
di Ilaria Donatio
Cosimo Donateo è salentino, ha 63 anni, gli occhi che sorridono ed è di poche parole, come lo sono certi uomini del Sud: con quella ruvidezza solo di superficie che custodisce quasi sempre una generosità in eccesso, una passione ben assestata. E infatti appena inizia a raccontarla questa passione che ha professionalizzato da tutta una vita, si accende e nessuno riesce più a fermarlo.
Un pizzico alla gola che fa bene
Cosimo è un produttore di olio e dal 2005 guida, di fatto, insieme a Tommaso Scupola un frantoio di proprietà di quest’ultimo sito a Guagnano, in provincia di Lecce. Sono andata a trovarlo nella sua Enoteca-I Sapori d’Arneo che gestisce insieme alla figlia Ilaria, a Porto Cesareo – un paesino che si affaccia sulla costa ionica della penisola salentina e che ogni estate è preso d’assalto dai turisti – enoteca che è anche un vero e proprio “salotto di alimentari”, dove è possibile trovare la selezione più accurata dei prodotti pugliesi di qualità.
Quando Cosimo mi fa degustare alcune varietà del suo olio – dopo un paio d’ore di “lezione frontale” dedicate a tutto il ciclo produttivo – tanto il gusto al palato mi conquista, che commetto l’errore di assaggiarlo malamente, con troppa enfasi: il pizzico alla gola è così forte da provocarmi la tosse e far protestare Cosimo: “Ma io pensavo che sapesse come si fa!”.
Poi, nel timore che interpretassi quel fastidio come un difetto, mi racconta di quella volta che una signora, proprio in enoteca, aveva criticato con toni accesi il suo olio definendolo troppo “acido” per via di quella sensazione di piccante e “per fortuna che del tutto casualmente assisteva alla discussione, un esperto assaggiatore” che, prendendo le sue difese, definì senza ombra di dubbio quell’olio, il “migliore che avesse assaggiato in zona”.
E infatti, spiega Cosimo, “le sensazioni di piccante e amaro sono caratteristiche positive dell’olio, in quanto connesse alla presenza di sostanze antiossidanti come i polifenoli: molti consumatori confondono questo pregio con un difetto – “olio che pizzica in gola” – ritenendo che l’olio con questo gusto sia un olio acido”.
La storia di Cosimo
La storia di Cosimo Donateo inizia nel ’72, in un piccolo paese del Salento, a Veglie. Di fronte a lui vive il conte Fabrizio Del Balzo che gli chiede di aiutarlo a gestire il frantoio. Un oleificio, per quei tempi, molto innovativo: ha infatti il primo impianto a ciclo continuo del Salento, tanto che una delegazione del Mec – Mercato europeo comune – li va a visitare e li sceglie come modello per il ciclo di estrazione.
Il conte “aveva bisogno di un tecnico e così iniziammo a lavorare insieme, studiando quelle macchine che per quel tempo erano rivoluzionarie: eravamo un tandem bellissimo e ho imparato tante cose da quella esperienza che mi sarebbero servite anche dopo”, racconta Cosimo, lasciando trapelare una buona dose di nostalgia e tradendo una certa emozione nella voce. E da questo capisco che, dalla scomparsa improvvisa del conte, sentì spesso la mancanza di quella collaborazione alla pari che gli consentì continue sperimentazioni.
All’epoca, il frantoio inizia anche una collaborazione con il gruppo Pieralisi di Jesi, l’azienda più importante specializzata in macchine per l’industria olearia. L’impianto attira la curiosità e l’interesse di molte persone che chiedevano di molire anche le proprie olive, così “noi, che in un primo tempo lavoravamo solo le nostre olive, decidemmo di mettere un’ulteriore linea produttiva che lavorava per conto terzi”.
Nel giro di poco tempo, quella cooperativa “inizialmente costituita solo da noi”, si allarga talmente tanto da includere oltre mille soci: “Io mi occupai della formazione di tutto il personale”.
L’olio spiegato da chi lo fa
All’epoca non si sapeva neppure cosa fosse l'”estrazione a freddo”, una scoperta relativamente recente (un tempo la temperatura arrivava fino a 30°): ora, “in base alla normativa europea, l’estrazione è a freddo se la temperatura non supera i 27° e l’impianto è provvisto da un termoregolatore perché la temperatura deve essere rigorosamente controllata”.
Questo permette che le proprietà organolettiche – sia quelle polifenoliche che quelle aromatiche – restino inalterate. Naturalmente, “tutti gli oli extravergine di oliva hanno e dovrebbero avere più o meno le stesse caratteristiche”: la componente aromatica, a livello olfattivo, che è il “fruttato” (può avere, tra le altre, note di erbaceo, carciofo, foglia di pomodoro, mela verda, mandorla) e quella polifenolica, a livello gustativo, di cui il nostro palato riesce a cogliere solo due pregi tra i 221 componenti minori presenti (gli acidi grassi).
