Cantine Russo: c’era una volta a Solicchiata

di Vittorio Ferla

“Prima qui si faceva solo vino sfuso. C’era la tendenza ad acquistare uva e mosto per rivenderlo al Nord, anche in Francia. Si portava tutto nel porto di Riposto per commercializzare. La svolta la imprime il nonno Ciccio a metà degli anni ’50. Conserviamo ancora una vecchia bottiglia del 1955.dsc00031 Tra le più vecchie sull’Etna. Si chiamava Solicchiata, come la frazione di Castiglione dove sorge la nostra azienda. A quel tempo non esisteva ancora la doc Etna che è del 1968. Con il disciplinare dell’Etna non si può più mettere il nome del paese, quindi niente più Solicchiata. Solo da poco è possibile scrivere le contrade: i nostri vigneti si trovano nelle contrade Crasà, Piano dei daini e Rampante. Il vecchio marchio dell’azienda del nonno, invece, era Rusvini”.

Un enologo in famiglia

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La nostra visita delle Cantine Russo comincia dall’enologo dell’azienda, Francesco, nipote di Ciccio e figlio di Vincenzo. Siamo a Solicchiata, una frazione del comune di Castiglione, Etna nord, una delle zone dell’Etna ormai divenuta un trend nel panorama enologico internazionale.

La prima bottiglia dell’azienda risale al 1955: quell’anno don Ciccio Russo decide di imbottigliare il vino che già dall’Ottocento veniva prodotto in questo versante del Vulcano. Nella zona di Solicchiata la famiglia possiede 12 ettari. La cantina produce i classici della zona: Etna Bianco, Etna Rosso, Etna Rosato. In più, una linea di prodotti (da uve Insolia, Nero D’Avola e Syrah) provenienti da altri vigneti, siti a Sambuca di Sicilia, in provincia di Agrigento, e a Riesi, in provincia di Caltanissetta.

Il titolare dell’azienda è Vincenzo, il nonno-patriarca. Francesco, il figlio, è il pilastro ‘enologico’ russo2dell’azienda: “Ai tempi dell’asilo scappavo dalla scuola – racconta Francesco – e mi rifugiavo tra le botti. Sapevo fin da bambino cosa avrei fatto esattamente da grande. Mi piaceva e mi piace tutto del vino”. Si deve all’intuizione di Francesco la creazione di uno spumante molto interessante come il Mon Pit (leggi la nostra degustazione), un prodotto molto promettente che merita attenzione.

Krasì, il vino dei greci

“Il vino – spiega Francesco – si deve riamalgamare nelle vasche di acciaio: per noi è importante il riassemblaggio fisico e chimico. È un processo lungo che ha bisogno di tempo. Non c’è un tempo prestabilito: ogni prodotto e ogni annata ha i suoi tempi. Non abbiamo premura: i vini rossi devono fare questa strada. I vini della linea ‘Luce di lava’ sono più fruttati, meno speziati, più giovani e più pronti (un anno di acciaio e uno di botte). La riserva fa barrique e si chiama Krasì (vecchio nome della contrada), termine che significa, appunto, vino. Questo vino viene dalla contrada Crasà: lì c’è un ex vulcanotto spento, molto pietroso. Il vino fa 16-18 mesi in barrique, è più intenso di zuccheri ed estratti. Il Krasì 2007 è da meditazione, in stile Barolo o Borgogna”.

dsc00030In effetti, nella lingua greca ci sono due parole con il significato di vino, “οίνος” (oinos) e “κρασί” (krasì). La seconda parola ha sostituito la prima in epoca Bizantina e deriva dalla parola antica “κράσις” (kràsis) che significa miscelazione e riflette l’antica usanza greca di bere il vino mescolato con acqua: una usanza che permetteva ai greci di bere senza ubriacarsi. La miscelazione che avveniva in un grande vaso di terracotta con la bocca larga chiamato “κρατήρ” (cratere). La lavorazione delle uve avveniva proprio nei palmenti: quello etneo, infatti, ha origine greca e romana.

