Ciro Biondi: l’architetto delle vigne dell’Etna

di Vittorio Ferla

“Tutto comincia alla fine dell’800, quando mio nonno Cirino e suo fratello Salvatore misero in piedi l’azienda. Mio nonno portava la sua esperienza di viticultore. Lo zio Salvatore era speciale, un vero imprenditore, uno spirito innovativo: ai primi del ’900 capì che era il momento di fare qualcosa di diverso. Non bastava più vendere le uve a Riposto, il porto dove venivano imbarcate per raggiungere il nord, destinate a tagliare i vini degli altri. Si mise in società con un produttore di Trecastagni, un certo Lanzafame. E così, Biondi&Lanzafame (questa la denominazione della nuova azienda) cominciarono a imbottigliare, esportarono in Europa e in America, parteciparono alle fiere internazionali. Nel biennio 1913-14 vinsero premi importanti a Parigi, a Lione, a Casal Monferrato. L’azienda fu iscritta anche nel Grande libro d’oro del Re”.

Premiata ditta Biondi&Lanzafame

Ciro Biondi © Armando Rotoletti

Ciro Biondi © Armando Rotoletti

La storia dei Biondi parte da lontano. A raccontarla è Ciro Biondi che oggi, con la moglie Stephanie, ha ripreso in mano il vecchio progetto dei suoi avi per rinnovarlo completamente. La conversazione si svolge in Contrada Ronzini, nel territorio di Trecastagni, un comune di poco più di 10mila abitanti sito a 550 metri s.l.m., alcuni chilometri sopra Catania, nel Parco dell’Etna. Un luogo delizioso, che i Biondi hanno salvato dall’edilizia incontrollata delle case di villeggiatura che accolgono d’estate il ceto medio catanese.

“La Prima Guerra mondiale fu importante per i siciliani: per la prima volta in guerra nell’esercito dell’Italia unita. Lo zio Salvatore non voleva fare la guerra: così scriveva dal fronte alla zia Angelina. Tornò con la tubercolosi e morì nel 1918. Alla sua morte, il nonno Cirino non continuò l’attività. L’anno scorso, in una vetrinetta dove lo zio Salvatore conservava vari oggetti, abbiamo trovato una busta con un biglietto: conteneva le istruzioni su come tenere il vino bianco che Lanzafame dava allo zio Salvatore. Poi la calligrafia diventava sempre più fitta. Perché scriversi su un bigliettino? Perché lo zio e Lanzafame erano una coppia: vivevano a Trecastagni nella casa di Lanzafame. A quei tempi si andava in galera per essere omosessuali. Questo era il contesto culturale e normativo. Crediamo che proprio per questi motivi mio nonno non volle continuare il rapporto. Lanzafame in parte continuò da solo. Anche mio nonno continuò, ma senza le capacità che aveva lo zio Salvatore. Il nonno era il contadino. Lo zio era l’enologo e il ‘pierre’ dell’azienda. Per parte sua, zia Angelina non si sposò mai: aveva la vigna di San Nicolò, poi la proprietà andò tutta a mio nonno”.

 

Architetture di viti tra coni di lava

Dopo la fine del secondo conflitto mondiale comincia un periodo di declino, dovuto al mancato chianta_biondi
adeguamento alle moderne tecnologie e al nuovo mercato del dopoguerra. Un declino che dura cinquant’anni. Alle soglie del millennio, Ciro e Stef Biondi si rimboccano le maniche con l’idea fissa di far risorgere questi posti bellissimi e le piante che vi sono ospitate. Ristrutturano i vigneti di famiglia e cominciano a produrre vini di alto livello.

La visita comincia dai terreni di Chianta, da cui origina uno dei cru dell’azienda. Esposta a est, quasi a 700 metri s.l.m., questa campagna di 7.500 metri quadri di terreno vulcanico fatto di pomice rossa ospita tipici alberelli etnei di carricante, cataratto, minnella. Ciro mi guida tra i filari, mi mostra la disposizione delle terrazze vitate che risalgono al 1850, qualcosa che davvero potrebbe assomigliare ad una architettura azteca. Non è un caso forse che Ciro, che di formazione è architetto, si sia innamorato di questo posto e abbia dedicato la sua vita a valorizzarlo.

Saliamo per i terrazzamenti e la visione che abbiamo di fronte è strepitosa. Il territorio di Trecastagni è collinare ed è ricco di tanti coni e conetti vulcanici di diversa epoca e dimensione, ricordo di antichi crateri. Da qui se ne vedono diversi. La contrada Ronzini dove si trova la proprietà dei Biondi è fatta così. Inoltre, il territorio circostante, caratterizzato da una forte pendenza verso i sottostanti comuni di Viagrande e San Giovanni la Punta, rende la posizione di Trecastagni particolarmente panoramica: da qui è possibile ammirare il Golfo di Catania e, quando il cielo è terso, lo sguardo può abbracciare una visuale che va dalla punta della Calabria fino ad Augusta.

