Vini Pietradolce: l’eleganza della donna-vulcano

di Vittorio Ferla

 

Una donna bellissima ed elegante. Le mani e le braccia sono coperte da guanti neri. Indossa un abito rosso che le lascia le spalle scoperte. Rosso come le labbra. Rosso come la lava che dilaga. I capelli sono raccolti come la cima infuocata di un vulcano. Eppure hanno la leggerezza di una nuvola. Sbuffano scie di fumo grigio. Questa donna è l’Etna. Appare così, la Montagna, sulle etichette della cantina Pietradolce.

 

Il senso dell’etichetta per il vino

Può sembrare strano cominciare il racconto di un’azienda di vini dalla ‘fine’. Ma l’etichetta in questione, in realtà, ci dice molte cose.prova_1_VIGNA BARBAGALLI USA

Intanto, il rapporto con l’Etna. Non un mostro malefico e inquietante come pure potrebbe apparire un vulcano sempre attivo. Ma una donna piena di fascino che attrae e conquista. Un principio femminile di bellezza, sensualità, raffinatezza. Non è proprio un caso.

Questa etichetta annuncia vini eccellenti. Caratterizzati da grande eleganza e raffinatezza. Si dirà: non è strano trovarne sull’Etna. Vero, ma Pietradolce presenta una particolarità: le poche linee prodotte hanno una qualità media talmente elevata da collocare ciascuna bottiglia di questa cantina oltre i 90 punti nella valutazione degli esperti nazionali e internazionali.

C’è poi la giovane età. Giovane appare la donna dell’etichetta, così come giovane è l’azienda dei fratelli Faro. Pietradolce nasce soltanto nel 2005. La famiglia Faro ha una tradizione di impresa florovivaistica da molti anni. È molto conosciuta a Catania. Ma la passione per la viticultura è roba recente. Anche questo, forse, emerge da quell’etichetta. Un’azienda giovane che, per rappresentarsi, non punta sui casali storici o sugli stemmi di famiglia. Ma su metafore, assonanze, emozioni.

 

Un’azienda giovane per rilanciare la tradizione

“Siamo qui a Contrada Rampante da dieci anni. La prima vendemmia è del 2007. Lavoriamo 11 ettari in tutto, molti di vecchio alberello. Quando siamo arrivati qui era tutto abbandonato. C’erano tante terrazze che seguivano il percorso della lava e quello che trovavano sotto la terra.”

agronomoGiuseppe Parlavecchio, l’agronomo di Pietradolce, mi accompagna in questa visita. Siamo nella zona di Solicchiata, una frazione del paese di Castiglione di Sicilia. Il lavoro realizzato qui dai tecnici di Pietradolce è enorme. “I giovani figli di queste terre sono andati via. Noi abbiamo cercato di recuperare il possibile. I nonni di Michele Faro erano piccoli produttori di vino dell’Etna sul versante Sud. Michele ha ripreso le tradizioni di famiglia qui sul versante nord, ma puntando sulla qualità. Abbiamo dunque recuperato forme tradizionali di viticultura sia in campagna che in cantina”. Oggi possiamo dire che la scommessa di Pietradolce, grazie ad un lavoro amorevole e certosino, è riuscita.

 

Un lavoro attento nel rispetto del terroir

“Qui ogni pianta di vite è ‘sconcata’ singolarmente. Tutta l’attività è svolta in modo manuale. Non usiamo diserbanti e pesticidi. Le piante sono molto vicine le une alle altre: in questo modo possiamo garantire una qualità molto alta del vino. Inoltre – piantate in questo modo – le viti possono essere facilmente sostituite”. Giuseppe Parlavecchio racconta il suo lavoro con umiltà e passione, mentre mi accompagna per il sentiero. “Qui ci sono vigne di 80 anni da cui proviene l’Archineri di Contrada Rampante (qui lo raccontiamo). Ci sono archineridifferenze enormi a seconda dei terreni che possono dare vini completamente diversi. Ed è questo che giustifica l’uso dei nomi delle contrade. Le vigne vecchie, poi, sono quelle che offrono i prodotti più equilibrati. Sono un vantaggio per l’espressione dell’equilibrio”.

La passeggiata continua: “le vigne da cui proviene Archineri – anch’esse ad alberello che è la forma ideale perfetta per l’Etna – sono più a valle, quelle di Barbagalli sono più in alto a 900 metri, e crescono su tante piccole terrazze. I prodotti sono molto diversi l’uno dall’altro. Le escursioni termiche sono molto importanti. Puntiamo su rese bassissime: 800 grammi per pianta. C’è una bella concentrazione naturale: la buccia spessa è una naturale forma di difesa dalla quale poi derivano gli aromi. Abbiamo spargoli piccolini: non hanno bisogno di essere diradati, non sono esuberanti.”

