Prosek contro Prosecco. L’Ue apre e l’Italia si ribella

di Vittorio Ferla

 

Da qualche giorno l’Italia del vino – produttori, associazioni di categoria, istituzioni – è in subbuglio. La Commissione europea ha autorizzato di recente la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Ue della domanda di registrazione della menzione tradizionale Prošek, partita dalla Croazia. Una notizia che ha creato il panico tra produttori del Prosecco. Il nome del vino croato è davvero troppo simile alle bollicine nostrane: può trarre trarre in inganno i consumatori di tutto il mondo e danneggiare il vino italiano. Bisogna infatti ricordare, in proposito, che le bottiglie prodotte dalle tre denominazioni del Prosecco – Prosecco Doc, Prosecco Conegliano Valdobbiadene e Asolo – sono più di 620 milioni. Di queste, 370 milioni sono esportate in tutto il mondo sulla base di un crescente successo. Il mercato delle bollicine tricolore più famose nel mondo vale ben 2 miliardi di euro di fatturato annuo. La metà di questo valore proviene dall’estero e rappresenta il 16% dell’export totale italiano. Il vino croato, insomma, approfitterebbe non soltanto della fama legata al nome ma anche del successo economico del concorrente italiano.

Ma non è un caso di Italian Sounding

Per carità, siamo in una situazione molto diversa dalle pratiche scorrette dell’“Italian Sounding”, espressione inglese con la quale si definisce l’utilizzo (su etichette e confezioni) di denominazioni, riferimenti geografici, immagini, combinazioni cromatiche e marchi che evocano l’Italia e in particolare, alcuni dei suoi più famosi prodotti tipici (dal parmigiano alla mozzarella), per promuovere la commercializzazione di prodotti inducendo ingannevolmente a credere che siano autentici italiani, quando in realtà di italiano hanno poco o nulla. Un fenomeno diffuso maggiormente negli Stati Uniti, in Canada, in Australia, in America latina e in diversi altri mercati, inclusi quelli europei. Una forma di falso made in Italy molto affermato nel settore agroalimentare internazionale, che sfrutta la reputazione e l’attrazione che la buona tavola e il turismo enogastronomico italiani hanno nel mondo per commerciare prodotti che poco hanno a che fare con l’autenticità e la qualità dei prodotti italiani, danneggiando così una parte sempre più consistente dell’economia italiana e delle esportazioni agroalimentari, dall’olio d’oliva ai formaggi, dai salumi ai vini.

A onor del vero, tuttavia, non era certo questa l’intenzione dei croati che effettivamente producono da decenni un vino che si chiama Prošek. Resta il fatto di una minacciosa assonanza che ha tolto il sonno alle istituzioni del

C’era una volta il Tocai

Veneto e del Friuli, le due regioni dove ricadono le denominazioni del Prosecco. Ecco perché il primo ad alzare la voce è stato il presidente della regione Veneto, Luca Zaia: “noi siamo pronti, al fianco del governo, a una causa colossale contro questa iniziativa, perché ci stanno scippando un brand importante del nostro Paese, è come che volessero portarci via la Ferrari”. Il governatore veneto ricorda “che l’Unesco ha nominato ufficialmente nel 2019 le Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene patrimonio dell’umanità”. Nella stesura del dossier italiano non verrà tralasciata la vicenda Tokaji. Lo promette Stefano Zannier, l’assessore regionale alle Risorse agroalimentari del Friuli Venezia Giulia. “La vicenda ha caratteristiche simili: allora l’Unione europea privilegiò il valore della denominazione rispetto a quello della storicità del vitigno per ammettere il riconoscimento del Tokaji ungherese a scapito del Tocai friulano”, ricorda Zannier. Val la pena ricordare qui che il Friulano – ovvero l’uva bianca che un tempo era conosciuto come Tocai Friulano – è senza dubbio il vitigno autoctono più amato dai friulani. Dal novembre 2008 questo grande vino friulano, originario del Collio Goriziano, non si può più chiamare Tocai ma solo Friulano proprio a causa di una decisione europea che ha privilegiato l’uso del nome da parte del Tokaji ungherese, che, a differenza del Friulano, bianco secco, è un vino dolce da dessert realizzato da uve Furmint. Ironia della sorte: il vitigno da cui viene prodotto il Tokaji ungherese proviene da quelle uve Furmint che prendono il nome della donatrice, la baronessa Formentini e che, secondo una ricostruzione storica, furono importate in Ungheria, intorno al 1600, proprio dal Collio Goriziano.

Due vini profondamente diversi

Anche nella querelle di questi giorni, la differenza tra le due tipologie di vino è abissale. Il Prosecco, infatti, è uno spumante metodo Martinotti (che svolge dunque la seconda fermentazione in autoclave, a differenza del metodo classico che prevede la rifermentazione in bottiglia), bianco (solo di recente è nata la versione rosa), ottenuto da uve Glera, declinato perlopiù dal brut all’extra dry. Un vero e proprio campione degli aperitivi. Il Prošek, viceversa, è un vino fermo dai riflessi ambrati e intensi, dolce, simile a un passito. Adatto al fine pasto, si abbina principalmente ai dessert ed è ottenuto dall’appassimento di varietà autoctone: Bogdanuša, Maraština e Vugava, talvolta con l’aggiunta di Plavac Mali. Viene vinificato nella Dalmazia centrale e meridionale in alcune decine di migliaia di bottiglie da piccoli produttori, soprattutto nell’isola di Hvar. Gli eurodeputati croati assicurano che non vi è alcuna somiglianza tra i vini, né sul piano delle caratteristiche, né, tantomeno, su quello della produzione.

Sarà pur vero, ma l’assonanza dei due nomi è considerata una minaccia da istituzioni e produttori italiani. Il commissario Ue all’Agricoltura, Janusz Wojciechowski, rivolgendosi al ministro dell’Agricoltura Stefano Patuanelli, nel corso del G20 di Firenze sull’Agricoltura, ha assicurato: “Non abbiamo ancora autorizzato il Prosek. Aspetteremo vostre osservazioni. Per noi è fondamentale proteggere le indicazioni geografiche”.

Nella sua informativa al Senato del 22 settembre, Stefano Patuanelli, ministro delle Politiche Agricole, ha gettato acqua sul fuoco. “Ad oggi la commissione ha dato semplicemente l’assenso alla pubblicazione in gazzetta della domanda: quindi non è stata ancora preso nel merito una decisione definitiva sulla registrazione. La normativa europea ci consente in sede di opposizione di far valere le nostre ragioni”. La richiesta della Croazia di registrare il Prosek è partita, ma l’Italia avrà sessanta giorni di tempo – a decorrere dalla pubblicazione della richiesta di registrazione in Gazzetta Ufficiale europea – per fare opposizione formale.