 

Sul versante sudorientale i produttori che fecero la storia
“Ultimamente, quando si parla dell’Etna si fa soltanto riferimento al versante Nord. Si dice che quel versante sia il più rappresentativo perché c’è una maggiore concentrazione di vigneti. Ma questo non vuol dir nulla! La storia del vino dell’Etna ci ricorda, viceversa, quanto sia importante la tradizione del versante Est, quello di Milo e Trecastagni. Basterebbe ricordare i nomi di alcune cantine storiche, attive fin dal ’700, capaci di ottenere premi e riconoscimenti in giro per il mondo: la cantina Solicchiata del Barone Spitaleri ad Adrano e Biancavilla, le tenute del Barone di Villagrande a Milo, la tenuta del Barone Scammacca del Murgo a Santa Venerina, le tenute del Barone Mannino di Plachi. Nomi importanti, che hanno fatto la storia dell’Etna lavorando sui versanti meridionale e orientale del vulcano”.

 

L’Etna: una continua sorpresa
“Un tempo, lbiondi_vineyarda gran parte dei produttori dell’Etna si limitava a vendere le uve ai commercianti calabresi nel porto di Riposto. Oggi è tutto cambiato. Ha cominciato il Cavaliere Benanti con un approccio innovativo. La sua scommessa fu: “Farò un vino bianco dell’Etna”. E cominciò a trattare l’uva in maniera nuova. C’è ancora tanta strada da fare. Non sappiamo tutto dell’Etna: lo stiamo ancora studiando. Facciamo tutti il vino con la stessa uva ‘stupida’ – si chiama non a caso Carricante, nome che rimanda alla grande quantità di frutto prodotto, non alle sue qualità – ma questa uva cambia a seconda del versante e della contrada. Dobbiamo scoprirne tutte le potenzialità. Al vino servono le generazioni, una vita non basta: 25 annate diverse possono significare 25 possibilità diverse”.

 

Il progetto dei Biondi

La passeggiata continua. Ciro racconta il suo progetto. “L’anno del nuovo inizio per noi è il 1999. Non avevamo in mente di prendere premi, ma volevamo vendere un prodotto migliore: basta con il vino a mille lire al litro. Volevamo solo mantenere queste vigne: un lavoro più da giardiniere che da viticultore – dice sorridendo. Da architetto non pensavo a lottizzare il fondo con nuove case, ma a recuperare questi posti meravigliosi. Qui, dopo la seconda guerra mondiale era cambiato tutto, a cominciare dalle leggi. L’uso dei palmenti fu vietato. Per continuare la viticultura a certe condizioni di qualità servivano investimenti. Forse mio papà non aveva le capacità o non era pazzo come me. Aveva piantato alberi da frutto: ma quest’anno ho liberato il fondo per piantare 400 nuove piantine di carricante. Chi cura oggi questi vigneti ha conosciuto mio nonno. Lavorano qui da generazioni, con alcuni giocavamo da ragazzini. Ora lavorano con me. Non per me, che è diverso. Un giorno ho portato qui mio padre per fargli vedere i risultati del mio lavoro. Lui, commosso, mi disse: “Quanto mi piacerebbe farlo vedere a mio padre”. La mia risposta? “Vedi? Io sono più fortunato di te, posso fartelo vedere!”.

 

Nella cantina di Trecastagni

La piccola cantina che risale al 1500 si trova in un antico palazzo nobiliare di Trecastagni che entra nella proprietà dei Biondi grazie ad una unione matrimoniale. Ciro Biondi ritorna architetto e mi mostra l’antica volta asimmetrica. Il motivo dell’asimmetria? “Nell’Ottocento la strada era molto stretta e bisognava allargarla. Gli operai del Comune tagliarono la strada e abbatterono la facciata rinascimentale. L’input venne proprio dal mio bisnonno che era sindaco della città e per questo – sorride – ottenne anche il riconoscimento della Regina. D’altra parte i miei avi sono stati tutti sindaci. Tranne lo zio Salvatore…”.

