Madonna del Latte: una piccola grande sorpresa nel cuore dell’Umbria

di Vittorio Ferla

 

“I miei genitori venivano da un’attività nel mondo del turismo. Sono stati imprenditori del settore per 30 anni. Una vita passata negli alberghi. Ad un certo punto si sono detti: dobbiamo fermarci e piantare radici. Mia madre, poi, aveva il sogno di un’azienda vitivinicola. Per caso, a Orvieto, hanno visto degli annunci di vendita di terreni molto interessanti nella località di Sugano. Hanno commissionato lo studio del terreno: un terreno vulcanico, molto minerale, ideale per la viticoltura. Subito dopo hanno firmato l’atto. C’era anche un rudere abbandonato che cadeva a pezzi. Insomma, nel 2000 abbiamo acquistato il rudere e i terreni. E da lì parte la nostra storia”.

Dalla Baviera a Orvieto, passando per il mondo

IMG_6629Leon Zwecker è un giovane enologo, per metà bavarese e per metà veneziano. I suoi genitori, Hellmuth Zwecker e Manuela Zardo, dopo aver raccontato l’Italia del cibo e dell’arte con la loro attività pubblicistica, hanno deciso di fermarsi su una collina umbra di fronte ad Orvieto, investendo sul vino. Leon è originario di Rosenheim, una cittadina di 60mila abitanti a sud di Monaco, molto vicino all’Austria. La Max-Josefs-Platz, un tempo la piazza del mercato, è il salotto della città, circondata da pregevoli palazzi, dalle tinte pastello e abbelliti da fregi di gusto settecentesco. La principale manifestazione è la Herbstfest (Festa d’autunno), una piccola Oktoberfest che attira ogni anno circa 1 milione di persone e si svolge per due settimane a partire dall’ultimo sabato di agosto: quest’anno si svolge dal 27 agosto all’11 settembre 2016. Il passaggio dalla piccola, ordinata ed elegante realtà bavarese ai ruderi delle colline umbre non è stato facile. “Ci voleva tanta immaginazione e fantasia quando ci hanno portato qui”, spiega Leon. “Ricordo che mia sorella ha pianto appena ha visto i ruderi. Per me, però, è stata una bella occasione. Ho studiato enologia in Austria. Ho fatto esperienza in Alto Adige, Friuli, California e Nuova Zelanda. Quando siamo partiti, però, mia madre ha chiesto aiuto all’agronomo Federico Curtaz, che era suo amico”.

Competenza e visione per un vino sorprendente

Originario della Val d’Aosta, Federico Curtaz ha girato l’Italia in lungo e in largo: quindici anni trascorsi in IMG_6627Gaja, poi una società di consulenza, l’attività in tutta la penisola e il contributo alla nascita di grandi vini, fino all’ultima tappa sull’Etna, dove ha acquistato alcuni ettari e ha dato il via alla Tenuta di Fessina di Silvia Maestrelli.  A proposito dell’Umbria ha detto: “Ha un enorme potenziale. Sono piccole gocce di vino stillate da un cuore pulsante. Orvieto – e in generale tutta la zona nord a confine con la Toscana – è un territorio che ci riserverà piccole grandi sorprese”.

Una di queste sorprese è proprio Madonna del Latte, la piccola azienda di Leon Zwecker. Qui le viti prosperano su terreni sabbiosi e vulcanici, ben esposti e ben ventilati, a 450 m di altitudine. “Abbiamo scelto le varietà proprio con Curtaz. Visto che mia madre è veneta abbiamo piantato subito il Cabernet Franc e poi il Cabernet Sauvignon per fare il blend. Da qualche tempo, ci aiuta Paolo Peira, enologo romano, piemontese di origine, specializzato alla Facoltà di Enologia di Bordeaux. Grazie a lui abbiamo diversificato. Gli ho chiesto, per esempio, se avremmo potuto fare qui il Pinot Nero. È un vino che amo molto perché è snello, elegante e delicato. Paolo mi ha dato l’ok: l’altezza, l’escursione termica e il terreno vulcanico potranno garantire un bel risultato. Il Pinot nero è stato innestato. Il bello dell’innesto è proprio questo: i tempi sono più brevi e lo vediamo già ben sviluppato, dà soddisfazione. I primi risultati verranno a marzo, saremo in produzione già l’anno prossimo”.

