Franchetti, un innovatore del vino alla scoperta di un vulcano

 

di Vittorio Ferla

Che cosa vuol dire precisamente innovare? Specie in un mondo come quello agricolo in cui alcune variabili (dal clima, al terreno, agli agenti naturali) sono tanto determinanti quanto indipendenti dalla volontà dell’uomo? Una domanda che è inevitabile farsi se si va sull’Etna – come ha fatto il sottoscritto nel dicembre scorso – a far visita all’azienda Passopisciaro di Andrea Franchetti.

 

A mille metri, sulle sciare di lava

Casale dell'azienda Passopisciaro

Casale dell’azienda Passopisciaro

Arrivarci è già una scoperta. La responsabile delle visite è davvero molto cordiale ed efficiente e trasmette via mail delle indicazioni puntuali con tanto di percorso e foto. Dovrebbe essere impossibile perdersi, ma, in realtà, anche per chi conosce queste zone non è affatto facile. Superata Linguaglossa e arrivati a Passopisciaro bisogna arrampicarsi ancora. L’azienda è posizionata a mille metri circa su una delle tante sciare provocate dalle antiche colate laviche. Fa pensare che proprio in un posto così apparentemente ostile abbia scelto di piazzare il suo quartier generale un imprenditore toscano già pienamente affermato e che non aveva certo bisogno di ‘avventure’.

Andrea Franchetti, infatti, è il patron dell’azienda Tenuta di Trinoro, in Val d’Orcia. Una valle che ha qualcosa di speciale. “È un vantaggio fare il vino nella stranezza climatica – scrive Franchetti a proposito della Val d’Orcia – perché le viti si comportano in maniera distorta e i vini sono sorprendenti. Chi arriva in un luogo vergine e deserto come la Val d’Orcia trova immagini potenti che vengono fuori da forze senza nome. Un viticoltore può corteggiare queste immagini per anni senza capirle mai del tutto, ma intanto trasmette uno stile unico ai suoi vini”.

Ecco, si capisce com’è che Franchetti è finito sull’Etna. Anche qui è possibile trovare terre vergini, una natura potente, una continua scommessa. Innovare è anche questo: accettare una sfida, scegliere l’eccezione.

 

Dalla Val d’Orcia all’Etna

“Franchetti si è cimentato nella Val d’Orcia alla ricerca dei terreni più adatti, annusando aria e terreno.

Vincenzo Lo Mauro

Vincenzo Lo Mauro

L’arrivo sull’Etna risale a 15 anni fa. Autodidatta, la sua scelta è per vini di eccellenza, con una preferenza per i tagli bordolesi (Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, Petit Verdot, ma anche Cesanese d’Affile). A causa dell’analogia dei terreni e dei suoli, ha portato questi vitigni in Sicilia: qui ha trovato, per esempio, gli stessi terreni vulcanici del Cesanese, anche se qui c’è più scheletro e meno terra”. A parlare è Vincenzo Lo Mauro, il manager della cantina Passopisciaro (vedi la foto). Lo Mauro è palermitano, viene da Petralia Sottana, paesino sulle Madonie, lavora qui fin dall’esordio dell’azienda. Con lui Franchetti condivide la responsabilità delle fasi di coltivazione in vigna e delle pratiche in cantina. È lui che mi introduce alla visita. “Non ho studi di agronomia, né di enologia. Ma una grande passione per le vigne e per il vino”. Poi è arrivato Franchetti: “Fa solo vini di qualità. Ci siamo conosciuti facendo il diradamento a Rampante, che è una delle contrade di questa zona. Ho abbandonato lo studio di ragioniere per lavorare qui”.

Rivela Lo Mauro: “All’inizio, il Nerello mascalese – che è il vitigno autoctono dell’Etna – non gli piaceva, non capiva cosa ne veniva fuori. Pertanto, introdusse i vitigni che meglio conosceva: Chardonnay, Petit Verdot, Cesanese d’Affile”. Per fortuna, aggiungiamo noi, l’incomprensione col vitigno principe dell’Etna è durato poco. “Franchetti aveva in mente l’Etna Nord, da sempre più vocata alla viticoltura – spiega Lo Mauro – e dopo un po’ di passaparola ha trovato 39 ettari proprio qui: quando si dice un posto destinato a te. Nello stesso periodo arrivano Marco De Grazia (proprietario della Tenuta Terre Nere) e Frank Cornelissen: tutti e tre insieme, a partire dal 2002, hanno sconvolto e rinnovato il modo di fare il vino sull’Etna”.

 

Rinnovare il modo di fare il vino

“Prima il vino nemmeno si imbottigliava – continua Lo Mauro – c’era solo lo sfuso. Quasi ogni singolo abitante aveva un pezzetto di vigneto, ma erano poche le aziende: Torrepalino, Cottanera e qualche altro. Alcuni viticultori avevano i classici tendoni, facevano produzioni massive, imbottigliavano qualcosa ma la gran parte del raccolto era ceduta ai pochi imprenditori locali. Poi nel tempo hanno riqualificato, ma prima da qui veniva poco. Adesso si fa una viticoltura più precisa che prevede un sacrificio maggiore: per ottenere risultati di qualità bisogna diradare tanto, sfoltire i grappoli. Una volta si raccoglievano anche i chicchi caduti: “pure i coccia!”, si dice in dialetto siciliano. Ricordo che nell’agosto 2001, osservando questi diradamenti, il vecchio proprietario stava male. Il nerello mascalese ha già una produttività bassa: 3 kg per pianta. Ora lasciamo 1 kg d’uva cioè 4-5 grappoli per pianta: la resa per ettaro è dimezzata”.

