
di Vittorio Ferla
Una terra ai confini dello Stato Pontificio così come del Sacro Romano Impero. Una Toscana meno nobile o lo sbocco a mare dell’Umbria. Un punto di passaggio dal Sud al Nord, lungo la dorsale adriatica. No, troppo poco per definire le Marche. Basterebbe soffermarsi sulla produzione vitivinicola per apprezzare la straordinaria ricchezza e complessità di questa regione.
Le Marche, regione del bio
Il territorio – che unisce le pianure alle dolci colline e le creste di montagna al mare – offre alla vite un habitat pedoclimatico favorevolissimo. Più di venti tipi di vini di altissima qualità, incluse le denominazioni di origine controllata (doc) e garantita (docg), per accontentare tutti i palati. Il lavoro certosino dei viticultori, molti dei quali dediti all’agricoltura sostenibile. Per fare di tutto ciò un sistema territoriale coeso, “le Marche, tra le regioni più bio in Europa in rapporto alla superficie vitata, hanno siglato il Patto per il distretto biologico unico che diventerà la più grande area europea attenta allo sviluppo di una pratica sostenibile e alla salute dei consumatori”. A parlare è Alberto Mazzoni, il direttore dell’Istituto marchigiano di tutela vini (Imt), che ricorda con orgoglio: “le Marche del vino hanno una fortissima identità green e occupano la terza posizione tra le regioni a maggior concentrazione bio in vigna (34% sul totale vigneto), dietro a Calabria e Basilicata”. Anche per questo l’Imt è in prima linea per la realizzazione di una banca dati italiana del vino biologico, visto che l’Italia “rappresenta un quarto degli ettari vitati bio nel mondo, ma ancora non abbiamo una banca dati sul settore per osservare il fenomeno dalla produzione al confezionamento e alla vendita”, aggiunge Mazzoni. A questo connotato ‘verde’ si aggiunge un’alta qualità agronomica, enologica e organolettica dei vini, a un prezzo assai competitivo, un ulteriore valore aggiunto per il consumatore che fa delle etichette di quest’area una alternativa eccellente a quelle più blasonate di altre parti d’Italia.
Da dove dovrebbe cominciare, dunque, un viaggio alla scoperta delle Marche del vino? Qualche bella dritta viene dai digital tasting che l’Imt propone in questi mesi alla stampa italiana ed estera, da marzo a giugno, e che ha visto anche la partecipazione di GnamGlam. Il suggerimento è quello di partire dalle chicche, dai i vitigni meno noti, quelli che più difficilmente si trovano fuori dalla regione.

Alberto Mazzoni, Imt
Una scoperta: la Ribona dei Colli Maceratesi
Tra i bianchi, per esempio, merita attenzione la Ribona dei Colli Maceratesi, uva squisitamente locale, vinificata spesso in purezza. La Ribona, nel suo piccolo, ha sempre giocato la carta dell’immediatezza: fresca, delicatamente minerale, sapida, piacevole. Da qualche tempo, le sue caratteristiche spingono alcuni produttori lungimiranti e curiosi a diversificare le tecniche di vinificazione. Gli obiettivi? Aumentare l’estrazione aromatica e testare le capacità di invecchiamento. Il risultato è confortante, al punto che, nel futuro della denominazione, c’è il progetto di realizzare una riserva per esaltare la longevità di quest’uva sorprendente. Promossi dall’Imt, gli assaggi recenti delle etichette di alcune cantine della zona – Conti degli Azzoni, Boccadigabbia, Saputi, Fattoria Forano, Fontezoppa, Cantina Sant’Isidoro – ci raccontano un vitigno dotato di freschezza, struttura, potenzialità aromatiche, dolcezza, caratteristiche che conferiscono un’ampia versatilità: vini spumanti e fermi giovani, vini dagli affinamenti più lunghi, passiti.
Un classico marchigiano: la Lacrima di Morro d’Alba
Tra i rossi, poi, è un must la Lacrima di Morro d’Alba, vitigno risalente al Medioevo, coltivato nella provincia di Ancona. A partire dal colore brillante e dalle sfumature violacee, la Lacrima fa storia a sé: vero e proprio succo d’uva, fresco, delicato, floreale. Un mix di aromi di fragola, ciliegino, more di rovo, mirtilli, viola e violetta per un sorso asciutto ma senza spigoli, perfetto per degustare specialità marchigiane come il salame lardellato di Fabriano o il Ciauscolo o i piatti al ragù di animali di cortile. Grazie alla finezza dei tannini, può perfino accompagnare il brodetto di pesce all’anconetana. L’area di produzione è piccola ma propone etichette di valore come, per esempio, quelle delle cantine Lucchetti, Tenute Cesaroni, Stefano Mancinelli e Marotti Campi.
Le uve Montepulciano, protagoniste dell’area del Conero
Ci sono poi i cavalli di battaglia della regione. Come il Montepulciano che, nelle Marche, raggiunge una splendida espressione nella denominazione del Rosso Conero. Il Rosso Conero è un vino di antica tradizione prodotto da uve montepulciano e riconosciuto come DOC nel 1967. Questo vino ha da subito un colore rosso rubino intenso, con decisi riflessi violacei per poi diventare rosso granato quando invecchia e matura. È un vino di carattere e di corpo, con profumi di prugna, liquirizia e note floreali. Nel 2004 è stata riconosciuta anche la Conero DOCG. Questi vini, sempre da uve montepulciano, devono affinare in botti di legno per un periodo di circa 2 anni. Il passaggio in botte regala al vino intensi profumi di spezie e ammorbidisce i tannini rendendoli più gentili in bocca. Negli ultimi anni, i produttori hanno progressivamente rinunciato alla quota di Sangiovese che pure è prevista dal disciplinare. Questa scelta ci pare corretta: forse il Sangiovese che si fa da queste parti non è tale da aggiungere caratteristiche significative al prodotto finale. Viceversa, il Montepulciano in purezza guadagna una fisionomia e una riconoscibilità sempre più marcate. Da provare le etichette di Marchetti, Conte Leopardi, Umani Ronchi, La Calcinara, Moroder, Fattoria Le Terrazze. Il Rosso Conero è un vino superbo, specie nella versione riserva, capace di stare al passo di etichette sopravvalutate e di offrire al consumatore un rapporto qualità prezzo davvero imbattibile.

Conero
Verdicchio, il principe delle Marche
Il vitigno principe della regione resta però il Verdicchio. Un vitigno completo, che raggiunge livelli eccelsi in tutte le tipologie, con dei picchi assoluti nei vini fermi. Lo confermano gli assaggi della denominazione Castelli di Jesi Classico Superiore. A partire dalla storica cantina della famiglia Bucci, c’è davvero l’imbarazzo della scelta: Moncaro, Marotti Campi, Lucchetti, Socci e Santa Barbara. Un cenno particolare merita il Verdicchio di Matelica – denominazione minore solo per le quantità – meno strutturato ma più brillante, gioioso e sulfureo rispetto all’altro. Al top della gamma di Matelica sono i vini di Casa Lucciola, La Monacesca, Borgo Paglianetto, Belisario, Villa Collepere, Tenuta Colpaola.
Il successo del Verdicchio nelle sue diverse espressioni, sia tra i consumatori che tra gli esperti, conferma le Marche come regione sempre più a trazione ‘bianchista’. Ormai da anni, centinaia di etichette del Verdicchio marchigiano raggiungono i massimi punteggi delle guide enologiche italiane e internazionali. Non a caso, per i marchigiani, il Verdicchio è il miglior vino bianco fermo d’Italia. Se pensate che sia solo campanilismo, beh, assaggiatelo…