Poi Ciro ritorna winemaker: “Qui in cantina abbiamo 70 gradi di umidità. Le temperature non superano mai i 18 gradi. Condizioni come se fossimo in Borgogna, ma siamo a Trecastagni. Qui dentro c’è silenzio, il vino riposa senza essere disturbato”.
biondi_bottiTra queste pareti si sente la storia del vino sull’Etna: “La Doc dell’Etna nasce grazie a Nicolosi (il Barone di Villagrande, ndr). Nel registro della Doc l’azienda Biondi aveva il n.3, poi papà lo perse. Quando abbiamo ripreso in mano le vigne, nel 1999, ci siamo affidati a Salvo Foti, l’enologo di Benanti. Ma Salvo era davvero molto impegnato. Proprio in quel momento abbiamo la fortuna di incontrare Cristiano Garella, un enologo giovanissimo. Allora aveva appena 22 anni. Ha cambiato radicalmente il nostro modo di lavorare, ci ha fatto capire come dovevamo avvicinare il vino, toccandolo il meno possibile. Cristiano si è fermato in visita sull’Etna e siamo rimasti in contatto. Gli abbiamo chiesto di darci una mano. Ha detto sì: in cambio ci ha chiesto di fare un po’ di vino da un paio di botti”. Cristiano Garella è uno degli enfants prodige dell’enologia più recente, con esperienze in Tenute Sella e oggi protagonista nell’Alto Piemonte con la cantina Colombera&Garella. Anche l’esperienza con lui è terminata.

“Oggi – continua Biondi – abbiamo una bella collaborazione con Benanti: imbottigliamo da lui e scambiamo opinioni con il suo enologo, Enzo Calì. Adesso tocca a me, a Stephanie e a mio nipote Manfredi. Da quando il vino ce lo facciamo noi è più divertente.” Sorride di nuovo, Ciro. Ha occhi intensi e sinceri e il dono di una naturale simpatia.

 

Dall’antica Grecia al Nuovo Mondo

L’ultima tappa della nostra visita è a Cisterna Fuori. “In queste contrade si sente la brezza del mare. Il sole porta l’aria calda durante il giorno e, poi, la sera scende la brezza fredda. La ventilazione è continua, l’escursione termica importante. Una condizione ideale per l’uva. Qui ci vorrà tanto tempo per rifare i muri di pietra lavica, ma lo farò. Intanto, qui si svolgono le nostre degustazioni all’aperto, qui vengono i nostri amici da tutto il mondo”. Siamo su un grosso insediamento greco coperto dalle eruzioni. Quassù sorge una piccola struttura dove Ciro e Stef accolgono gli amanti del loro vino, gli amici, i colleghi. Ci sono i resti di un mulino e un rilievo greco sulla pietra lavica che rappresenta un fallo, simbolo di fertilità.

Vendiamo l’80% della nostra produzione all’estero. In Italia solo il 20%, quasi tutto in Sicilia. Arriveremo alle 30mila bottiglie prodotte. Abbiamo molta più soddisfazione all’estero: Usa, Germania, Polonia, Norvegia, Francia, Russia, Singapore, Hong Kong, Australia, Canada. In Italia ho incontrato spesso diffidenza e ostacoli: perché devo perdere tempo qui se altrove ci apprezzano tanto?” Un apprezzamento confermato ancora di recente: la rivista Wine Enthusiast, una delle più influenti degli States ha inserito una delle etichette di Ciro Biondi – l’Outis rosso 2014nella lista dei 100 migliori vini del mondo. Un giusto riconoscimento per lo spirito appassionato e visionario di Ciro.

 

La visione dei Biondi

Ma c’è di più. Ogni gesto – anche durante la degustazione che si svolge nella rustica masseria di Contrada Ronzini – racconta la sintonia spontanea e amorevole con la compagna di vita, Stephanie. La sua architettura di vigne è anche un po’ il frutto di questo legame e di un destino comune: nel 2004 Ciro e Stef hanno scelto di sposarsi proprio nella vigna di “Cisterna fuori”. Poi verrà il tempo del nipote Manfredi. Nel nome di quel visionario di zio Salvatore, anche Ciro – siamo certi – lascerà una importante traccia.

Un esempio vivente di questa traccia è stato per noi di GnamGlam l’Etna bianco “Chianta”, forse quello che più ci ha sorpreso nella batteria di degustazioni (leggi qui). “Il nostro vino preferito è uno Chardonnay di Borgogna”, spiega Ciro Biondi. “Per riprodurre un’idea di vino puoi scegliere due strade: copiare la forma o copiare i contenuti. In altre parole: o pianti direttamente l’uva, in questo caso Chardonnay; oppure ne riproduci i contenuti trattando l’uva del tuo territorio. Nel nostro Chianta non si sente il legno. Abbiamo imparato come fare da Alessio Planeta che sa come usare le botti con il bianco. Abbiamo cominciato nel 2011. Ci siamo ispirati al nostro modello: lo Chardonnay del Montrachet Romanee-Conti”. Nasce così, dal riferimento ad un prodotto mitico, il Carricante che non ti aspetti, davvero imprevedibile. “In Borgogna parli di Chablis. A Trecastagni, Contrada Ronzini, bisognerà parlare del nostro Chianta”. Parola di Ciro Biondi.