 

Vigna Barbagalli: ad un passo dalla perfezione

barbagalliContinuiamo la passeggiata verso l’alto. Vuole mostrarmi il ‘gioiello’ della casa. Fin quando ci affacciamo su di uno scenografico – e ormai famoso – ‘anfiteatro’ naturale. “Ecco. Questa è Vigna Barbagalli. È la vigna con
cui abbiamo iniziato. Quella che ci ha fatto capire tante cose. Queste vigne hanno più di 100 anni. Il terroir è molto caratterizzante, si impone in modo molto forte. Lavorare con le vigne vecchie significa assecondare queste tendenze. A Barbagalli c’è un microclima molto particolare. Questa disposizione ad anfiteatro fa sì che il vento entri solo da una parte. Il vino che viene da queste vigne ha un’altra complessità.”

Vigna Barbagalli era un nome del tutto sconosciuto. Poi sono arrivati i Faro per produrre il vino. A seguire, i riconoscimenti della critica italiana e della critica internazionale. I voti eccellenti del guru del giornalismo enologico, Robert Parker (95/100). Quelli della rivista Wine Enthusiast (93/100) o di Jancis Robinson (18/20). La medaglia di bronzo assegnata dalla rivista Decanter. Quella d’oro assegnata da Gilbert&Gaillard. Tre anni fa, il critico James Suckling aveva rilevato nel Vigna Barbagalli la (quasi) perfezione con una cifra (quasi) tonda: 99-100/100.

In Italia, si va dai cinque grappoli di Bibenda alle tre stelle di Veronelli, ai tre bicchieri del Gambero Rosso. Proprio quest’ultimo, nell’ultima Guida dei Vini d’Italia, lo giudica ”il miglior rosso dell’anno”. Così, l‘Etna Rosso Vigna Barbagalli 2012 di Pietradolce, secondo i curatori Marco Sabellico, Eleonora Guerini e Gianni Fabrizio, è al top dei calici rossi italiani. Ecco la motivazione: ”Vino di straordinaria complessità e finezza, il Vigna Barbagalli 2012 è sfaccettato e profondo al naso, dove si alternano frutti rossi, mineralità, spezie, tabacco e sentori balsamici; lunghissima e nitida la bocca, in cui il frutto ritorna nel lungo finale in tutta la sua elegante sensualità”.

 

Due linee, 7 etichette, un logo. E una nuova cantina

Come scrivevamo, però, Pietradolce non è solo Vigna Barbagalli. Spiega Parlavecchio: “Abbiamo due
linee di prodotto per sette etichette. La prima è dedicata ai vini più giovani: un Carricante, un Nerello mascalese, un Rosato. Una linea caratterizzata dall’immagine stilizzata di un sismografo. Così, vogliamo casettaindicare l’attività tellurica del vulcano e il legame dei nostri vini con questa terra lavica”. Ancora una volta una grafica importante, stavolta squisitamente geometrica, che sembra ispirarsi a certe soluzioni estetiche dell’arte contemporanea. E, soprattutto, vini di ottima fattura, come l’Etna Rosato che è forse uno dei 2-3 top sull’Etna nel suo genere (e qui potrete leggere la nostra breve recensione!).

“C’è poi la linea Archineri, con la donna che rappresenta il vulcano. La donna-vulcano, vestita di lava e con i capelli fumanti, è una interpretazione femminile e materna della montagna. L’abbiamo scelta per definire i nostri cru. Vini provenienti da vigne vecchie, eleganti come una signora”.

Forte di questi risultati, Pietradolce continua a investire. Prima di tutto, c’è l’obiettivo di portare la produzione da 45mila a 60mila bottiglie. Poi, c’è la costruzione della cantina. La sagoma è già visibile, proprio all’ingresso della proprietà. L’edificio dovrà rispondere a due esigenze. Da un lato, ovviamente, la vinificazione. Spiega Parlavecchio: “Sarà organizzata per lavorare per gravità, con un processo che va dall’alto con la pesatura e raccolta delle uve, fino agli ambienti per l’invecchiamento. Avremo vasche troncoconiche da 50-70 ettolitri. Sottoterra, la barricaia”. Dall’altro lato, l’esigenza di garantire una perfetta integrazione con il contesto: “l’edificio ospiterà dei magazzini con un giardino pensile, la pietra lavica sarà usata per isolare e uniformare. Cercheremo di conciliare la macchia vegetativa e la pietra.”

Un progetto architettonico perfettamente coerente con l’immagine scelta dall’azienda per il proprio logo. Un triangolo equilatero – forma perfetta – che riflette la propria sagoma. A simboleggiare la perfetta specularità tra il vulcano e il suo territorio. La stessa specularità che dovrà avere la cantina rispetto al contesto in cui sorge. Ancora una volta un’immagine azzeccata per spiegare la filosofia di un’azienda che lascia il segno.