Spesso, spiega Cosimo, si paragonano oli extravergine di oliva diversi per intensità nella presunzione che uno sia migliore dell’altro: “In realtà, il modo in cui le due componenti – aromatica e polifenolica – sono presenti in un cultivar è variabile e dipende solo dal produttore e dal periodo di raccolta delle olive scelto: “per un olio più intenso, il periodo di raccolta sarà quello iniziale” (a ottobre, nella prima fase di maturazione, quando l’oliva da verde diventa violacea). Da questo momento in poi, l’olio ottenuto avrà caratteristiche via via più morbide e delicate.
Arrivata alla piena maturazione, l’oliva – che è un frutto – è soggetta alla fermentazione alcolica: “l’olio ottenuto in questa fase sarà giallo con riflessi verdi e molto carico”.
“Quando definiscono il famoso olio ligure taggiasco come un olio delicatissimo, non dobbiamo pensare che lo sia in virtù di sue caratteristiche specifiche”, chiosa Cosimo, “ma perché i produttori fanno la raccolta a metà novembre”.
Il terroir, dunque, incide ma non troppo: la variabile davvero importante è il periodo di raccolta.
E non dite che l’olio è un condimento!
L’Italia vanta il maggior numero di cultivar al mondo (circa 350-360), la gran parte di provenienza regionale (poche sono quelle diffuse in più regioni). In Puglia ci sono la Cellina di Nardò (o Saracena perché portata proprio dai Saraceni) nel leccese, la Coratina e la Cima di Bitonto nella provincia di Bari, nel foggiano troviamo la Peranzana. La Coratina è la cultivar con la maggiore carica polifenolica.
“L’olio è un alimento non un condimento”, Cosimo non si stanca di ripeterlo e sul punto, lui crede, “occorrerebbe fare una comunicazione corretta, soprattutto in televisione, dove “anche i grandi chef commettono l’errore di ripetere ‘mettiamo un filo di olio‘: ma che messaggio è questo? Che olio state mettete nel vostro piatto? Olio di oliva? Extravergine? Perché non dirlo?”
C’è un’assoluta mancanza di attenzione e di cura nella comunicazione dell’olio, come se fosse un alimento di serie b, sottolinea Cosimo, “come se – a differenza del vino – fosse ininfluente, anche da un punto di vista economico, e del tessuto produttivo del Paese”.
Nel 2002, Cosimo avvia una nuova fase professionale e diventa consigliere dell’oleificio di Leverano, paese nell’entroterra ionico-salentino, collaborando all’ammodernamento della cooperativa e alla riqualificazione del personale. Per tre anni, dice, “ho fatto il carabiniere” per garantire l’efficienza del lavoro: “ho fatto la selezione del prodotto e avviato progetti di qualità”.
Ma il destino di Cosimo sembrerebbe quello di risollevare le sorti di un’impresa, assicurarsi che sia ben avviata e poi di andare per la propria strada: “Ho conosciuto, in quegli anni, Tommaso Scupola che aveva aperto un piccolo frantoio a Guagnano, e nel 2005 iniziamo a lavorare insieme a questo progetto, praticamente, alla pari.
Tutti, prima di allora, lavoravano le olive da terra – “allora si credeva che quando l’oliva cadeva dalla pianta, fosse più carica di olio” – poi, si iniziò a lavorarle raccogliendole dalla pianta: “passammo dal sentire in frantoio la puzza dell’olio a godere del profumo”.
L’affaire olio in Italia
L’Italia produce ogni anno dalle 560 alle 580mila tonnellate di olio. Di queste, 400 mila tonnellate all’anno sono destinate all’export, con un plus valore medio del 50%. Centomila tonnellate vengono dal Sud Italia, 600 mila da Spagna e Grecia, Tunisia e altri Paesi del Maghreb.
Tuttavia, “nel nostro Paese queste parole ‘olio extravergine di oliva‘ non vogliono dire nulla così come la formula, che l’Unione europea introdusse nel 2002 (in vigore dal 1 novembre 2003, ndr) e che noi salutammo con felicità: “Olio di oliva di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici”.
