Milano 2011

Tra storia e leggenda