Candido: le etichette della tradizione salentina

di Vittorio Ferla

“Raffreddiamo le uve prima che siano diraspate per conservare i profumi e non rovinare le bucce. Bisogna raffreddare immediatamente, a 14-15 gradi, altrimenti non si raggiungono i risultati attesi”. Incontriamo Alessandro Candido mentre è quasi avvolto in una nuvola di neve carbonica.

img_8230 Siamo nello stabilimento di Guagnano, uno dei due polmoni dell’azienda insieme alla cantina di San Donaci.
Le operazioni di vinificazione vengono svolte in due fasi distinte: a Guagnano, in provincia di Lecce, viene effettuata la prima fase di trasformazione e di stoccaggio delle uve, mentre la maturazione dei vini in botte ed in barrique di pregiato rovere, l’imbottigliamento e l’affinamento vengono effettuate a San Donaci, in provincia di Brindisi.

 

Un pezzo di storia di Puglia
Candido ci racconta i vari passaggi della trasformazione, prima le uve bianche diraspate poi la lavorazione delle uve a bacca nera. “Queste sono uve mature. Dobbiamo difenderci per non avere cali nel giorno successivo e per evitare che manchi la piacevolezza dell’uva. Bisogna mantenerla croccante”.
Ancora oggi Candido è sinonimo di vino di trimg_8240adizione. “Qui nel passato erano tutti agricoltori. Dopo l’arrivo della fillossera in Europa e, soprattutto, in Francia, qui l’agricoltura si sviluppa a livello intensivo. C’era una grande richiesta di vini rafforzati con le uve pugliesi. Durante il fascismo, da Gagliano del Capo a Canosa, si caricavano i carri ferroviari di vino. I nostri vini, ricchi di polifenoli autoctoni, partivano dalla Puglia, da Ugento a Melissano, per dare corposità a quelli del nord Italia. Proprio per questo è nata la strada ferrata: i treni dovevano trasportare bottoni da 200 ettolitri. E lungo la strada ferrata venivano di conseguenza costruite le cantine. Per trasportare le persone, invece, c’erano le littorine, il cui nome è un chiaro riferimento ai fasci littori. Noi avevamo la gran parte delle campagne a Brindisi. Mio nonno era un professore di matematica. Acquistò lui i primi ettari a San Donaci. Il resto lo fece mio padre”. Negli anni l’azienda si avvale del contributo determinante di un enologo come Severino Garofano, che è stato la stella polare dell’enologia salentina.

 

Una grande varietà produttiva
Oggi l’azienda conta 140 ettari, tutti di proprietà, e ospita diverse varietà di uve. Ovviamente, la parte
maggioritaria è occupata dai vitigni autoctoni, con 80 ettari di Negramaro. I vigneti ricadono nel territorio della doc Salice salentino. “Il presupposto del lavoro in queste terre è la luminosità.img_8238 Siamo fortunati ad essere qui. Il padreterno ci ha dato una grande possibilità. Certo, possiamo fare il biologico, ma perché siamo aiutati dalla natura”. La natura detta i tempi: prima la vendemmia dell’aleatico, a fine agosto il primitivo, a settembre il negramaro, tra la fine di settembre e i primi di ottobre il Montepulciano. Nelle terre di Candido si trovano anche il Fiano, o Chardonnay, il Pinot grigio (un scelta parecchio originale) e il Syrah. “Fino a 30 anni fa, come bianchi, avevamo solo la Malvasia. Nel frattempo Grecanico e Trebbiano li abbiamo tolti. Mentre il Sauvignon non è adatto a questi terreni”, ci spiega. La produzione complessiva annovera così 15 etichette per un totale di 6 DOC e 9 IGT, distribuiti su vini bianchi, rosati, rossi e dolci. Una produzione molto vasta (più di un milione e mezzo di bottiglie) che ha avuto negli anni il merito di rendere fruibili a tanti consumatori dei prodotti di buona qualità. Alcuni prodotti di punta – come il mitico Duca d’Aragona – hanno fatto la storia della viticoltura salentina. Il 60% del prodotto va all’estero: Nord Europa, Svizzera, Usa. Il resto in Italia: oltre alla Puglia, Basilicata, Campania, Molise, Marche.

 

Le scelte enologiche
img_8247Dopo l’opera svolta in anni recenti dall’enologo Donato Lanati, dagli inizi del 2016 il nuovo consulente enologico della vitivinicola Candido è Leonardo Pinto, uno dei pionieri del Primitivo, con una lunga tradizione al servizio della storica azienda della famiglia Leone de Castris. “Sono convinto che il vino si fa in campagna. Noi dobbiamo impegnarci a non guastare l’uva. I nostri vini sono freschi e fruttati, oppure corposi ma morbidi. Vogliamo rinverdire le sorti del Negramaro e del Primitivo. Cerchiamo di interpretare i bianchi e i rosati in chiave moderna: vini freschi tutto l’anno, che sembrano vendemmiati ieri. Per i rosati ci piace il classico tono corallo: il colore cipria o la buccia di cipolla vanno bene altrove, in Francia, ma non qui”.

C’è la volontà di tornare a lavorare ad alto livello con l’altro vitigno principe del Salento: il Negramaro. img_8250“È il vitigno per eccellenza nella zona, perché si è adattato meglio alle condizioni del clima e del terreno dopo che i reduci della Prima e della Seconda guerra mondiale hanno intensificato le coltivazioni sui vitigni arrivati seimila anni fa con i coloni greci e poi distrutti dalla fillossera”, spiega Alessandro Candido. E precisa: “il buon vino non è mai frutto di improvvisazione, ma di profonda conoscenza di terra, vitigni, clima e processi produttivi. Per me il vino si fa in vigna, non in cantina”.
In linea con il carattere di questa terra, i vini di Candido (leggi le nostre degustazioni) conservano una grande personalità, espressione compiuta del territorio d’origine, dalle caratteristiche geologiche e geografiche uniche e irripetibili. I prodotti di Candido, alla fine, sanno di ‘fatto in casa’. Un carattere legato al territorio, alla storia e all’agricoltura sostenibile. Con un buon rapporto tra qualità e prezzo che non è mai un fattore secondario.