Etna: quel teatro di vigne sul mare. Radici e novità per il Barone di Villagrande

 

di Vittorio Ferla

 

Dal poggio della tenuta del Barone di Villagrande sull’Etna si gode di una vista spettacolare: a destra si può ammirare l’anfiteatro di vigne, ormai assurto ad icona dell’azienda; a sinistra, la valle che degrada verso il mare Ionio. Cominciamo la nostra visita proprio da qui.

 

Un anfiteatro di fronte al mare

“Abbiamo in tutto 18 ettari. Di questi, 16 stanno di fronte a noi e ospitano le piante di Nerello e Carricante. Gli altri due ettari stanno a Salina dove produciamo la Malvasia delle Lipari. Le nostre vigne vanno dai 40 agli 80 anni di età. In genere, nel territorio della doc dell’Etna rosso, l’equilibrio prevede un 80% di Nerello mascalese, caratterizzato dal tannino più forte e dal pigmento più scarico, e un 20% di Nerello Cappuccio che è quasi privo di tannini, ma ha molto colore e molto frutto. Negli anni abbiamo imparato che ogni vigna ha un suo ecosistema: nelle annate in cui il Nerello mascalese risulta più acido, la vigna produce più Nerello cappuccio. Davvero incredibile questo equilibrio interno della natura”. A parlare è Barbara Liuzzo, la responsabile della comunicazione e del marketing dell’azienda Barone di Villagrande. Ci introduce alla visita con la precisione del manager e l’entusiasmo di chi ama quello fa.

 

L’Etna: da Milano al Quebec

“La zona del comune di Milo in cui ci troviamo – spiega Barbara – è l’unica che può fregiarsi della denominazione Etna Bianco superiore. E’ una zona di montagna, molto vocata per il bianco. Siamo a 700 metri e abbiamo tutto: la neve, il vento, la pioggia e il sole. Il vulcano, poi, ci regala frequenti eruzioni, specie d’estate”.

 “Qui la fillossera è aggressiva – continua – non possiamo mettere l’alberello. C’è tanta pioggia. Abbiamo scelto il guyot perché gode della brezza del mare; l’alberello, invece, è più esposto alla marcescenza. Le 80 mila bottiglie che produciamo vanno tutte nel canale dell’Horeca. Il 70% va all’estero. Negli Usa a New York e California, in Europa siamo presenti in Belgio, Germania, Danimarca. Lavoriamo molto bene nel Quebec, dove c’è il monopolio della distribuzione, e una volta che il prodotto ‘gira’ fanno direttamente l’ordine”.

“Ho lavorato a Milano a Luxottica. Sono bravissimi e ho imparato tanto. Da qualche anno – racconta Barbara – sono diventata l’altra metà di Marco”. Marco è Marco Nicolosi: rappresenta l’ultimo ramo della famiglia ed è l’enologo dell’azienda. Barbara è l’altra metà. In tutti i sensi. Perché è la moglie di Marco e la manager dell’azienda. “Sono una persona molto autonoma – spiega – ho dedicato tanto alla carriera. Un giorno Marco mi dice: vieni a lavorare qui, puoi fare quello che ti pare. E io: quello che mi pare? Vediamo se è così”. Insomma, nasce quasi come una piccola sfida. E adesso? “Devo dire che è stato vero. Ho grande autonomia e spazio per promuovere l’azienda come piace a me. Va bene così!”, conferma con un sorriso.

Anche il piccolo resort nasce grazie alla sua iniziativa. “Quattro anni fa abbiamo pensato 

ad una evoluzione ‘godereccia’ del progetto. Abbiamo realizzato quattro camere con la piscina. Volevamo condividere con gli enoappassionati e i visitatori il nostro spazio. Questa è una azienda complessa. Il prodotto costa, così come il personale. 

Abbiamo 10 persone tra vigna e cantina. È importante ‘fare territorio’. Chi viene qui resta legato. Gli ospiti tornano a casa, mi scrivono, parlano dell’Etna con gli amici. Spediamo in America e in Europa anche grazie all’ospitalità che offriamo nel wine resort. La gran parte dei nostri ospiti viene dal Nord Europa, da Londra, dagli States”.

