Paololeo: una famiglia del vino tra storia e futuro del Salento

di Vittorio Ferla

“Siamo una famiglia di viticultori. La nostra storia è semplice, parte da un palmento. Niente di strano, in fondo. Nei piccoli paesi ce n’erano tanti così, erano stabilimenti di famiglia. E poi tanti terreni e una masseria. Mio suocero ha trasmesso a Paolo non soltanto questi beni, ma la passione di fare il vino. Nei primi due anni di attività, tutto si svolgeva nel palmento. La nostra produzione si fermava ai vini sfusi: d’altra parte, la Puglia è sempre stata serbatoio di vino sfuso per perfezionare i vini degli altri. Adesso il palmento è diventata una bottaia. Siamo cresciuti tantissimo e i numeri sono cambiati”.

Tra Taranto e Brindisi, una storia di famiglia, vigne e palmenti

Roberta d’Arpa è la moglie di Paolo Leo. Una donna minuta e brillante che tradisce un carattere forte e determinato. Per l’azienda Paololeo si occupa di comunicazione e marketing. Fa parte dell’associazione delle donne del vino. L’abbiamo incontrata in un giorno di primavera, negli uffici della cantina di San Donaci, paese del brindisino al confine con la provincia di Lecce. Siamo nella placida pianura salentina, circondati da vigne e da ulivi.

“Il nostro primo Vinitaly è del 1999 – racconta – perché nel 1998 è uscita la nostra prima linea di vini che PaoloLeoora non è più in commercio: c’è solo una piccola riserva che continuiamo a consumare. A Verona, quell’anno, presentammo tre vini. Ancora non si capivano bene. Così, dopo 2 anni nacque un’altra linea. Ci siamo ispirati alla nostra storia, a questa terra. E abbiamo lanciato un prodotto dop, un salice salentino che si chiama Limitone dei Greci”.

Il limitone dei Greci è un’opera bizantina costruita sul finire del VII secolo. La muraglia sarebbe stata costruita dai bizantini e avrebbe dovuto costituire un confine tra i domini bizantini dell’attuale Salento a sud e quelli longobardi a nord. In realtà, le prove dell’esistenza di questa struttura sono molto vaghe. Più probabilmente, si può parlare di una antica strada che collegava Otranto a Brindisi. “La gran parte dei terreni si trova lì”, spiega Roberta. Alla stessa linea, giocata tra la storia e il mito, appartiene Orfeo, un Negroamaro Igp che usa uve prodotte tra Taranto e Brindisi e che sopravvive negli anni. “A Orfeo sono particolarmente affezionata perché rappresenta anche una svolta grafica della nostra azienda. In occasione del lancio ci venne a trovare una ‘wine stylist’, Cristina Ciamporcero. Fu lei a offrirsi per un restyling delle etichette”. D’altra parte, disegnare l’etichetta di un vino è anche un lavoro di ricerca, di gusto, di storia. Bisogna interpretare la cultura legata al terroir nel quale il vino viene prodotto. Le etichette devono esprimere le loro radici e la personalità del vino, devono marchiare un prodotto sempre riconoscibile. “Noi eravamo ancora legati alle classiche etichette vecchio stampo – racconta Roberta – in oro e argento. Io per prima ebbi dei dubbi. Quando vidi il bozzetto, dissi: ‘E questa che è etichetta di vino?’ Mio marito Paolo, invece, ne fu subito entusiasta: ‘A mia mi sta piace. Proviamo!’ Beh, da quel momento non l’abbiamo mai più cambiata”.

Le nuove sfide del mercato

paololeoViniNel frattempo, anche l’idea di Puglia del vino comincia a cambiare. Bisogna attrezzarsi per una sfida nuova, mentre intorno cresce l’interesse del mercato dei consumatori. “Il movimento del vino della Puglia ha goduto di un certo incremento grazie all’interessamento della Regione e di alcuni ministri: la Presidente della Regione Puglia, Adriana Poli Bortone, per esempio, ha dato in quegli anni un grande impulso per l’affermazione della Puglia vitivinicola in Italia e all’estero. In quegli anni cominciarono ad avvicinarsi i giovani. Iniziò la curiosità delle associazioni riconosciute dei sommelier e degli assaggiatori: dall’Ais, alla Fis, alla Fisar, all’Onav. Eravamo gli esordi, circondati da aziende storiche come quelle di Leone de Castris e di Candido ai quali va il nostro rispetto e apprezzamento. Dovevamo cercare uno spazio tutto nostro”.

