Non solo Nero d’Avola: nelle contrade di Noto la favola di Corrado e Valeria

di Vittorio Ferla

 

Arrivo alla Tenuta La Favola dopo aver percorso l’autostrada Catania-Gela, una di quelle strane opere siciliane che ci vogliono anni per completarle: un’autostrada quasi ‘metafisica’ perché a Gela non arriva mai e si interrompe a Rosolini.

 

La contrada Buonivini

Lascio alle spalle Noto, città barocca patrimonio dell’Unesco, e attraverso campagne deliziose prima campagne-laFavoladi raggiungere il luogo dell’appuntamento nella contrada chiamata, non a caso, Buonivini: siamo a breve distanza dalle spiagge diventate celebri grazie alle fiction di Montalbano, dai Pantani dove transitano gli uccelli migratori, dal borgo marinaro di Marzamemi, dalla riserva naturale di Vendicari e dalla Villa Romana del Tellaro.

Il Nero d’Avola è nato in questo triangolo di Sicilia, anche se deve la sua notorietà ai grandi industriali siciliani del vino che hanno piantato il vitigno nelle vaste campagne della Sicilia occidentale. Non è un caso che Planeta abbia acquistato e produca anche qui. Non solo: accanto al vino, le aziende della provincia di Siracusa producono e trasformano prodotti locali tradizionali straordinari: paste di mandorla, dolci di carruba, olio, pomodoro di Pachino, bottarga e pesce spada affumicato.

 

Una storia di famiglia

“Questa era una residenza di famiglia dell’inizio dell’Ottocento. Apparteneva al bis-bisnonno di mio marito Corrado, è stata trasferita a lui come bene dotale. C’erano anche una piccola scuola e una chiesetta. È nostra dal ’90”. A parlare è Valeria Valenza, anima della Tenuta, che ci introduce nella ‘favola’ vitivinicola della famiglia. Valeria è una germanista, una donna colta ed elegante che in realtà aveva poco a che fare con il vino, men che meno con la sua commercializzazione, ma ormai da anni concilia i suoi progetti culturali con lo splendido frutto di questa terra.

Con lei visitiamo l’interno della struttura dove è stato realizzato un piccolo museo agricolo e DSC00108antropologico, mentre la conversazione si svolge in una zona accoglienza usata per le degustazioni.

“Da subito mio marito Corrado – Corrado Gurrieri è un agronomo, ricercatore, dirigente della Regione Sicilia, ndr –ha stabilito che tutto doveva essere bio. Quando lo ha fatto lui era ancora una scelta controcorrente, un’eccezione: poi lo hanno fatto tutti per avere i contributi pubblici. Proprio per questo abbiamo lasciato la campagna come era: con i carrubi, i muretti a secco, le piante aromatiche, i pini, gli abeti, le piante grasse. È una campagna impostata sui vitigni autoctoni, sulla base del principio di biodiversità. Prima, qui di fronte, erano tutte serre e trasmettevano, confesso, un certo senso di squallore. Le serre, inoltre, cambiavano il clima, creando una colonna di calore che limitava la pioggia. Ora ci sono Planeta e Marabotto che hanno fatto vigne fino al mare e, tutto sommato, non mi dispiace”.

Chi trova un amico…

“Nel 2002, in occasione di una degustazione, conosciamo un aristocratico svizzero, grande intenditore di vino, alla ricerca di piccole chicche di questa zona, come quelle provenienti dai nostri vigneti. Noi in realtà non facevamo ancora vino, vendevamo soltanto il mosto. Corrado aveva seguito altre aziende e aveva fatto vincere dei premi. Lo svizzero si innamora di questi vini e resta incredulo rispetto al fatto che non avessimo ancora investito in questo settore. In realtà, noi non eravamo attrezzati per fare il vino e uscivamo anche da ristrutturazioni assai costose delle case di Noto e di Buonivini”.

L’inizio della ‘favola’

asinelli-la favolaProprio qui comincia la ‘favola’. “Quello che succede dopo ha dell’incredibile: l’intenditore svizzero, molto competente ed equilibrato, decide di darci fiducia e di investire direttamente lui. Per noi è stata, allo stesso tempo, una grande sorpresa e una grande responsabilità. La moglie del nostro investitore era una pittrice: mentre noi progettavamo, prendeva appunti sulla sua Moleskine facendo disegni… Aveva fatto un bozzetto con un vascello e una vela. Diceva: se fosse così sarebbe una favola. Beh, il nostro è diventato il primo nero d’avola in Svizzera in pochi anni. Poi, abbiamo allargato il numero di partner e di collaborazioni: gli importatori da Usa, Giappone, Belgio, Nuova Zelanda ci ordinavano pallet interi. Nel frattempo, sia io che Corrado continuavamo a fare il nostro lavoro. Ma due volte l’anno partivano i camion per consegnare gli ordini”.