Artigianato e tutela ambientale

Chiediamo quanto produce l’azienda e se ha progetti di crescita. “Abbiamo appena cinque ettari: quattro sono nostri e uno, dedicato all’Orvieto doc, in affitto. Ci confrontiamo con piccole quantità per garantire un lavoro attento. IMG_6662Facciamo 20mila bottiglie l’anno. E ci sta bene così. Voglio fare io con le mie mani. Voglio fare l’artigiano, non il manager di una ditta. Vendiamo tanto in Germania, negli Usa e in Italia”. E aggiunge: “Per noi produrre vini nel rispetto più assoluto dell’ambiente, senza l’uso di diserbanti, concimi chimici o insetticidi è, oltre che una cosa ovvia, una necessità. Siamo in zona di tutela ambientale assoluta, sopra una fonte di acqua minerale. All’interno di questa rupe c’è la fonte del Tione. Sotto di noi c’è un lago sotterraneo. Anche per questo devo fare attenzione a usare la chimica. Non uso nemmeno il letame che contiene dei batteri: potrebbero rovinare l’acqua che sarà imbottigliata come minerale. L’azienda è quindi completamente biologica, ma non ho certificati per evitare le lentezze burocratiche. In più abbiamo i pannelli fotovoltaici per garantire acqua calda ed energia”.

Quanto vale l’Orvieto?

“C’è ancora il problema dei costi: dovremmo chiedere dei prezzi alti per la qualità della nostra produzione, ma qui c’è una storia diversa, la gente è abituata a prodotti di qualità inferiore e a prezzi più bassi. I nostri vini più cari arrivano al massimo a 26 euro. La Toscana, viceversa, ha un brand consolidato e il vino prodotto lì può costare di più. In Umbria è diverso. L’Orvieto doc ha il nome rovinato come il Frascati: sono considerati da anni vini da 1 euro. Ma la responsabilità del vino cattivo non è dell’uva, la IMG_6618responsabilità è degli uomini che vinificano. E noi il vino lo facciamo bene. Anche per questo motivo, con gli altri produttori della zona – Palazzone, Neri e Mottura – cerchiamo di spingere l’immagine del nostro territorio e del vino che produce: incontri con giornalisti, eventi nei ristoranti, degustazioni comparate con vini importanti di altri territori (come lo Chablis) perché solo dal paragone con grandi vini si vede che abbiamo vini buoni anche noi”. E qui potete leggere le nostre degustazioni.

L’impegno per cambiare è tanto. “Facciamo ancora l’Orvieto doc, ma dal prossimo anno sarà aggiunta la denominazione ‘classico’, perché lavoriamo con vigne di 30 anni di amici. Il confine dell’Orvieto non è preciso, ma sotto il nostro vigneto c’è il confine”.

Un territorio vulcanico

Leon crede molto in questa terra. “Tutta vulcanica, da Orvieto, nel cui territorio ci troviamo, fino a Bolsena. Giù hai più sabbia e argilla. La rocca di Orvieto è una rimanenza di strato vulcanico. Più in là ci sono le crete piene di limo e diventa roccia bianca”. Una terra particolarmente vocata. Come si legge nel sito, Papa Paolo III considerava i vini rossi che vi si producevano già allora “perfettissimi sia per il verno, quanto per la state” e ne faceva portare a Roma grandi quantità. “Il tufo è materiale vulcanico molto compatto. Ha una composizione complessa di minerali. Qui ho solo pochi centimetri di terra e le piante devono scavare molto: quando l’uva deve combattere per sopravvivere dà più sostanza al seme e al chicco per mantenere la specie. Inoltre, il materiale poroso trattiene l’acqua durante le precipitazioni invernali e rilascia l’umidità nei mesi caldi: in pratica, non ho mai problemi di siccità”.