 

I vitigni dell’Etna

I vigneti dei Russo si estendono tra i 650 e i 1000 m di altezza s.l.m., nelle contrade di Crasà, Piano Daini e Rampante, in una zona asciutta e ben ventilata, con notevoli escursioni termiche tra il giorno e la notte nel periodo della maturazione delle uve. Il differente substrato vulcanico caratterizza i vigneti a seconda della contrada in cui sono localizzati.

dsc00053“Stiamo facendo un bel lavoro con i bianchi – spiega Francesco Russo – anche spumantizzati. La vendemmia a metà settembre ci garantisce una acidità elevata per ottenere vini freschi e longevi. Abbiamo impianti a spalliera bassa con cordone speronato. Si producono 70/80 quintali di media, a quota 1000 siamo sui 50 quintali. Il nome carricante parla chiaro: significa tanto carico, può arrivare anche a 90 quintali. Il carricante è fortissimo, più del mascalese. Nei nostri bianchi c’è una impronta olfattiva di pietra focaia e pepe bianco, sentori spesso legati ai terreni vulcanici. Il Rampante Etna bianco viene dalle nostre vigne in contrada Crasà. Per fare il Luce di lava bianco acquistiamo uve di altre contrade: carricante 70% e catarratto 30%. Il bianco è sempre stato messo da parte; prima c’era il palmento di pietra, era difficile farlo. Noi abbiamo 2-3 ettari di bianco: è raro e lo cercano”.

E gli altri vitigni? “La minnella è molto piatta – continua Francesco – non ha una grande personalità: si usava nel torchio per togliere l’amaro dell’acqua di vegetazione del graspo. Ora non c’è più bisogno. Il carricante ha una forza che la minnella non avrà mai. Il catarratto e il nerello cappuccio sono complementari dei vitigni autoctoni (carricante e nerello mascalese) e hanno ruolo tecnico fondamentale: compensano quello che manca, evitano squilibri. Per esempio, nelle annate piovose il carricante non raggiunge il grado alcolico di 12,5% normale nei vitigni di montagna: in questi casi il catarratto dà più forza. Il carricante è un po’ frivolo: ha bisogno di struttura. In pianura si ottengono vini più carichi e alcolici”.

Vini di montagna: effetto Borgogna

Evitiamo le macerazioni spinte – continua Francesco Russo – perché queste uve non hanno l’equilibrio di merlot, cabernet e syrah. Direi che il cappuccio potrebbe essere assimilabile al carignano, mentre il nerello al pinot noir, anche per via della pigmentazione. Il nerello mascalese è scarico di colore; quel 20% di cappuccio aumenta la sostanza colorante. I rosati dell’Etna, infatti, sono scarni di colore e più aranciati rispetto agli altri. Il nostro Mon Pit rosè è fatto con uve di nerello mascalese provenienti dalla contrada Piano dei daini”.


dsc00029Vini di grande personalità
(leggi le nostre degustazioni) , insomma. Che lanciano l’Etna sul palcoscenico globale. “Nel mondo del vino ci sono due pianeti diversi o, se si preferisce, due tifi o due fedi. Quelli pro Bordeaux, vini più tannici. E quelli pro Borgogna, vini più eleganti. I vini dell’Etna si avvicinano a questi ultimi. Qui entra in gioco il fattore buccia: questi vini diventano più eleganti, offrono un olfatto floreale e minerale. Il nerello mascalese da settembre a ottobre ha un po’ di stress per lo shock termico: si passa dai 25-30 gradi di giorno ai 10-12 gradi di notte”.

Tanta diversità nelle contrade dell’Etna

L’enologia è una continua sfida – dice Francesco Russo – perché concilia storia e chimica. È ricerca continua in un territorio così unico come quello dell’Etna dove tra un appezzamento e l’altro, anche vicini, cambia la peculiarità del terreno dando origini a vini molto diversi l’uno dall’altro. C’è tanta diversità nelle contrade dell’Etna. In fondo, l’Etna è giovanissima: ha solo 600mila anni… Ci vorrebbero studi approfonditi, siamo ancora all’inizio. Diversi fattori influenzano questi vini. Basti pensare che le colate sono verticali e i vigneti sono orizzontali: quest’incrocio di terre laviche diverse produce tante differenze. Ci sono lave più vecchie con maggiore presenza di alcaline, lave più giovani e acide. Nel substrato spesso si fondono. In via del tutto ipotetica qui si potrebbe fare un vino per filare, ma ovviamente è un lavoro impossibile da fare”.