Al centro, la giovane Chef Giulia Carpino

Annesso al resort c’è anche un piccolo ristorante gourmet animato con bravura e
passione dalla giovanissima chef Giulia Carpino. Chi viene qui può deliziarsi con piatti deliziosi che esprimono con allegria e fantasia il meglio del territorio. Tra gli altri: la 

marmellata di arance e finocchi con il pepato siciliano, gli arancini della tradizione reinterpretati al vino rosso dell’Etna prodotto della casa, i cavatelli alla ‘tuma persa’, conditicon pomodoro e melanzane affumicate alla nocciola e aromatizzati con menta e basilico, il cannolo scomposto con fragole e salsa di cioccolato.

 

 

 

A Milo una cantina che ha fatto la storia

Imperdibile per i viaggiatori, la visita della storica cantina, attiva dalla metà dell’800, tra le prime in Sicilia. “Il palmento – spiega Barbara – è disposto su tre livelli. Il più alto, un tempo, serviva per schiacciare l’uva e oggi ospita gli uffici. Il secondo livello era dedicato alla fermentazione. L’ultimo, sottoterra, serviva per l’affinamento e contiene sia le antiche botti centenarie ormai esauste che le botti moderne in piena ‘attività’. Tutta la fase dell’imbottigliamento avviene qui, come pretende il disciplinare.

Pare che l’Imperatore Carlo VI d’Asburgo abbia concesso il titolo di Barone di Villagrande a Don Carmelo Nicolosi proprio in virtù della dedizione riportata nella cura dei vigneti e nella produzione di vini di prestigio. Era l’anno 1726. Nella seconda metà dell’800 Paolo Nicolosi introdusse per la prima volta una doppia linea di vinificazione che consentiva di separare le uve bianche dalle uve rosse. Prima di allora, sull’Etna e in gran parte d’Italia, uve bianche e rosse venivano vinificate insieme per la produzione di un unico vino. Nel 1948 Carmelo Nicolosi Asmundo, di certo tra i primi in Sicilia e in Italia, imbottigliava in bordolese da 0,75 litri la prima riserva di Etna Rosso che sarebbe stata immessa al consumo. A quanto pare dai documenti storici, i Baroni di Villagrande hanno avuto un ruolo cruciale nel riconoscimento della Doc Etna nel 1968 con il lavoro di stesura del disciplinare realizzato da Carlo Nicolosi Asmundo.

 

Una rivoluzione aziendale e generazionale

Fin qui la storia. Ma lo sguardo dell’azienda odierna non è rivolto all’indietro. Nessuna concessione ai gradi di nobiltà. Nessuna rievocazione di miti passati. Nessuna insistenza sull’araldica. Barone di Villagrande, al di là del nome atavico e aristocratico, si presenta come un’azienda moderna, giovane, brillante. In primo luogo, per l’età e le qualità di Marco e Barbara, le due giovani guide. Ma anche per le scelte da loro compiute. Sul piano enologico, dall’impronta di Marco derivano prodotti freschi, contemporanei, spigliati, anche quando prevedono il passaggio in legno. Sul piano della comunicazione, la mano di Barbara si vede, per esempio, nell’accoglienza e nel nuovo stile grafico delle etichette.

Marco Nicolosi conferma: “Siamo cambiati tanto. Abbiamo compiuto una piccola rivoluzione aziendale e generazionale. Con qualche trauma, certo. Ma tutto sommato il cambio è stato fluido. Papà è stato male e ha lasciato più spazio. Io mi sono laureato a Milano. Poi abbiamo ragionato di tutto. Per 8 anni siamo stati silenti per concentrarci sul lavoro in vigna. Se non hai qualcosa in mano, non riesci a comunicare. Allora i tempi non erano ancora maturi. Oggi possiamo cominciare a raccogliere i frutti di questo lavoro”.

“Qui a Milo – spiega Marco – possiamo godere di caratteristiche diverse: c’è sempre brezza perché siamo di fronte al mare. Il nostro territorio è parecchio più piovoso rispetto ad altri dell’Etna e, a maggior ragione, della Sicilia. Grazie a questo microclima, l’uva bianca viene sempre meglio, ha grande freschezza perché piove e il terreno favorisce la pianta. Anche il suolo è particolare: terre nere laviche, frutto del collasso della Valle del Bove, fatto anche in parte di limo e ciottoli, con un mix di diverse colate laviche e di sostanze organiche. Sono suoli geologicamente più antichi”.

