Vi prego, tutta la verità sul latte

È l’alimento della nostra infanzia. E il primo che introduciamo nel nostro corpo appena nati. Parliamo del latte, sul cui consumo vi sono da sempre pareri molto discordanti.

 

Latte: fa bene o male?

Le linee guida italiane, in accordo con quelle internazionali, consigliano un consumo di latte e yogurt nella popolazione adulta di 2-3 porzioni al giorno: pari a 250-375 millilitri (poco meno di due tazze), se il consumo è moderato e non si è intolleranti al lattosio.

A queste vanno aggiunte tre porzioni settimanali di formaggio: da 50 o 100 grammi, a seconda che sia stagionato o fresco. I prodotti scremati sono indicati per chi è abituato a eccedere o segue diete ipocaloriche.

Non solo. Tra i pro del latte va sottolineato che si tratta di un vero e proprio alimento completo, perché le sue proteine – caseina (80%) e lattoalbumina (20%) – rappresentano un terzo del fabbisogno medio giornaliero di un individuo e in esso sono presenti anche i carboidrati, sotto forma di lattosio, particolarmente importanti per lo sviluppo del tessuto nervoso.

Notevole è anche l’apporto di calcio, che però si ottiene non solo dal latte ma anche da fonti vegetali come cavoliverdure a foglia verdesemi di soiatofunoci mandorlesardine e acqua.

 

Latte e osteoporosi

Un bicchiere di latte al giorno cancella l’osteoporosi di torno?

No, e in maniera così esplicita non si è mai espresso nessun medico, almeno in Italia. Ciò non toglie che i prodotti caseari sono sempre stati considerati un fattore protettivo nei confronti di tale patologia, come testimonia anche un recente lavoro pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition.

A instillare più di un dubbio, però, è stato uno studio svedese realizzato su oltre centomila pazienti di età compresa tra i 39 e i 79 anni. Obiettivo: analizzare il legame tra il consumo di determinati alimenti e i tassi di osteoporosi e mortalità tra uomini e donne. Nel corso dell’indagine sono stati raccolti il peso, l’altezza e i dati riguardanti il livello di istruzione e lo stile di vita dei soggetti monitorati. Ma soprattutto: a uomini e donne è stato chiesto a più riprese nel tempo di compilare alcuni questionari per rilevare la frequenza di consumo di prodotti quali il latte, lo yogurt e i formaggi.

Nell’arco di vent’anni sono stati registrati decessi e fratture ossee (ventiduemila, con una netta prevalenza tra le donne), numeri che hanno autorizzato gli autori della ricerca a «escludere un ruolo protettivo del latte nei confronti delle fratture, sebbene si tratti di una mera osservazione e non del riscontro di un legame certo tra causa ed effetto».

Più opportuna, invece, è la scelta di yogurt e formaggi fermentati, associati a una più rara insorgenza di fratture ossee e consigliati.

 

Benefici di latte e derivati

Calciofosforo e vitamine del gruppo B e D, in primis. Ma, più in generale, anche proteine, zuccheri, acidi grassi. Sono pochi gli alimenti completi come il latteMa se la sua utilità nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza è fuori discussione, il consumo in età adulta dipende innanzitutto dai gusti.

Infine i fermenti lattici che si trovano nel latte, nei formaggi e nello yogurt, contengono acido lattico, sostanza particolarmente benefica per il nostro organismo perché favorisce processi vitali indispensabili per lo sviluppo fisiologico, riordinano la flora batterica intestinale, ostacolando lo sviluppo di molti dannosi microrganismi, prevengono le infezioni intestinali, favoriscono la ricostituzione di una adeguata flora batterica dopo particolari cure assunzioni di antibiotici, migliorano la digestione, e il funzionamento dell’intestino e rafforzano le difese immunitarie.

 

Giornata mondiale del latte

Istituita dalla Fao nel 2001, il 1 giugno è stata la Giornata mondiale del latte ed ha segnato, in tutto il mondo, l’importante ritorno sulle tavole di quello che potremmo definire come il primo alimento dell’uomo.

