
di Paolo Peira
Dopo essere entrati nel merito del dibattito relativo al concetto di tipicità del vino e di come esso si sia trasformato nei decenni, proviamo a tracciare un profilo molto generico di alcuni descrittori tipici per ogni singola varietà.
Comincerò dalle varietà a bacca bianca, dallo Chardonnay, di grande diffusione mondiale, spesso accolto positivamente dal mercato se si percepiscono sentori di frutta secca quali la noce, nocciola, mandorla, castagne, burro, lattico. Sappiamo che questo è essenzialmente dovuto a fermentazioni malolattiche che si protraggono nel tempo, in presenza di una buona dose di fecce in sospensione.
Su un registro totalmente differente, troviamo tutte le varietà appartenenti alla cosiddetta famiglia dei Moscati (Moscato bianco, Zibibbo, Traminer, Vermentino, Viognier, Malvasie aromatiche, ecc); queste devono necessariamente possedere sentori di agrumi, fiori di arancio e limone in particolare, ma anche note più mentolate, di rosa e di salvia.
Oggi la tecnologia della criomacerazione pellicolare, in presenza di ghiaccio secco ed enzimi beta glucosidasi, cosiddetti a rilascio di aroma, ci può dare un aiuto in questo senso. Tutte le varietà ricche in composti tiolici di tipo volatile (tra tutte il Sauvignon blanc ma anche alcune recenti selezioni clonali di Grechetto e Pecorino) devono necessariamente offrire al consumatore sentori di pompelmo rosa, frutto della passione, foglie di pomodoro, bosso.
Si tratta, come sappiamo, di aromi dotati di una grande reattività nei confronti di ossigeno e rame, da evitare quindi il primo in cantina ed il secondo, in cantina come in vigna. Anche in questo caso la criomacerazione pellicolare, in presenza di ghiaccio secco e la scelta di un lievito opportunamente selezionato per la rivelazione del precursore di aroma, oltre che la giusta collocazione in vigna di una varietà così sensibile e fragile possono contribuire al successo commerciale di un’azienda vitivinicola.
Infine, per le varietà essenzialmente Neutre – che per motivi lontani dalla più stretta esigenza enologica, continuano ad essere impiantati, con nomi diversi, su tutto il territorio nazionale – qui la tecnica di cantina prevale in qualche modo sugli aspetti meramente viticoli poiché, per quanto si possano vinificare uve sane e mature, il massimo che si può ottenere è essenzialmente legato a molecole, quali alcoli e aromi di fermentazione come i sentori di rosa e banana.
Per quanto riguarda le varietà a bacca rossa, oggi, molto più di ieri, conosciamo alcune molecole responsabili dei sentori legati a determinate uve e quindi precise tecniche viticole e di cantina ci possono aiutare nell’ottenere o al contrario evitare determinati profumi.
Il Merlot ad esempio è riconosciuto dai più per avere, da giovane, un sentore di cassis, essenzialmente dovuto a quei tioli volatili che abbiamo già evidenziato nel caso del Sauvignon blanc e quindi anche per questa varietà vale quanto già espressamente sottolineato in precedenza, in particolar modo per quello che riguarda la sensibilità all’ossigeno.
Diverso è il caso dei Cabernet sauvignon, Cabernet franc, e soprattutto il Carménère dove il registro sensoriale si sposta su note più vegetali, riconducibili al famigerato peperone verde o se vogliamo alle betametilidrossipirazine. Il fatto che tali molecole siano sensibili alla luce diretta, ci consente di scegliere se presentare vini dalle note sensoriali più vegetali, mantenendo i grappoli più protetti dalle foglie, con rese per ettaro più elevate ed in situazione di una buona disponibilità idrica e di fertilità o al contrario privilegiare l’aspetto secondario, più fruttato del Cabernet, lavorando quindi con grappoli maggiormente esposti al sole, in frangenti di minore disponibilità idrica ed in generale su situazioni di minore vigoria. La scelta ovviamente va fatta non tanto seguendo un gusto personale ma indirizzata in funzione del mercato che si intende affrontare in quanto in alcuni di essi si privilegia l’uno o l’altro profilo sensoriale.
Il Syrah è una varietà che a differenza di molte altre presenta precursori glicosilati della vaniglia, oltre che fenoli volatili non di origine microbica e quindi già nel mese di novembre, al temine delle fermentazioni è possibile percepire note legate a spezie quali il pepe e i chiodi di garofano, che nella maggior parte dei casi associamo a vini che hanno avuto un periodo di affinamento in legno. Sempre legate al Syrah, troviamo altre note più fresche e fruttate, che si caratterizzano attraverso descrittori quali violetta e amarena, dovuti essenzialmente alla foto ossidazione del carotene. Questo ha spinto alcuni ricercatori e qualche produttore a stendere sottili strati di alluminio sopra il terreno per cercare di favorire queste reazioni e sovraespimere così questo carattere fruttato.
Per concludere questa breve carrellata, il Pinot nero, vera grande sfida agli Enologi di ieri e di oggi, si presenta al pari dei grandi Nebbiolo e Sangiovese, come un connubio di grandi fascini ed eleganze sensoriali tra le quali spiccano le spezie, la violetta, il balsamico, l’etereo ecc. In questi casi, al di la delle diverse filosofie sulla scelta della presenza dei raspi o meno, sulla tecnica del rimontaggio o follatura, sul principio delle corte o lunghe macerazioni o sulle fermentazioni malolattiche in legno piuttosto che in acciaio, quello che fa effettivamente la differenza è la giusta collocazione del vigneto in quanto sono pochissime le zone, a dispetto di impianti indiscriminati che negli ultimi anni si sono diffusi, dove queste varietà trovano una reale sintonia e vocazione con il territorio; sintonia che si traduce dopo qualche anno di bottiglia nella manifesta lentezza nei confronti dell’invecchiamento e soprattutto nella stabilità dei caratteri olfattivi nel tempo.
Oggi la tecnica enologica mette a disposizione degli enologi numerose possibilità, rispetto al recente passato. La concentrazione (intesa come osmosi inversa e sotto vuoto), la microssigenazione, l’uso del caldo e del freddo nei diversi momenti della vinificazione e dell’affinamento, la gestione delle fecce fini e del legno, l’ausilio di prodotti e coadiuvanti quali nuovi lieviti e batteri selezionati, sempre più mirati e performanti, le tipologie dei tannini e degli enzimi si sono ampliate, fornendo possibilità sempre più ampie ai produttori; per il futuro, sicuramente il glutatione ed altri antiossidanti, oltre che lo studio dei meccanismi di sintesi delle molecole responsabili dell’invecchiamento precoce dei vini bianchi e rossi secchi ci consentiranno di produrre vini ancora più profumati e destinati a resistere maggiormente nel tempo.
L’enologo dovrà a questo punto dare un senso a questo enorme assortimento di tecniche e prodotti di cui dispone e decidere il giusto percorso da intraprendere, con la consapevolezza di chi conosce le conseguenze delle proprie scelte e sempre in virtù di quell’obbiettivo finale che è poi l’ottenimento del miglior prodotto possibile in quella determinata circostanza. Per fare tutto questo, occorre comprendere fino in fondo ciò che è possibile fare in uno specifico areale, con una determinata varietà, così che il risultato finale non sia mai una sorpresa ma l’effettiva risultanza di un progetto che nasce con l’impianto del vigneto e che termina con il piacere di un sorso di vino.
Paolo Peira