
di Vittorio Ferla
Arriviamo all’ingresso del paese di Milo, in un giorno di dicembre. L’appuntamento è in piazza Belvedere. Milo, dall’alto dei suoi 750 metri, è probabilmente il paese etneo con la vista più ampia sul mare.

Milo
Dalla terrazza della piazza, infatti, si gode di una straordinaria veduta: il mare Jonio con il golfo di Catania, prima di tutto. E poi, quando il cielo è terso si vedono di fronte le coste della Calabria e, da sud a nord, la costa da Augusta a Taormina. Alle spalle c’è l’Etna, con la sua sagoma imponente e familiare.
Milo, città del vino, terra di Carricante
“Milo è la zona dove si trovano i migliori vigneti di Carricante per la produzione di Etna bianco superiore. Il motivo? È la zona più piovosa dell’Etna, tra i 1800ml e i 2500 ml (la media regionale siciliana è 500ml”). Capelli folti e brizzolati, barba incolta, sguardo limpido e delicato, postura sorvegliata, atteggiamento sobrio e riservato, Salvo Foti è un uomo devoto all’essenziale. Viene a prenderci in piazza e con lui percorriamo nemmeno un chilometro per raggiungere l’appezzamento di Caselle, una delle contrade di Milo, poco fuori dal paese dal lato di nord-ovest. Il vulcanologo Carlo Gemmellaro, in uno scritto del 1858, parla di Caselle come di uno dei borghi minacciati dall’eruzione del 1852: “Cresceva la piena nel braccio che parea diretto verso il Milo e le Caselle […] e gli abitanti sgombravano desolati le loro abitazioni”.
Tornare sull’Etna: una scelta profetica
“Qui a Caselle, a 900 metri s.l.m. – dice Foti – i vigneti ad alberello hanno più di 100 anni e si

vigneti
intrecciano con il bosco, con i frutteti e i noccioleti. Le viti sono disposte sulle terrazze di sabbia vulcanica, sono irregolari, attorcigliate al loro palo di castagno. Qui il Carricante ha trovato una connaturale ambientazione: i vini ottenuti sono ricchi di acidità, ottimi con il pesce crudo, puliscono la bocca”.
Proprio in questa contrada si trovano i vigneti e il palmento che costituiscono il quartier generale di questa piccola azienda, I Vigneri. Attenzione però: l’azienda sarà anche piccola, ma il suo animatore rappresenta uno dei pezzi più rilevanti della storia della viticultura etnea e siciliana. Salvo Foti, catanese classe ’62, dopo anni di consulenze in giro per la Sicilia, decise che bisognava puntare sulle potenzialità dell’Etna e dei suoi vitigni autoctoni: una scelta profetica – possiamo dirlo con certezza – che ha cambiato la storia di queste contrade.
La faticosa manutenzione dell’alberello

Salvo Foti e Vittorio Ferla
“Questa è la terra delle viti piantate ad alberello egeo su pali di castagno – spiega – il sistema di allevamento della vite più antico del mondo che ha resistito anche alla fillossera. Le viti sono disposte secondo lo stretto schema del quinconce, già noto ai Romani, che obbliga a una faticosa manutenzione, senza macchinari, che non riescono a passare fra le piante. Abbiamo soltanto un minuscolo trattore concepito apposta per passare tra questo tipo di piante. La produzione è superba e lenta, chiede di essere limitata, non tiene conto delle scadenze imposte dal mercato, ma solo di quelle naturali, delle fasi lunari, del ciclo delle stagioni”.
La competenza dei vigneri
Poche orgogliose parole per descrivere questi campi e, soprattutto, gli uomini che vi lavorano: “I vigneri sono contadini, muratori, enologi. Tirano su i muretti a secco nelle vigne, sanno quali piante spontanee lasciar crescere per preservare la biodiversità, sanno come lavorare su queste terrazze. Per meccanizzare il lavoro qui dovresti spianare, ma non è possibile e, soprattutto, si perderebbe la specificità di questo territorio. Le spese per preparare il terreno sono altissime e servono persone che sanno farlo. Per mettere a produzione un ettaro servono 60mila euro e ci vogliono dieci anni per recuperarli. Infatti, mio nonno diceva: ‘il vigneto dà il meglio di sé in 30 anni’. Ci vuole tempo. Forse anche per questi motivi la viticultura siciliana negli anni si era spostata nella Sicilia occidentale: lì magari c’era una tradizione più modesta ma tanti spazi aperti da coltivare. E così, qui sull’Etna, l’aspetto viticolo si era perso negli anni. È sempre più difficile trovare persone che sanno coltivare questi vigneti secondo le necessità tipiche di queste contrade: qui non si può meccanizzare, l’uva convive con nocciole, castagne, mele e pere, devi manutenere le terrazze, non hai bisogno di concimare ma devi avere conoscenza e devi interpretare la vite”.
Il mio mestiere? Coltivare gli uomini
Salvo Foti si rivela pian piano. Sappiamo che è uno degli enologi più quotati della zona e che ha collaborato con note aziende vitivinicole siciliane nelle province di Agrigento, Ragusa, Trapani. Ma le ha lasciate quasi tutte perché non gli piaceva lavorare per produrre vini facili e commerciali a scapito della qualità certosina.