La mano dell’uomo

IMG_6674E poi c’è la mano dell’uomo. “La persona più importante dell’azienda è Aldo. Aldo è nato è cresciuto in questa casa. Qui vivevano tre famiglie che avevano creato un piccolo sistema di agricoltura mista. Per vivere bene, però, Aldo doveva andar via per fare altri mestieri – come il cameriere – nella Roma industriale. Quando siamo arrivati noi, lo abbiamo coinvolto e per lui è stato come tornare a casa. Aldo è la persona più importante: sta sempre qui, non devi spiegargli molto, ha un enorme legame con il paese e le persone. Lo conoscono tutti: se ci fosse da eleggere un sindaco, sarebbe sicuramente lui. E grazie a lui siamo accettati anche noi”.

Madonna del Latte coltiva una serie di passaggi essenziali per rispettare il frutto e garantire il migliore prodotto finale. Un impianto stretto 70 centimetri tra le piante e 2 metri tra i filari. Una produzione di 1kg per pianta. Raccolta a mano dell’uva a grappolo intero in piccole cassette. E poi tutta la vita di cantina, dalla fermentazione all’affinamento. Nel 2007 è stata creata una moderna cantina di vinificazione, con tutti gli standard necessari per produrre al giorno d’oggi un vino in grado di competere con i più alti standard qualitativi. “Tanti piccoli dettagli: la somma di questi fa il vino”, spiega Leon. “Per realizzare questa cantina per le fermentazioni abbiamo scavato la collina di tufo. Abbiamo fatto tre ‘volte’ sul tetto per ricordare anche nell’architettura le grotte che c’erano qui. Questo è il mio regno”.

Una spettacolare cantina nel tufo

IMG_6647La cantina d’invecchiamento, invece, rappresenta una spettacolare sorpresa: è una grotta scavata in un cunicolo di tufo, ricorda le tombe etrusche. “Quando arrivammo noi – racconta Leon – qui c’era un deposito di rifiuti. Abbiamo scoperto solo dopo quanto fosse profondo questo spazio e come poteva essere usato. Era come scavare per cercare un tesoro. Ricorda molte tombe etrusche: mio padre era storico dell’arte e pensa che potevano esserlo davvero”. La temperatura e il grado di umidità sono ideali per ospitare tonneaux e barriques in rovere francese, dove il vino può maturare in condizioni privilegiate. “Il nostro vino Sucano va nella barrique nella grotta. Sulle pareti si vedono i minerali, il tasso di umidità è alto, mantiene 12-14 ° tutto l’anno. Calma e silenzio garantiscono nessun disturbo per il vino. Attenzione, però: io uso il legno con attenzione, non voglio che sia invasivo. Il legno può coprire quindi uso botti di 5-6 anni. Voglio che le botti siano soprattutto dei mezzi tecnici piuttosto che degli strumenti per dare sapori. Lavoriamo per ottenere vini delicati e profumati, non sono corpulenti ma femminili. E per garantire la diversità aromatica hanno un ruolo le escursioni termiche che questa zona garantisce”.

Madonna del Latte: quasi un gioco

IMG_6666Portare la gente qui è quello che mi piace. Organizzo degustazioni per i miei visitatori unendo il vino ai prodotti caseari della zona”. In casa c’è una antica botte che viene dalla Germania: è un regalo di amici e sembra un’opera d’arte. In cucina sono rimaste le vecchie travi di legno, ma cemento armato e acciaio sono stati necessari per reggere la casa. “Perché Madonna del Latte? Quando siamo arrivati qui abbiamo visto che nella Cappella dell’Angelo c’era un quadro di Maria Lactans: abbiamo scelto di adottare questo nome. Nelle etichette abbiamo privilegiato il bianco che ricorda il latte e la ‘M’ della Madonna. Come marketing funziona bene”.IMG_6660

Dalla scelta del nome e della linea grafica dell’azienda alla selezione dei vini dal campo alla cantina, “gioco tanto”, dice Leon. “L’unico capo che ho è la natura. Faccio esperimenti. Mi sento un bambino grande”. Dopo aver assaggiato i vini – tra i quali un sensuale Viognier – ci auguriamo davvero che il gioco e il divertimento di Leon Zwecker continuino a lungo.