Cottanera: vini dell’Etna, bagnati dall’Alcantara

di Vittorio Ferla

Difficile trovare sull’Etna un’azienda come Cottanera. Un’azienda a conduzione familiare, quella dei Cambria – e fin qui nulla di strano – con una estensione vasta, ma tutta unita e compatta intorno al suo nucleo originario. Una rarità, sia perché la superficie vitata della doc Etna è molto esigua rispetto ad altre in Italia, sia perché la proprietà fondaria, sul vulcano, è assai parcellizzata, motivo per cui anche i grandi produttori di vino normalmente hanno proprietà frazionate, in parti diverse del vulcano, addirittura, a volte, su versanti diversi della montagna.

Più di 100 ettari di vigne sull’Etna

cottanera1In tutto 110 ettari a 700 metri s.l.m., di cui 62 vitati, che riposano su quattro contrade dai nomi assai originali: Cottanera, Diciassettesalme, Feudo di mezzo, Zottorinoto. Soltanto il Calderara bianco è realizzato con un ettaro di carricante in conduzione. Il nome Cottanera è legato a un antico borgo rurale che limita i vigneti di famiglia lungo la riva del fiume Alcantara.

“Mio nonno comprò la proprietà nel 1960-61. Qui c’erano diverse proprietà, tutte riunite. Per lo più coltivate a noccioleto. Poi con vigneti a tendone che conferivano le uve alle cantine sociali. I primi a scommettere sul valore di queste terre nere sono stati mio padre Guglielmo e mio zio Enzo”. Incontriamo Francesco Cambria, avvocato di formazione e amministratore dell’azienda, nel cuore dell’impresa vitivinicola, nella campagna di Castiglione di Sicilia, a nord dell’Etna, dove si trovano la casa padronale e la cantina, proprio di fronte al fiume Alcantara. “Siamo negli anni Novanta quando i due fratelli Cambria, Enzo e Guglielmo, si stufano delle cantine sociali che non pagavano e decidono di convertire quello che era un noccioleto in un grande vigneto. I primi impianti riguardano i vitigni internazionali”.

Dai vitigni internazionali alla riscoperta del Nerello mascalese

cottanera4E qui c’è l’altra originalità di questa azienda. In quegli anni, infatti, i vitigni autoctoni dell’Etna sono ancora poco conosciuti e apprezzati. I tempi non erano ancora maturi per credere in quelle uve prive di nobiltà.

“Viceversa – spiega Francesco Cambria – sono molto richiesti i vini ispirati ai vitigni internazionali. Mio padre Guglielmo compra e pianta Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Mondeuse, Syrah, Viognier. Il nostro Brbazzale bianco, per esempio, è un blend fatto con il 70% di viognier e il 30% di catarratto. Sull’Etna non c’era ancora granché, a parte il lavoro di Benanti, Barone di Villagrande e Murgo sul versante orientale e meridionale. Poi, nel corso degli anni, si aggiungono gli autoctoni, i vitigni storici dell’Etna: il nerello mascalese, il nerello cappuccio e il carricante. Mio padre si mette in cerca di antichi vigneti di nerello mascalese, fin quando li trova in contrada Zottorinoto, nel 1997-98: un impianto con 65 anni di età su 4 ettari di terreno vitato ad alberello e filari. Da quel momento, lo prende in conduzione, lo vinifica e alla fine lo acquista. Nel 1999 nasce l’azienda Cottanera. Comincia una viticoltura specializzata per portare progressivamente il nerello sugli altri terreni dell’azienda”.

cottanera6Con la selezione massale vengono scelti i soggetti con le caratteristiche migliori all’interno di un vigneto, si controllano prima della vendemmia le viti e gli eventuali attacchi di parassiti o virosi e si prelevano nel periodo della potatura invernale le marze (la parte della vite che porterà foglie e frutti) adatte per l’innesto sulla talea americana. Il lavoro si completa in vivaio con un controllo accurato di tutte le piante.

“Nel corso degli anni 2000 – continua Francesco Cambria – vengono completati gli impianti. Oggi, grazie al lavoro di mio padre che è venuto a mancare nel 2008, abbiamo 40 ettari di vigneti che rientrano nella doc dell’Etna sui 62 vitati. Mancano ancora tre ettari. Dovremmo arrivare ad avere terrazze di nerello mascalese per un totale di 45-46 ettari”.

Il lavoro tra vigna e cantina

Nella cantina ci sono due vecchi palmenti. Qui sono ubicati le vasche di cemento, il torchio, le cantine e il wineshop. Ci sono i sylos con le temperature controllate.

“Lavoriamo 4 mila quintali di uva all’anno – spiega Francesco – con diverse piccole vinificazioni. Macerazioni a freddo per i bianchi. L’Etna bianco di base fa 6 mesi sui lieviti. Il bianco di Contrada Calderara fa 10 mesi e poi una parte (40%) fa legno in tonneau di secondo passaggio. Poi riunisco cemento e legno e poi acciaio per 1 anno. I rossi vinificano nella vasca d’acciaio con macerazione di 30 giorni a caldo sulle bucce. La fermentazione malolattica si svolge in legno ad almeno 22 gradi. La sala della barricaia serve per l’affinamento. C’è anche uno spazio per lo spumante metodo classico: dal 2011 facciamo 2 mila cottanera10bottiglie di uno spumante blanc de noirs che fa 38 mesi sui lieviti”.