La ragione è che anche un olio sottoposto a rettificazione – si tratta di un processo che consiste nel sottoporre un olio, di oliva e di semi, ad un insieme di operazioni fisiche e/o chimiche che hanno lo scopo di rendere commestibili gli oli di oliva lampanti, gli oli di sansa e gli oli di morchia, migliorandone le caratteristiche organolettiche – e a deodorazione – serve a eliminare il forte odore, il gusto acre e l’eccessiva acidità derivanti da una cattiva conservazione delle olive raccolte – e “contenente solo il 5% di olio extra vergine di oliva, potrebbe riportare la stessa dicitura dell’olio extravergine al 100%” .
E i controlli? “Ci sono” ma è molto difficile controllare le multinazionali che sono le stesse a potersi permettere la pubblicità in televisione: “e si vede: si parla di olio in modo sbagliato, si parla per formule – “olio extra vergine di oliva” – senza accennare alle sue caratteristiche”.
Il consumatore truffato e l’olio tunisino

Piante di oliva cellina di Nardò, nei dintorni di Leverano (Lecce)
L’ultimo Rapporto sulle Agromafie, realizzato in collaborazione con Coldiretti, dimostra che i consumatori sono vittime di vere e proprie truffe alimentari dal momento che, dietro al paravento di marchi sedicenti italiani ed etichette fuorvianti, sono commercializzati oli di oliva di bassissima qualità, spesso ottenuti attraverso la raffinazione degli oli importati.
Il procedimento adottato per la contraffazione, in sintesi, è il seguente: sono importati oli grezzi provenienti da Spagna, Grecia e Tunisia sfruttando il loro basso costo di produzione (derivante sia da metodi di coltivazione iper-intensivi che dalla scarsa remunerazione del lavoro); in secondo luogo, dal momento che tali oli risultano essere di infima qualità, sono miscelati con basse quantità di oli realmente italiani e successivamente “deodorati” (la deodorazione non è ammessa per legge sull’olio extravergine), in modo da modificarne le caratteristiche organolettiche, correggendone quindi i difetti.
Ecco perché, commenta Cosimo, tutto il clamore che suscitò la famosa partita di olio tunisino contraffatto -scoperta mesi fa dal nucleo anti-contraffazione della Guardia di Finanza, ndr – era del tutto retorico, “la scoperta dell’acqua calda“.
Nel 2015, nel nostro Paese, calcola Coldiretti, “sono aumentate del 481% le importazioni dell’olio di oliva dalla Tunisia“, in forza del pacchetto di aiuti deciso da Strasburgo in favore del Paese nordafricano, che comprende appunto il regolamento che permette l’importazione senza dazi dell’olio d’oliva. Secondo l’associazione degli imprenditori agricoli, una scelta “insensata, quella dell’Ue, di riversare su pochi Paesi una forma di solidarietà alla Tunisia che, gioco forza, danneggia soltanto chi l’olio lo produce”.
“Sono stanco”, conclude: “dopo tanti anni non è cambiato niente, e temo che in questo settore non cambierà mai niente. Non c’è reddito perché è una corsa al ribasso in cui conta il prezzo e non la qualità”.
“Quando un olio viene venduto a 2 euro e 99 centesimi, che olio sarà mai? Ce lo chiediamo quando andiamo al supermercato a comprarlo?”, chiede accorato Cosimo.
Quei numeri dell’olio che meritano attenzione
Non intercetto né speranza né un briciolo di ottimismo nella sua voce, come se si fosse arreso a una situazione immodificabile. “Vai in spiaggia e ti vendono le lattine di olio e le persone le comprano senza sapere che olio sia e da dove viene”. Sono incredula: credevo che al mare si comprassero esclusivamente mandorle e cocco, ma l’olio, proprio no!
E allora non mi resta che porvi questa domanda: Ma davvero siamo capaci di seguire tutte le puntate di Masterchef o della Prova del cuoco, continuando a ignorare che tipo di olio mettiamo nei nostri piatti? Davvero acquistiamo olio senza accertarci della sua origine, nonostante tutta l’attenzione che prestiamo, oramai, alla tracciabilità del cibo che mangiamo, ai suoi valori nutrizionali e alle nuove diete alimentari? Davvero crediamo che un olio economico abbia qualcosa che ci faccia bene oltre ad avere un sapore, magari, passabile?
Tutto questo è singolare.
Sì, perché l’olio extravergine di oliva rappresenta un segmento strategico del Made in Italy. Le varietà di olive catalogate in Italia sono 350, le piante messe a dimora sono 250 milioni sparse su un milione di ettari. Il turismo dell’olio sviluppa un giro di affari che sfiora i 20 milioni di euro con circa 2 milioni di visitatori all’anno che percorrono le 17 strade e vie dell’olio.
Sarebbe bello che ce ne ricordassimo quando andiamo a comprare l’olio. E anche quando ci lamentiamo di una crisi economica che – in parte – dipende anche dalle nostre scelte quotidiane.