Vini vegani nella Sicilia a Sud di Tunisi

di Vittorio Ferla

 

Arrivo alla cantina Paternò in una giornata d’inverno. In questa stagione le viti sono nella fase del riposo e bisognerà aspettare ancora qualche mese prima che, con il loro classico “pianto”, si risvegli la vita. Ma qui siamo nel cuore del territorio di Noto, proprio in mezzo a due mari, lo Jonio e il Canale di Sicilia, con forti sbalzi di temperatura. La Contrada si chiama San Lorenzo-Barachino: siamo vicini a Marzamemi, Vendicari, Portopalo di Capo Passero. E sembra che la luce estrema che illumina queste campagne prevalga perfino sulla cattiva stagione.

 

Agricoltura biologica nella terra di Eloro

DSC00118“La nostra famiglia viene da Agrigento. Siamo qui dal 2001. Abbiamo 60 ettari di terreno calcareo coltivati secondo i criteri dell’agricoltura biologica, 35 dei quali dedicati alle vigne”. Mi introduce alla visita Federica Paternò, una delle due sorelle proprietarie dell’azienda Marilina, agronoma ed aspirante enologa.

“Ci sono vigneti di 20-50 anni, tra alberello e spalliera: gli alberelli di moscato sono i più vecchi. In alcuni casi – continua Federica – abbiamo estirpato le piante per reimpiantare. Il rapporto è 1kg a pianta per l’alberello, 3kg a pianta nel caso della spalliera. Produciamo 40 mila bottiglie, ma abbiamo una potenzialità di 60 mila. Gli ettari rimanenti sono coltivati a ortaggi, legumi, cereali, ulivi”. Nella migliore tradizione del biologico, niente monoculture: l’orientamento è quello di creare una sorta di ecosistema complesso. Non manca dunque una fattoria di animali (“c’è anche un’oca che crede di essere una gallina”, scherza Federica) nutriti con mangime bio fatto di frutta, erbe e frumento. L’azienda, poi, fa uso di pannelli fotovoltaici per la fornitura di energia e ha in progetto di realizzare una fattoria didattica e un agriturismo.

E i vitigni? Da una parte la scelta è caduta sugli autoctoni. Siamo nella zona di due Doc, Noto ed Eloro, palcoscenico ideale per Nero d’Avola, Grecanico, Moscato, Insolia. Dall’altra, però, un’attenzione verso consumatori più curiosi con l’offerta di prodotti provenienti da uve di vitigni internazionali vinificate in purezza: Chardonnay, Merlot, Tannat e Viognier.

“La vendemmia è fatta a mano, tra metà agosto e i primi di settembre – spiega Federica – prima i bianchi e poi i rossi. Poi c’è la raccolta delle olive con gli abbacchiatori, che è un metodo molto più delicato”.

 

I colori dell’oro nel calcare di Noto

I bianchi di questa azienda hanno i colori dell’oro. La mente va subito alla terra da cui provengono. DSC00124Siamo nella punta della Sicilia, un triangolo di terreni bianchi-calcarei a sud di Tunisi, nella provincia più assolata d’Italia. Ma ciò che conta di più, alla fine, sono i metodi di vinificazione scelti dall’azienda.

“Una volta raccolte dopo la fase di pressatura – spiega Federica – le uve bianche macerano in vasche di cemento per 12 ore, le uve rosse dai 25 ai 30 giorni”. Proprio durante la fase di macerazione, che è la fase che dà personalità al vino, avviene il rilascio di proprietà coloranti e organolettiche dalla buccia al mosto: tutto ciò si coglie poi nei colori e si sente nel naso e nel palato. Insomma, conclude Federica, “quanto più le uve macerano tanto più avverrà il rilascio e tanto meno noi dobbiamo intervenire nelle fasi successive. In tal modo, riusciamo ad ottenere il massimo dalla materia prima e non c’è bisogno di aggiungere nulla”.

Altre caratteristiche del lavoro di cantina? La fermentazione avviene in vasche in cemento ricoperte di resina epossidica, l’affinamento si svolge in barrique di legno di rovere francese vecchie di 5 anni per non far sentire il legno, viene usata una bassa percentuale di solfiti, l’azienda è certificata con marchio biologico europeo.

 

Vegan che? Ma il vino non si fa con l’uva?

Ma tutto questo alla famiglia Paternò ancora non bastava. E così il passaggio dal vino biologico al vino vegano è stato breve.

Ma che vuol dire vino vegano? Il vino non si fa con l’uva? Ancora un omaggio commerciale alle mode del momento? Non proprio. In realtà, dal momento in cui l’uva viene raccolta al momento in cui diventa vino i passaggi sono tanti. In  mezzo, per esempio, ci sono anche le chiarifiche, realizzate di solito con prodotti di origine animale. “Noi abbiamo eliminato albumina, caseina e colla di pesce che sono le proteine e gelatine utilizzate normalmente per le chiarifiche”, racconta Federica. Ecco, dunque, che cosa significa vino vegano: un vero e proprio ritorno al passato, alle antiche pratiche di vinificazione, alla non sofisticazione nei procedimenti di trasformazione, alla naturalezza del prodotto.
 Nella cantina della famiglia Paternò tutto il ciclo produttivo viene monitorato, “perfino i filtri utilizzati e le colle usate per l’etichettatura – spiegano – non contengono sostanze di derivazione animale. Ed è fondamentale dire che è un vino privo di ingredienti allergenici”.

