
di Vittorio Ferla
Nella memoria di chi visita la cantina Castel de Paolis resta impressa la visione sulla città di Roma e sui suoi agri intorno, giù fino al mar Tirreno, che si gode dalla terrazza. Vista spettacolare di cui ho potuto godere anch’io questa estate visitando l’azienda che si trova tra Grottaferrata e Marino, con la compagnia del proprietario, Fabrizio Santarelli.
Una posizione strategica
Non è un caso che qui sorgesse una delle fortezze più importanti per il controllo delle campagne romane nell’Alto medioevo. Castel de Paolis venne costruito sulle rovine di una villa d’epoca imperiale, in una posizione strategica: permetteva di controllare l’antica strada che univa Roma a Castromoenium. Con una vista così, non è difficile immaginarselo.
Il terreno che oggi ospita i vigneti era attraversato da un diverticolo, una strada lastricata che collegava la via Castrimense con la Latina: un percorso ancora in uso fino allo scorso secolo. Il castello viene citato per la prima volta in un documento del 955. Era uno dei capisaldi creati dai potenti Conti di Tuscolo per difendere i loro possedimenti nelle lotte tra i baroni. Lotte decisive per indirizzare i pontefici e influenzare le nomine di vescovi e imperatori.
Tra il 1400 e il 1500 il sito perde progressivamente la sua funzione strategica, gli edifici più antichi vengono distrutti o abbandonati, e si susseguono diversi proprietari nel corso dei secoli. La storia più recente, nel ’900, è storia di vigne e di viticultori, com’è normale che sia nella cornice tradizionale dei Castelli romani, zona vocata alla produzione del vino.
Uno spicchio di Alto Adige tra i Castelli romani
“Già mio nonno coltivava le vigne – racconta Fabrizio Santarelli – abbiamo 15 ettari qui, tagliati dalla ferrovia che collega Roma con Albano. La svolta avviene nel 1985 per iniziativa di mio padre Giulio. Con l’aiuto di Attilio Scienza, agronomo ed enologo di fama, che in quegli anni era Direttore generale dell’Istituto Agrario di S. Michele all’Adige, decidiamo di non vendere più l’uva alle cantine sociali e di cominciare con le sperimentazioni. Piantiamo 25 tipi di vitigno tra italiani e stranieri. Tre anni dopo procediamo alle microvinificazioni. Abbiamo ottenuto bei risultati da Syrah, Petit Verdot, Viognier, Semillion e Sauvignon. Abbiamo anche il Moscato Rosa (qui leggete la nostra degustazione), un vitigno che nessuno coltiva da queste parti e che è una esplicita influenza della nostra collaborazione con l’Alto Adige”. Rosathea è il nome dell’etichetta dedicata al Moscato Rosa: una suggestiva sorpresa, un rosso dolce capace di stregare, certamente inusuale da queste parti.
Nella terra del Frascati
Ma qui, ovviamente, siamo nella terra del Frascati: “Abbiamo usato il disciplinare in modo da non limitarci ai classici vitigni (Malvasia di Candia e Trebbiano) ed ecco, dunque, nella stessa denominazione la Malvasia puntinata, il Bellone e il Bombino. I primi risultati sono arrivati tra il 1988 e il 1993. Sono anni di grandi cambiamenti e di riconversione dell’azienda. Produciamo 6mila piante per ettaro, con poco carico per pianta. Nel ’93 nasce la nuova cantina con tini di acciaio termorefrigerati. Nel 2003-04 realizziamo degli spazi per le degustazioni e per il magazzino”.
Fabrizio mi accompagna sulla terrazza panoramica e per un momento la vista si perde e davvero scorre nella mente tutta la storia che è passata da qui. Distese di filari che degradano verso il piano, la Città Eterna di fronte, sulla sinistra verso occidente nei giorni più limpidi si può avvistare il Tirreno.
“Il vento costante che viene dalla costa tiene freschi i vigneti d’estate e asciuga la pioggia d’inverno. I sali minerali del terreno aiutano il vino: qui siamo in una zona vulcanica che dona ai nostri vini dei sentori caratteristici. Ed è un vulcano ancora attivo! Si dice che ogni 40 mila anni il vulcano si risveglia – scherza Fabrizio – il che vuol dire che possiamo stare tranquilli ancora per un bel po’ di secoli”.