Arrivano i tempi bui

La ‘favola’ va avanti così per alcuni anni, ma arrivano anche i tempi bui. “Il 2009 – continua Valeria – è per noi l’annus horribilis. Muore l’importatore svizzero, l’impresa viene smantellata e rilevata dai francesi che abbandonano i produttori italiani. Muore anche l’importatore americano. La nostra attività professionale è segnata anche dalla legge Fornero che ritarda di 9 anni l’uscita da lavoro. Corrado, inoltre, viene spostato ad altra amministrazione. Raggiungiamo il picco negativo e ci troviamo di fronte ad un bivio decisivo: chiudere o rilanciare? Dopo aver perso l’amico svizzero che ci ha cambiato la vita passiamo due anni di confusione mentale”.

Ricominciare dalla fiducia

Corrado e ValeriaAlla fine Corrado e Valeria prendono coraggio e decidono di osare. “Abbiamo fatto tesoro dell’insegnamento ricevuto: in tanti ci hanno dato fiducia e noi abbiamo ricambiato. Non era il caso di mollare. Dovevamo diventare azienda, creare un team e avere fiducia nelle persone. Abbiamo cominciato a reimpostare il nostro lavoro. Un giorno dividiamo una grande parete bianca in due parti. Nella parte di Valeria scriviamo: comunicazione, PR, degustazioni, ristrutturazioni, ospitalità, progetti, social media. Nella parte di Corrado: impostazione dei vigneti, vini, spazi per la vinificazione, ristrutturazione, impianto fotovoltaico, enologo, collaborazioni con le aziende nel Chianti. Ci diamo un nome commerciale che è, appunto, Tenuta La Favola”.

 

A tutto bio

Corrado e Valeria ripartono. L’ispirazione bio viene confermata e sviluppata.

“Siamo bio da sempre. Facciamo tante sperimentazioni e tanta ricerca. Realizziamo dei seminativi specifici che creano batteri per la resistenza della vite. Abbiamo sia la certificazione italiana che quella svizzera, ancora più rigorosa. L’impostazione ‘biologica’ non riguarda solo la parte agricola dell’azienda, ma rimanda ad un rispetto olistico di tutta la catena aziendale”.la favola-ospitalità

La Tenuta La Favola aderisce così a Vintesa, un progetto condiviso da un gruppo cantine italiane di dimensioni medio piccole, accomunate dalla medesima filosofia. Ciascuna delle aziende è indipendente ed a gestione familiare. Ognuna di esse conduce i vigneti, e segue tutte le fasi della vinificazione dando origine a vini locali e sostenibili che riflettono la personalità del vignaiolo esprimendo un’anima e un carattere che li rendono unici e sorprendenti. L’obiettivo? Comunicare la passione, la territorialità, il valore umano e la sostenibilità che accomuna questi produttori e la loro volontà di non chiudersi in una nicchia ma di confrontarsi con il mondo dei grandi vini.

 

Cento per cento Sicilia

LaFavola_viniLa Tenuta La Favola produce tre tipi di nero d’avola: fresco, stagionato, elegante. Poi un frappato in purezza, un syrah, un moscato passito (l’uva viene essiccata in pianta), infine un bianco da uve grillo e catarratto che crescono su terreni in affitto. Produce anche olio nell’oleificio di proprietà (qui e qui leggete le due degustazioni fatte).

Sulle bottiglie c’è una scritta in rilievo sul vetro che recita, “cento per cento Sicilia”. “Le bottiglie sono realizzate con vetro siciliano riciclato da ditte recuperate alle mafie e al degrado. Stampiamo qui le etichette che una volta facevamo a Siena. I tappi prima erano di origine francese o portoghese: adesso ci rivolgiamo ad una azienda locale che produce i tappi qui in Sicilia”.

 

Tanti progetti tra storia, arte e dialogobottiglia con gatto

Ma tutto questo non basta ancora. Valeria è un vulcano di idee. Nel 2014 soggiorna a New York per la realizzazione di progetti culturali sulla ‘didattica della civiltà’ dove lei svolge il ruolo di coach e di partner. Crea un ponte tra l’America e la Sicilia. Parte una serie di progetti culturali e artistici che hanno il loro cuore nella casa di pietra della Tenuta, un tempo un vecchio palmento, oggi trasformata in una residenza d’artisti che ospita giovani siriani, armeni, italiani e iraniani. E così il tempio del vino diventa anche luogo di dialogo interculturale.

Eh sì, questa è proprio una favola.