E, allora, vino di nicchia o vino di moda? Un po’ l’uno e un po’ l’altro, forse. Oppure nessuna delle due.

“Produrre dei vini bio, poco filtrati, poco refrigerati, vinificati in vasche di cemento, dai colori intensi e dai gusti complessi e persistenti è stata fin dall’inizio una bella sfida”, spiega Marilina, la sorella che ha dato il nome all’azienda. “Il vino vegano è un vino per la gente curiosa che va oltre, un vino che non contiene allergeni, un vino che più si avvicina alla naturalezza e che esprime sincerità”. E tuttavia (o proprio per questo), continua, “è un vino che può bere chiunque e in ogni occasione. Molti dei nostri clienti acquistano i vini bio vegan perché sono “sinceri” e sanno di bere sano.
 È questo il messaggio che voglio lanciare: bevi sano e nell’assoluto rispetto degli animali”.

Infine, conclude Marilina, “la scelta va ancora spiegata, ma nei vini poi c’è sempre il sapore, anche se sono vegan”.

 

Una cantina a conduzione familiare

I vini Marilina sono vini di famiglia. Due sorelle che hanno imparato il mestiere da Angelo, enologo per anni al servizio di aziende molto importanti (Settesoli, Corvo). E che oggi conciliano l’esperienza pratica nelle vigne al fianco degli operai con uDSC00116n’attività più squisitamente manageriale. La madre Lina che lavora in modo artigianale all’etichettatura manuale delle bottiglie e alla realizzazione di un elegante spago salvagoccia tipico di alcune linee e che propone agli enoturisti una cucina tipica basata sul “maccu”, le zuppe di ceci e le paste alla norma e perfino dei caserecci show cooking per mostrare agli ospiti o segreti della caponata, del torrone siciliano, delle salse tipiche e dei cavatelli.

“Qualche anno fa – racconta ancora Federica – una signora portò dei giornalisti giapponesi che erano curiosi di vedere le ricette tipiche siciliane. Promisero alla mamma di coinvolgerla in occasione della festa della mamma che si sarebbe svolta in Giappone. Noi ovviamente pensavamo ad uno scherzo. Ebbene, dopo un anno questi amici prenotarono i voli e nell’ottobre 2014 siamo sbarcati a Tokyo e abbiamo cucinato per duemila persone!”

Una famiglia unita ma trendy, sempre in cerca di nuovi spazi di mercato. I vini Marilina sono presenti, tra l’altro, nelle principali manifestazioni culturali del sudest siciliano: il Festival del Cinema di Taormina, il Festival del Cinema di Frontiera di Marzamemi, il Festival Documentaria di Noto.

 

La scelta di Angelo

DSC00128“Ho lavorato tanti anni per gli altri – spiega Angelo, il padre enologo, con passione e tenerezza – ora solo per noi! Io sono il consulente e il “grillo parlante”. Quando mi arrabbio e sono duro con loro – dice rivolgendosi alle figlie – è perché voglio trasferire qualcosa. Abbiamo cominciato a lavorare nei campi, a partire dalla vendemmia. L’obiettivo è gestire l’azienda certo, ma prima bisogna conoscere. Devono conoscere l’azienda a menadito: piante, macchine, uomini. E poi – sorride – lavorando nelle vigne non hanno bisogno di andare in palestra!”

“Vengo da aziende molto grosse come Settesoli e Corvo – racconta Angelo – e  quando le ho lasciate bisognava chiedersi: perché i consumatori dovrebbero scegliere me e non altri? Cosa riusciremo ad offrire più? Parte da qui la scelta del posto e dei terreni. Quest’area è diversa da tutto il resto della Sicilia. E poi la Sicilia non è un’isola! Ma molto di più. Questa zona, con il suo clima e le doc Eloro e Moscato di Noto, è ancora all’inizio e promette un grande sviluppo”.

La ricetta di Angelo? “Ho lavorato con tutto per tornare al passato: ecco perché abbiamo riscoperto le vasche di cemento. Forse non abbiamo sbagliato, scegliendo un approccio non industriale. E poi il biologico: tempo fa sembrava diminuzione di qualità, qualcosa di cui non ci si poteva fidare. Viceversa è stata una scelta molto azzeccata: dare tempo al vino, il tempo necessario per trovare un equilibrio naturale, vini dorati e brillanti grazie alla macerazione dei bianchi, potenza e personalità dei prodotti, uso limitatissimo della solforosa, i vini non sono refrigerati, non sono filtrati, una mentalità enologica di toccare il vino il meno possibile”.

E il vino vegano? “Rappresenta il coronamento di tutta questa ricerca.  Non credevo che si potesse arrivare a questo punto, ma adesso ci siamo. Noi non dobbiamo aumentare la quantità, ma puntare sulle singole bottiglie. E continuo dire alle mie figlie: “sfidiamoci! in cerca di miglioramento continuo.”

Insomma, per i vini Marilina, la sfida continua.

(Qui e qui leggerete il racconto delle due degustazioni in cantina!).