S.Foti
Sappiamo che alla fine degli anni ’80, per conto dell’Azienda Benanti, coordina Progetto Etna, una ricerca tecnico-scientifica sulle potenzialità vitivinicole dell’Etna, in collaborazione con l’Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti e con l’Institut National de la Recherche Agronomique di Francia. Era un modo per ricominciare a promuovere un territorio che in quegli anni era impoverito e negletto.
Sappiamo che ha collaborato con la Tenuta di Donnafugata di Marsala, per la realizzazione di vini passiti di Pantelleria, di vini bianchi di uve alloctone e rossi da lungo invecchiamento. Sappiamo che è tornato qui, da profeta del Nerello e del Carricante, in cerca di… uomini. “Alla fine – confessa – mi sono accorto che la mia attività principale non era nemmeno coltivare la vite. Ma coltivare gli uomini. Cerco di formare lavoratori della vigna che capiscano perché devono cominciare il lavoro alle 5 del mattino”. Il progetto de “I Vigneri” nasce da questa intuizione, accompagnata da una solida base di letture attente e competenti.
La riscoperta dell’arte della vigna
“La zona dell’Etna – spiega Foti – è stata oggetto di colonizzazione da parte di grandi aziende.

I vigneri
Io ho formato il gruppo dei Vigneri proprio per tutelare la tradizione etnea e riscoprire l’allevamento dei vitigni autoctoni dell’Etna. I Vigneri sono poche decine e coltivano solo vitigni siciliani seguendo le tradizioni dei territori siciliani. Lavorano qui sull’Etna ma anche nelle isole Eolie, a Pantelleria e a Pachino. In realtà – continua – non ho inventato nulla, ho solo fatto rinascere una maestranza catanese fondata nel 1435 proprio per fare vini etnei: se ne trovano tracce nei testi molto risalenti che ho ritrovato nella Biblioteca dei Benedettini di Catania”.
Anche l’azienda vinicola di Foti si chiama I Vigneri. E i vini prodotti sono esclusivamente il frutto dell’arte della vigna. “Terra vulcanica, sole intenso, stagioni decise, aria di mare rendono unici questi vini minerali”, spiega Foti (qui trovate la degustazione del rosso). “Le quantità di solfiti sono quelle strettamente necessarie. Siamo molto presenti all’estero, soprattutto in Giappone, Germania, Usa, Canada. Forse i nostri vini sono un po’ cari, ma questo si spiega con l’enorme lavoro che si deve fare in queste vigne”.
C’era una volta il palmento

Palmento
La sede dell’azienda è un casale del Settecento che ospita un grande palmento (nel quale sono ancora visibili gli affreschi orginali), l’edificio che sull’Etna si usa da secoli per fare il vino. Il racconto di Foti si fa – se possibile – ancora più struggente. “Questo per i siciliani è un luogo dell’anima. Qui si conserva la cultura e la storia del vino di questo territorio. Un tempo raccolta, pigiatura e torchiatura si svolgevano qui. L’uva veniva trasportata all’interno sul piano di pietra lavica più alto della struttura, poi veniva ridotta in mosto solo grazie alla forza fisica dell’uomo. Il mosto veniva poi raccolto per forza di gravità in contenitori sottostanti. E via così senza macchine a motore o pompe: solo piedi dell’uomo, pale e ‘scecchi’ (asini in dialetto siciliano). Niente legno per la maturazione, ma la creta delle grandi anfore. Poi le leggi comunitarie ci hanno costretti a chiudere la tradizione centenaria di questo luogo che era anche una occasione di vita sociale per i contadini.
“Il vino si fa con l’uva”
Qualcosa che ancora è vivo nei ricordi di Foti: “La sera, tutti attorno, a conca, si ascoltava u Nannu. Le sue storie, volutamente paurose per noi bambini, ci affascinavano. Sapeva tante storie u Nannu. In una di quelle sere, intorno al focolare, aspettando la vendemmia, con una espressione di chi sta confidando un segreto, una grande verità, u Nannu sentenziò: ‘Carusi, riurdativillo sempri u vinu si fa ca racina, sulu ca racina!’ Rimasi stupito da questa banalità. Ovvio no, il vino si fa con l’uva! Sono passate tante vendemmie da allora e questa banale verità mi ritorna spesso in mente”. E anche a noi ritornerà in mente la lezione di Salvo Foti.