“Un altro fattore di differenza – continua Francesco – è l’esposizione: l’Etna è un vaso troncoconico e le diverse esposizioni incidono sulla maturazione fenolica, fondamentale per i vitigni tardivi. La difficoltà sta nel vendemmiare in ottobre tenendo conto delle avverse condizioni atmosferiche le annate hanno grande influenza sul prodotto finale. Bastano pochi giorni per cambiare tutto. Insomma, il vitigno è comune, ma tutto il resto cambia”. Francesco è prodigo di considerazioni tecniche. “Il terreno è importante. Quello vulcanico è drenante, non c’è umidità. Qui c’era un lago: abbiamo argille che si mischiano con le lave. Il vulcano crea un mantello magmatico che ha spessore, qui si trova anche un consolidamento di crosta, argilla e limo. Facciamo solo concimazione organica e biologica su terreni ricchi di scheletro e pietrosi. Siamo attenti alla biodiversità, non usiamo diserbanti, lasciamo crescere piante spontanee, lasciamo che gli insetti ‘buoni’ mangino quelli ‘cattivi’”.

Gina Russo in giro per il mondo

dsc00041I vini Russo hanno conquistato non solo Regno Unito, Svezia, Danimarca, ma anche Cina, Turchia, Armenia, Thailandia, Stati Uniti. A fare la spola da una parte e l’altra del globo è Gina Russo, figlia di Vincenzo e sorella di Francesco.

Gina è la general manager dell’azienda, impegnata nel vino fin da piccola. “Sono cresciuta in una famiglia che fa il vino da diverse generazioni, a partire dal 1860. I miei ricordi vanno a quando avevo ancora 5 anni e partecipai alla mia prima vendemmia. Fu una festa, un grande divertimento. Da allora non ho più perso una vendemmia. Ne ho fatte 40, non male, no? Il momento della vendemmia sempre un bel momento dell’anno, non mi sono ancora stancata di farla. Fin da piccoli, io e mio fratello Francesco giocavamo nella cantina del nonno saltando da una botte all’altra. Fu in quelle giornate che nacque la passione per questo lavoro che negli anni ci ha assorbito completamente. Per noi era un gioco, per loro era un lavoro. Da quando avevo 5 anni, noi ragazzini saltavamo da una botte all’altra. In cantina c’era un lavoro molto complesso: ciascuna bottiglia veniva lavata e sciacquata con lo spazzolino. Poi, con la tecnologia, le cose cambiarono. Ora è tutto meccanizzato e sterilizzato grazie all’azoto che preserva. Una volta si faceva una leggera pastorizzazione, ora c’è la microfiltrazione”.

La nuova frontiera dello spumante

dsc00051Il settore del vino, forse a differenza di altri, è stato abbastanza rapido ad aprire alle donne. In Sicilia, adesso, c’è una presenza diffusa di donne nel management del vino. “Dietro al vino, c’è la storia di chi lo produce, del territorio dove nasce, del luogo che racconta – spiega Gina – le persone vogliono conoscere chi e cosa c’è dentro ad un bicchiere. Quando bevo un bicchiere di vino penso al lavoro che c’è dietro. Da un grappolo d’uva tu puoi ottenere un vino con molte sfaccettature, il vino può cambiare ad ogni sorso e ogni volta offre emozioni diverse. Amo tutti i nostri vini. Il nostro Etna Rampante è un vino complesso. In genere, non amo i vini giovani. Penso che i vini dell’Etna esprimano caratteristiche più genuine dopo alcuni anni di invecchiamento. Forse il mio favorito, però, è l’ultimo arrivato della casa: il Mon Pit, uno spumante metodo classico, fatto con le nostre uve bianche carricante e catarratto. Nei prossimi anni continueremo questo focus sugli spumanti. Da poco abbiamo lanciato le nuove bottiglie ed etichette di Rampante. Vogliamo estendere sempre più l’area delle visite in cantina. La nostra è un’azienda aperta all’accoglienza: siamo ben contenti di aprire le porte della nostra cantina. Vogliamo far vedere ai turisti, agli appassionati, dove e come nasce il nostro vino”.

Progetti per il futuro

Gina è una donna determinata, gentile, ospitale, molto comunicativa, da qualche tempo è anche vice presidente del Movimento del Turismo del Vino in Sicilia. È bello camminare con lei e con Francesco per le vigne mentre si scambiano idee e progetti per il futuro. Mi anticipano: “Stiamo ragionando su una pazza idea: sperimentare l’effetto che fa il Gewurztraminer su questi terreni. Potrebbe essere una Igt, chissà… Un progetto a lungo termine. Puntare sui bianchi è strategico”. Di sicuro noi ci saremo per provare le nuove creazioni di Francesco.