Vino: video, slogan e hashtag per rilanciare il Rossese di Dolceacqua

Un video, un hashtag (#bevodolceacqua), uno slogan (“Liguri, ma uniti”) e una pagina Facebook per rilanciare anche tra i privati il Vino Rossese di Dolceacqua, in un momento in cui l’emergenza sanitaria da Coronavirus ha tagliato le vendite dell’ottanta per cento circa, a causa della chiusura di bar, ristoranti ed enoteche, che risultano i maggiori acquirenti.

Promotrice dell’iniziativa è l’associazione “Vigne storiche” di Dolceacqua (Imperia), che raggruppa produttori di Rossese.

“Lo slogan ‘Liguri, ma uniti’ vuole testimoniare che malgrado i liguri siano sempre considerati individualisti – dichiara Maurizio Anfosso (Ka Manciné), produttore di Soldano in provincia di Imperia – in questo caso confermano la loro collaborazione verso un obiettivo comune”.

Nel video si nota ciascuno dei produttori che si passa, lanciandola, una pietra di colore rosso che poi viene inserita in un muro. “Significa che vogliamo continuare a costruire – prosegue Anfosso – e la pietra può anche simboleggiare il cuore”.

La zona del Rossese è compresa tra le vallate Nervia, Crosia e Roja, con alcuni insediamenti a Latte di Ventimiglia e a Borghetto di Bordighera. La produzione si aggira tra le 150 e le 270mila bottiglie all’anno, per un totale di 36 etichette.

Tre bicchieri del Gambero Rosso, Cinque grappoli di Bibenda e il premio “Grande Vino” di Slow Wine sono solo alcuni dei riconoscimenti ottenuti in questi anni dai cru (Rossese DOP Galeae e Rossese DOP Beragna) di Maurizio Anfosso (Azienda Agricola Ka Manciné).

Maurizio è il custode di un’antica tradizione familiare e di un patrimonio unico di vigneti, quelli di Rossese, incastrati tra il Mar Ligure e le Alpi, in un mosaico di micro-zone dalle caratteristiche a dir poco peculiari. Qui i toponimi, quelli di Galeae e Beragna, danno vita a delle vere e proprie eccellenze, che conquistano ogni giorno di più i palati degli appassionati e non solo.

Il Rossese o Dolceacqua è uno dei più antichi vitigni presenti nella nostra zona, la sua storia si lega ai greci di Marsiglia, anche per questo è considerato il vitigno autoctono italiano più “francese”. Recenti studi del CNR di Torino, a cura della nota ampelografa Dott.sa Maria Schneider, hanno dimostrato infatti che il Rossese e la francese Tibouren sono sostanzialmente identici dal punto di vista genetico.

Della sua presenza in Liguria ci racconta già Gallesio nei suoi scritti del XIX secolo, confermandone la presenza nella zona del ponente ligure, più precisamente nell’area compresa tra la valle Nervia, la valle Verbone, la Valle Borghetto ed alcune zone del comune di Ventimiglia.  Importanti gli studi sul vitigno e sul territorio imperiese di Mario Calvino, papà del famoso scrittore, che qui fu direttore della cattedra ambulante di agricoltura agli inizi del 1900.

La coltivazione del Rossese è dunque parte fondamentale della storia agricola dell’mperiese.  Un vitigno particolarmente difficile sia in coltivazione che in vinificazione, capace di produrre vini di straordinaria eleganza e bevibilità.

A differenza di ciò che è sempre stato detto su questa varietà, il Rossese si è dimostrato discretamente longevo, con evoluzioni organolettiche molto interessanti.

Il territorio diventa in questo vino il vero elemento di distinzione, per questo gli studi geologici, morfologici e storici, hanno dato vita a quelle menzioni geografiche che già storicamente i vignaioli utilizzavano per distinguere la provenienza di un vino rispetto ad altri e che oggi compaiono anche in etichetta.

Dice Anfossi: “Negli ultimi anni stiamo assistendo al “Rinascimento” del Rossese di Dolceacqua DOP, che sta riscuotendo successo, sia a livello nazionale che internazionale. La capacità di abbinarsi a molti cibi, di terra o di mare, rende il vino molto interessante a livello gastronomico. Una facile bevibilità abbinata ad una eleganza e complessità di aromi, rende il Rossese interessante all’interno del panorama enologico internazionale, capace di stuzzicare gli interessi di molti appassionati”.

Conclude Anfossi: “Il nostro impegno nell’export, grazie anche al maggior livello qualitativo raggiunto dalla maggior parte delle aziende, ha sicuramente favorito i flussi di appassionati, costantemente in crescita, che si scoprono interessati a conoscere il prodotto e le sue origini. Anche l’Italia del vino comincia ad abbandonare l’idea che la Liguria sia solo terra di bianchi, riconoscendo la produzione di questo grande rosso che oggi è facile trovare in tutte le guide premiato con voti d’eccellenza”.