Oltre la crisi
Una terra straordinaria, certo, ma anche bistrattata. Difficile fare vino di qualità quando l’immaginario è compromesso da un declino che dura da decenni. “Quello dei Castelli romani è considerato un vino di serie B. La rovina del Frascati – spiega Fabrizio – sono state le cantine sociali che ancora gestiscono il consorzio. Negli ultimi 15 anni siamo passati da 2mila ettari a poco più di mille. La superficie si è dimezzata e sembra di guardare la banda che continua a suonare mentre il Titanic affonda. Nel consorzio ci sono per lo più imbottigliatori. Ciò significa che vengono trascurate le ragioni dei viticultori che sono anche produttori. Da una parte, c’è stato l’avanzamento dell’edilizia. Dall’altra parte, le vigne sono diventate sempre meno remunerative, vengono pagate meno e si è puntato sulla quantità. E’ una tenaglia micidiale. La crisi adesso ha un po’ rallentato, ma il prezzo dell’uva calerà ancora. Ai tempi della lira il costo di un quintale di uve Frascati era di 135mila lire (pari pressappoco a 65 euro). L’anno scorso un quintale valeva 42 euro, quest’anno 30 euro. E chi ha condotto nel baratro continua ad autoconservarsi e a suicidarsi”.
L’enorme potenziale dei Castelli
Come si fa a uscire da questo tunnel? “C’è l’idea di fare un club di quelli che svolgono il ciclo completo dell’uva, che sono insieme coltivatori, vinificatori e imbottigliatori per la produzione. La qualità sta qui. Questi soggetti lavorano bene, non sono come le cantine sociali che vivono di contributi pubblici. Agli imbottigliatori interessano i numeri e fanno un vinello da due euro che è una bibita. I nostri vini, viceversa, sono profumati, fruttati, corposi, importanti. Sono due prodotti completamente diversi che vengono dallo stesso territorio, ma così nel consumatore si crea tanto disorientamento. In realtà, il potenziale è enorme. Il Frascati doc di Castel de Paolis è stato selezionato da Alitalia Top Class tra i vini bianchi offerti in volo per i mesi di settembre, ottobre e novembre su tutte le rotte mondiali. Per i Castelli romani è una bella rivincita”.
Una realtà vivace
Castel de Paolis produce otto etichette per un totale di 100mila bottiglie. Un terzo delle quali va all’estero: “Vendiamo negli Usa, in Cina e in Giappone. In Europa siamo in Belgio, Regno Unito, Francia e Romania. Siamo presenti anche in Sudamerica, abbiamo da poco cominciato in Colombia, un paese che ha grande curiosità per i nostri prodotti”. Più della metà della produzione resta nel Lazio, la parte rimanente in altre regioni italiane come l’Emilia e la Campania.
Un’attenzione particolare è stata posta sulla scelta del numero dei ceppi per ettaro, portati a 5500, con un carico produttivo ridotto a kg 1-1,5 per ceppo, e l’introduzione della pratica del diradamento per i rossi, l’abolizione di qualsiasi forma di concimazione, l’applicazione del regolamento CEE 2078/92 di conversione biologica.
La barricaia custodita nella cisterna romana
La cantina, realizzata nel 1993, è dotata di moderne tecnologie. Inizialmente affidata all’enologo Lorenzo Peira, è guidata oggi dall’enologo Fabrizio Bono. “Già in vigna – spiega Fabrizio – mettiamo ghiaccio secco per bloccare la fermentazione e la cottura dell’uva che così si tiene fresca. In cantina abbiamo tini di acciaio refrigerati: garantiamo 16-17 gradi per i bianchi e 23 per i rossi. Nata su rovine di origine romana, ancora oggi la cantina dell’azienda può godere della preziosa Cisterna Romana, nella quale riposano le barrique per i grandi rossi da invecchiamento”. Il Quattro Mori, per esempio, il campione della scuderia
Santarelli, svolge l’affinamento per metà in barrique nuove e per metà in quelle di secondo passaggio.
Una solida presenza rivolta al futuro
Grazie a queste scelte enologiche e alla cura in vigna e in cantina, Castel de Paolis si propone come un punto di riferimento nel panorama laziale. Nelle varietà autoctone ha cercato interpretazioni più moderne. Con le varietà alloctone ha cercato soluzioni di grande effetto. I vini realizzati su questa collina a quasi 300 metri sul livello del mare risultano infine di grande pulizia, pieni di carattere e tecnicamente di ottima futura. Basti pensare all’elegante Donna Adriana (qui la nostra degustazione), al potente e pluripremiato Quattro Mori, per finire con Muffa Nobile, a buon titolo tra i più interessanti vini da Botrytis Cinerea in Italia.
Non ci si può mai accontentare, però, è ovvio. “Abbiamo in mente nuovi progetti”, anticipa Fabrizio Santarelli. “Vorremmo provare delle bollicine nel 2017. E poi vorremmo prendere altri terreni in affitto, qui intorno, per ampliare la produzione dei Frascati e del Campovecchio rosso: non un semplice acquisto di uve, dunque, ma la filosofia sarà quella della coltivazione del vigneto, da seguire con cura. Infine, ci piacerebbe continuare con più intensità la strada dell’enoturismo: la vicinanza a Roma è cruciale, arrivano tanti viaggiatori che possono trovare soddisfatte qui tante loro curiosità”.
Insomma, un messaggio chiaro per chi viene a Roma: fate un salto alla cantina di Castel de Paolis. Non ve ne pentirete.