Dalla ricerca enologica del giovane Marco, cominciata dalla tesi di laurea, emerge una linea di prodotto con una identità originale. Da una parte, l’uso dei tonneau di rovere francese per i bianchi. Dall’altra, l’uso delle botti di castagno dell’Etna (da 560 litri) per il Nerello mascalese. “Prima – racconta Barbara – aveva provato rovere di slavonia, rovere americano e ciliegio. Alla fine ha preferito il castagno: il suo tannino si avvicina di più a quello del Nerello mascalese”. Viene fuori così un prodotto molto riconoscibile in cui il legno non deve eccedere, ma serve solo per dare longevità al vino.

 

Questioni di ‘etichetta’

Non basta. Come avevamo anticipato, l’impronta moderna dell’azienda si ritrova anche nella comunicazione grafica. “Quello dell’etichetta – racconta Barbara – è un progetto che mi ha preso tantissimo. Volevamo trasmettere la nostra personalità anche attraverso lo strumento delle immagini”. Da qui nasce la collaborazione con Alfredo Guglielmino, grafico, designer, illustratore e decoratore. Diplomato all’istituto d’arte di Catania, vive e lavora per quattro anni a Milano. Tornato in Sicilia, Gugliemino sviluppa un suo specifico immaginario ispirato da artisti-guida come Chagall e Picasso. Barbara lo incontra per caso, lui va a trovarli in azienda e promette: “faccio delle illustrazioni di te, di Marco, di voi e dell’Etna”. Nasce da qui la linea grafica che rappresenta l’Etna come un volto di donna sdraiata nelle sue tre espressioni vinicole: in bianco, in rosa e in rosso. Qualcosa che ricorda davvero le atmosfere trasognate e leggere di Chagall. Estremamente distanti dalla solennità degli stemmi araldici che spesso appesantiscono le etichette del vino. Scelte innovative e giovanili, dunque, e prodotti dalla spiccata identità territoriale: sia nella sostanza enologica che nel messaggio iconografico.

Una identità territoriale confermata anche dalla collaborazione con altre aziende locali. “Dalla Asilat – spiega Barbara – una azienda agricola a 1 km da Milo che alleva asine per la produzione di latte per uso alimentare e per uso cosmetico, utilizziamo quintali di sterco di asino. Noi forniamo il favino per gli asini. Tutte le scarpate qui intorno le utilizziamo per la coltivazione ad orto di erbe aromatiche. Tutto è meglio qui: anche i pomodori sono più saporiti grazie al potassio e al ferro”.

 

Sulle strade dell’Etna

Da qualche anno il territorio dell’Etna è in fermento. “Rispetto ad alcuni anni fa – dice Marco Nicolosi – è cambiato tutto. Quando sono tornato qui da Milano, l’Etna era ancora un ambiente ostico. La politica dei produttori era quella di parlar male degli altri. E’ sbagliatissimo! Parlar male degli altri non aiuta nessuno. Il territorio non può crescere così. Fare cattiva informazione è sbagliato: bisogna dire la verità. Per esempio, trovo sbagliato denigrare il nostro prodotto: alcuni hanno detto che il Carricante è solo quantità, ma non è affatto così”.

Dal maggio scorso Marco è diventato anche il presidente della Strada dell’Etna, l’associazione che riunisce aziende vitivinicole, imprese agricole e agrituristiche, soggetti della ristorazione e dell’accoglienza che operano nel territorio del vulcano. E’ molto probabile che l’impronta giovane del Barone di Villagrande possa trascinare tutto il comparto, con la collaborazione di altri dirigenti giovani che condividono con Marco e Barbara la stessa specificità generazionale. “All’interno del nuovo Consiglio, ma in generale tra i tanti associati, si respira voglia di aggregazioni e collaborazione – dice Marco Nicolosi –  un desiderio di comunicare con forza questo nostro prodotto. Il gruppo è coeso e affiatato ed è già al lavoro raggiungere importanti obiettivi”. Tra questi, la valorizzazione del ‘progetto Strada’. Nella lista delle cose più immediate da fare: creare un contatto con le imprese del territorio, proporre approfondimenti di conoscenza, concentrarsi sulla fruizione del territorio, senza le banali scorciatoie dei ‘pacchetti turistici’ a basso costo. “Bisogna pensare a un’accoglienza dell’ospite – conclude Marco – professionale ma sincera, competente ma spontanea, per far vivere e non solo visitare, per far conoscere a fondo e non solo percorrere il territorio della Strada”.

A giudicare da quello che abbiamo visto e provato, siamo certi che l’impegno avrà successo: qui leggete i nostri appunti dopo le degustazioni fatte!