Un ritorno, stimolato anche dall’addio all’olio di palma: a livello nazionale, un numero crescente di imprese ha fatto la scelta di realizzare prodotti olio di palma free, con la conseguenza che le quotazioni del burro alla produzione – nel mese di maggio – sono quasi raddoppiate, mentre sono aumentate di circa il 90%, rispetto allo stesso periodo del 2016, alla Borsa di Lodi, dove anche il prezzo del “latte spot” –  cioè venduto al di fuori degli accordi con la grande distribuzione – ha superato i 41 centesimi al litro, contro i 37 centesimi di appena tre mesi fa.

 

Etichetta obbligatoria

Un riposizionamento importante che avviene a poco più di un mese dall’entrata in vigore il 19 aprile 2017 della legge che obbliga ad indicare in etichetta l’origine per tutti i prodotti lattiero caseari, una legge voluta da Coldiretti e che consente di fare scelte consapevoli in un mercato invaso di prodotti stranieri spacciati come italiani.

Le importazioni di olio di palma per uso alimentare sono diminuite in Italia del 41% nei primi due mesi del 2017, con sei italiani su dieci, che evitano di acquistare prodotti alimentari che contengono olio di palma, a conferma della diffidenza che sta portando un numero crescente di imprese ad escluderlo dalle proprie ricette (elaborazioni Coldiretti su dati Eurispes).

 

Olio di palma free

Si tratta di una vera e propria inversione di rotta delle importazioni di olio di palma ad uso alimentare, dopo essere più che raddoppiate negli ultimi 20 anni raggiungendo nel 2016 circa 500 milioni di chili. Uno sviluppo enorme nonostante le perplessità per quanto riguarda gli effetti sulla salute, cui si sono aggiunte le preoccupazioni sull’impatto ambientale che sta portando al disboscamento di vaste foreste, senza dimenticare l’inquinamento provocato dal trasporto a migliaia di chilometri di distanza dal luogo di produzione e, naturalmente, le condizioni di sfruttamento del lavoro delle popolazioni locali private di qualsiasi diritto. Un andamento che si riflette anche a livello internazionale dove si assiste ad un aumento delle domanda con i consumi di burro che sono cresciuti del 7% negli Stati Uniti, del 5% in Argentina e del 4% in Asia come in Australia nel primo trimestre del 2017, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, secondo analisi Coldiretti su dati Clal.

 

Settore in crisi e danno ambientale

Il cambiamento ha coinvolto anche gli altri prodotti a base di latte e rende ancor più necessario per l’Italia valorizzare e sostenere il proprio patrimonio lattiero caseario dopo che negli ultimi dieci anni si è praticamente dimezzato il numero di stalle presenti, tanto da aver raggiunto il minimo storico di 30mila allevamenti, rispetto ai 60000 attivi nel 2005. Un fenomeno causato dal crollo del prezzo pagato agli allevatori che è sceso per lungo tempo addirittura al di sotto dei costi di alimentazione del bestiame. Una situazione insostenibile che richiede una decisa inversione di tendenza, poiché da salvare ci sono i 120mila posti di lavoro nell’attività di allevamento da latte, che generano lungo la filiera un fatturato di 28 miliardi, la voce più importante dell’agroalimentare italiano dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista dell’immagine del Made in Italy.

Sono 488 i formaggi tradizionali censiti dalle Regioni che si aggiungono ai 49 a denominazione di origine protetta (Dop) riconosciuti dall’Unione Europea, ai quali è destinato circa la metà del latte consegnato dagli allevamenti italiani. Ma la chiusura di una stalla non significa solo perdita di lavoro e di reddito, ma anche un danno ambientale con quasi la metà degli allevamenti italiani che si trova in zone montane e svantaggiate e svolge un ruolo insostituibile di presidio del territorio, dove la manutenzione è assicurata proprio dal lavoro silenzioso di pulizia e di compattamento dei suoli effettuato dagli animali.