Molte novità e modifiche furono introdotte a livello di viticultura nel rispetto della tradizione: “qui c’è un patrimonio inestimabile dal punto di vista delle piante – spiega Lo Mauro – che spesso arrivano ad avere 80-100 anni d’età. Ci sono grandi viticultori in questa zona, ma pessimi enologi: gli agricoltori qui non riuscivano a fare il vino. Noi abbiamo optato per una vendemmia più tardiva: arriviamo fino a fine ottobre-metà novembre. Abbiamo optato per prodotti naturali, anche se non hanno la certificazione del biologico-naturale, usiamo il rame quanto meno possibile: per fortuna qui le malattie come la peronospera sono rare”.

 

Un po’ di Bordeaux sul vulcano

Lo Mauro e le vigne

Lo Mauro e le vigne

All’inizio, si è detto, la scelta va per il “taglio bordolese”. Una mescolanza di vini diversi per vitigno, per provenienze o per età, a partire dai vitigni tipici della regione del Bordeaux in Francia, ovvero: Cabernet Sauvignon e Merlot, in primo luogo. Ma anche Petit Verdot e Chardonnay. Non è un caso. Franchetti viene dalla Toscana che è la regione traino in Italia per questo tipo di prodotti.

Nella Maremma grossetana, per esempio, Duccio Corsini produce un vino a base di Cabernet Sauvignon e Merlot, oltre a piccole percentuali di Pétit Verdot e Syrah: pare che questi vitigni funzionino meglio di altri. Allo stesso modo, Luigi Malenchini e Leonardo Frescobaldi trovano i bordolesi interessanti perché riescono a esprimere bene il territorio: il primo li ha piantati in Maremma (Castello Ginori) e il secondo nella tenuta Castello di Nipozzano. Lo stesso ha fatto Franchetti in Val d’Orcia. E poi qui sull’Etna.

“Nasce, così, qui in contrada Guardiola, il vino Franchetti – spiega Lo Mauro – 3.500-3.700 bottiglie di un blend di Petit Verdot e Cesanese d’Affile, piantati appositamente: il sistema di allevamento prevede un impianto molto stretto di 90 x 90cm con 12 mila piante per ettaro, grande concentrazione di grappoli, diradamenti importanti con 500 grammi per pianta. Le piante sono molto basse, a 40 cm da terra, con sistema guyot: sembrano delle siepi molto precise. Dopo la fermentazione in acciaio, c’è il passaggio in barrique per 4-6 mesi e poi nei contenitori di cemento. La stessa impostazione per lo Chardonnay: produciamo 20mila bottiglie ad oltre 900-1000 m in contrada Guardiola”.

“Sull’Etna si verifica una cosa impressionante – aggiunge Lo Mauro – qui cambia tanto: a seconda del terreno ci sono mille varianti. In più ci sono escursioni termiche pazzesche. Lo Chardonnay che cresce qui dà risultati molto diversi. In generale, qui sulle pietre e sabbie laviche abbiamo vini più minerali” (Per una conferma leggete il racconto delle degustazioni).

 

La scoperta dei vini di contrada

È proprio questa specialità che convince presto Franchetti a investire sui vitigni autoctoni. “Dal 2008 – racconta Lo Mauro – abbiamo cominciato a proporre vini di contrada: ci siamo accorti che i vigneti cambiano l’uno dall’altro, a secondo del terreno. Vinifichiamo tutto separatamente perché ci sono differenze enormi tra le varie contrade. Ogni contrada, ogni vallone, ogni giacitura sono costituiti da lave di colate diverse che diversamente si sono evolute in suoli produttivi: ognuna produce uve dai sapori diversi”. E così – oltre al Passorosso che è il Nerello base con 40 mila bottiglie – dalle diverse proprietà di contrada sono nate altrettante specialità, con 2.500 bottiglie per cru.

La contrada Chiappemacine sta a 500m: è un terreno arenario con tracce di calcare che offre vini più pronti e immediati con profumi delicati di ciliegia e gusto armonioso.

A 600-650 m si trova contrada Porcaria: attaccata a Passopisciaro sembra un piatto che si piega a guardare a sud. Terreno quasi argilloso, con un clima più mite. Esprime un vino potente, con profumi di fragola e sapore avvolgente.

Contrada Rampante sta a mille metri: il terreno è povero e sabbioso, la maggior parte delle viti sono ad alberello. Questo vigneto viene vendemmiato per ultimo: da qui viene un vino di montagna con acidità più spinta, tannini fini, aroma di fiori, gusto asciutto, eleganza massima.

Il vigneto di Contrada Sciaranuova è posto a 850 m: anche qui il terreno è sabbioso ma è ben soleggiato. Produce un vino complesso, profondo e fruttato che mantiene la freschezza.

“Il campione di questi cru – spiega Lo Mauro – è il Nerello Mascalese. Questi vini reggono molto bene anche dopo 10 anni: è una novità perché un tempo il Nerello virava verso l’aranciato in pochi anni. Se è fatto bene, il Nerello può essere molto elegante, non più solo caldo e potente. Oggi abbiamo vini fini, precisi, eleganti, puliti: qualcosa che non ti aspetti”.

Vini di contrada: il futuro prossimo venturo dell’innovazione sull’Etna è qui.