Abbiamo i tonneau per i nerelli e le barrique per gli internazionali – continua Francesco. I tini del nonno per il Barbazzale. Il nerello è un’uva delicata: va esaltata così, in acciaio. Cambia con le differenze di terreno. Ha colore scarico, aromi delicati: vogliamo mantenere integro il frutto. A questo fine, il legno è meno invasivo e tende a preservare la delicatezza del colore e del bouquet aromatico”.

Tradizione e innovazione con le donne del territorio

L’enologo dell’azienda è Lorenzo Landi, toscano, laureato a pieni voti in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Pisa, poi studi in viticoltura ed enologia in Italia. Un lungo periodo in Francia: prima in Borgogna (1992 e 1993), dove ha collaborato tra l’altro con la proprietà Leflaive, poi a Bordeaux al seguito di Denis Dubourdieu. Si è fatto le ossa lavorando per due grandi gruppi vitivinicoli (Cantine Leonardo da Vinci e Saiagricola) per poi lentamente passare alla consulenza con tante cantine in tutta Italia, da Lungarotti a Rocca delle Macìe, da Sant’Antimo a Tenuta di Sesta, attività che gli ha regalato grandi risultati e grandi soddisfazioni.

cottanera11“Landi collabora con noi dal 2003, nel 2004 prima vendemmia. Tutte le operazioni – racconta Francesco – si svolgono a mano e impegnano 30-35 persone, che diventano 40 durante la vendemmia. La raccolta è tutta manuale in cassetta. Puntiamo sulla semplicità della viticultura tradizionale: il vino buono nasce in campagna, in cantina bisogna rispettare ciò che viene dalla terra. Abbiamo i filari inerbiti, le operazioni si svolgono a mano nel rispetto dell’ecosistema con interventi in caso di attacchi parassitari. I momenti della sconcatura e della potatura sono molto importanti. Ci sono 17 donne che lavorano in campagna, 11 uomini sul trattore e altri lavori di forza. Le donne vengono dal territorio, da Mojo e da Castiglione, sono con noi da 15-18 anni e si tramandano le conoscenze. C’è poco di tecnologico, qui, puntiamo sulle tecniche tradizionali”.

Le contrade di casa Cottanera

L’Etna comincia ad essere conosciuta per le sue contrade. L’azienda Cottanera ha terreni in 4 contrade (una di queste, Cottanera, è completamente sua). “Zottorinoto e Feudo di mezzo – dice cottanera22Francesco – sono simili: terreni prettamente lavici, pietrosi e polverosi, caratterizzati dalla terra scura frutto di erosioni di lava. Sull’Etna hai tanti terreni diversi: ogni colata è diversa con una combinazione di elementi di ferro, potassio, zolfo. La contrada Diciassettesalme corre proprio sotto la strada – Francesco la indica dalla terrazza della sua azienda – fino al fiume Alcantara. Qui, all’erosione della lava si unisce l’esondazione dell’Alcantara. Le ‘salme’ sono un’unità di misura pari a 1,50 ettari circa. Millenni fa il fiume scorreva molto più carico e depositava detriti di tipo argilloso: il terreno lì è più chiaro e ha maggiore compattezza. I vini che ne derivano hanno un frutto più pieno rispetto all’eleganza degli altri vini: questi vini sono più decisi, più pieni, hanno più colore, più frutto che fiore. Nella contrada Cottanera abbiamo il nerello per il Barbazzale. C’è anche il carricante. Una sorgente d’acqua naturale demaniale pompa acqua nelle gallerie molto piccole sottoterra: questi canali raggiungono l’Alcantara mantenendo il terreno fresco anche nelle estati più siccitose e le piante, così, non soffrono lo stress. Ottime condizioni per il bianco: il carricante è molto delicato, rischia la cottura, si può imbrunire. Lì, invece, mantiene un alto livello di freschezza”.

Sempre più rivolti al mondo

Oggi, dopo la scomparsa di Guglielmo, Cottanera è guidata dal fratello Enzo e dai figli del suo fondatore: Mariangela, Francesco ed Emanuele. Lo zio Enzo si occupa dell’export all’estero, dove Cottanera vende il 40% dei suoi prodotti. Tra i mercati principali: Usa, Germania, Olanda, Belgio, Inghilterra, Giappone, Cina, Australia, Nord Europa. L’obiettivo è quello di raggiungere il 50% del totale. Una vasta rete di clienti di nicchia perché l’azienda produce una media di 20mila bottiglie per ciascuna varietà, per un totale di 300 mila bottiglie e di 15 etichette. Il fratello di Francesco, Emanuele, cura la parte commerciale con una rete di 52 agenti plurimandatari. Mariangela, la sorella, si occupa dell’ufficio stampa e del marketing.

cottanera15La stanza dove venivano scaricate le uve è diventata, adesso, la sala degustazioni nonché l’archivio vivente delle varie annate di produzione. Sarà sempre più, nel tempo, il polo della degustazione nei programmi di enoturismo dell’azienda. Cottanera è una delle aziende del Consorzio per la tutela dei vini dell’Etna con Marco Nicolosi, Alberto Ajello Graci, Giuseppe Mannino. “Ormai è chiaro. La stagione degli internazionali – conferma Francesco Cambria – va ad esaurirsi. L’Etna per noi è il nerello mascalese e il carricante. La sfida del futuro è proprio quella di rafforzare le nostre uve autoctone ed esaltare le differenze che vengono dalle contrade”.