Una sfida vinta, soprattutto grazie alle doti imprenditoriali del marito, Paolo. “Paolo è nato imprenditore. Ha capacità visionarie e sa prendersi i rischi. Un esempio? Poco fuori di qui, al primo incrocio si trova una masseria diroccata. Un posto abbandonato da anni, dove si trovano solo pietre e vegetazione incolta. Paolo se ne è innamorato e ha in mente di realizzare proprio lì un resort 5 stelle. Quando me la fece vedere esclamai incredula: ‘ma questa è una casa di pietre… dobbiamo comprare pietre?’ E lui rispose: ‘Non è così, vedrai che meraviglia…’, condivise il piano che aveva in mente e, in effetti, il progetto è bellissimo”.

Una fucina di nuovi progetti

L’azienda insomma può cominciare a dedicarsi a progetti speciali. Anche perché, nel frattempo, è tanto PaoloLeo1cresciuta. “Oggi possiamo contare su 25 ettari di proprietà – dice Roberta – e abbiamo l’obiettivo di raddoppiare. In più, abbiamo un progetto qualità con conferitori storici che ci affidano le vigne. E poi il progetto di questa nuova masseria. Il 70-75% del prodotto è venduto all’estero, il resto nei canali Ho.re.ca Italia. Abbiamo lanciato una linea per la gdo, Pianerosse, e uno shop online (www.sfiziosalentino.com) per la promozione e vendita dei prodotti salentini. Siamo in evoluzione continua, anche perché abbiamo di fronte un mondo mutevole: l’ingresso dei nuovi consumi giovanili, l’uso del vino per lo spritz, lo spumante di Negroamaro (prima mandavano l’uva in Veneto, ma dal 2015 lo facciamo qui con le nostre autoclavi). Queste richieste del mercato un tempo non erano nemmeno valutate. In più, produciamo grappe dalle vinacce di negroamaro e di primitivo, olio dalle nostre olive nel nostro frantoio, un passito di primitivo. Di recente, Tacco Rosso, che noi consideriamo il nostro ‘fashion wine’ ha ottenuto i due bicchieri del Gambero rosso. E poi c’è tanta comunicazione da fare perché come produttori di Negroamaro e Primitivo ci conoscono ancora poco”.

La riscoperta delle uve bianche della Valle d’Itria

L’ultima recente novità viene dal Vinitaly dell’anno scorso. L’intuizione è semplice: la Puglia non è solo pianura. Basti pensare ai vini bianchi pugliesi che trovano il loro terroir elettivo nella valle d’Itria: il Verdeca, il Bianco d’Alessano e il Minutolo. Vini ‘riscoperti’ grazie alla passione e all’esperienza dell’enologo Lino Carparelli che da anni sta portando avanti un prezioso lavoro di recupero e valorizzazione dei vecchi vitigni a bacca bianca. Lo scorso anno Cantine Paololeo – con l’apporto di Nicola Leo, uno dei figli di Paolo e Roberta, enologo di famiglia – ha deciso di ‘cavalcare’ questa felice intuizione con la produzione una nuova linea: ‘Alture’. “Le potenzialità di questa nuova etichetta sono davvero interessanti”, spiega Nicola. “Abbiamo già prodotto oltre 6 mila bottiglie dell’annata 2015 per ciascuna delle tre referenze di vini bianchi della linea, il Verdeca, il Bianco d’Alessano e il Minutolo. L’interesse crescente che stiamo riscontrando da ristoratori e operatori del settore attesta la bontà della nostra scelta, che intende portare alla ribalta vitigni della nostra regione finora ingiustamente trascurati”.

Un tesoro nascosto tra i ruderi

L’azienda sembra non fermarsi mai. In questo senso la capacità pionieristica di Paolo gioca un ruoloPaoloLeo3 cruciale. Proprio lui, nell’agosto del 2012, acquista la masseria Carritelli, un’antica fattoria nei pressi di una cappella votiva, sulla vecchia strada che collega San Donaci con Campi Salentina (la vicenda è raccontata nel sito www.dorsorosso.it).

Un pomeriggio, durante un giro tra i vigneti, Paolo cerca riparo dalla calura estiva in quello che all’epoca era poco più di un rudere. Nella stanza che un tempo era stata la cucina c’è un enorme focolare. Alla base del camino un piccolo foro, mai notato prima. Incuriosito, rimuove le pietre intorno fin quando trova uno scrigno all’interno dell’intercapedine. Nella cassetta erano riposti un portamonete a fisarmonica, una bottiglia di vino ed un quaderno dal dorso rosso. Nel quaderno, il nome riportato in prima pagina è quello del suo bisnonno. Segue una scritta: “Conti e prezzi uva del 1923”. Tra le pagine, anche un piccolo pezzo di pergamena scritto in greco. Era la vecchia ricetta di un vino. Un professore di letteratura classica, consultato giorni dopo, intuisce che quella pergamena contiene le istruzioni dettagliate su come realizzare un particolare tipo di vino. Forse è l’inizio di una nuova storia d’impresa