Non solo sensi: il vino è un progetto

di Paolo Peira

 

Oggi la qualità sensoriale può essere pesata e misurata, proprio come si misura l’alcool.

In virtù delle difficoltà oggettive, in particolare quelle legate alle sensazioni olfattive durante la degustazione, da più parti viene indicato, come soluzione ideale, l’impiego del descrittore molecolare in luogo degli aggettivi e dei sostantivi che abitualmente si utilizzano nella presentazione di un vino. Il descrittore molecolare è consensuale ed univoco, a condizione che il degustatore abbia l’adeguata preparazione riguardante l’ampio spettro delle molecole organoletticamente attive, presenti nel vino.

Se è vero che la degustazione rappresenta per l’enologo il principale strumento per comprendere ciò che accade in un determinato momento su un determinato prodotto, il descrittore molecolare sarebbe comune e comprensibile, così da consentire a tutti di degustare nelle stesse condizioni ed attenuare in qualche modo le differenze e le specificità individuali che il nostro genoma comporta.

 

Per descrivere serve un linguaggio comune

Identificare e definire un linguaggio comune rappresenta il fondamento per raggiungere quella univocità di pareri e di giudizi, essenziali per affrontare qualsiasi decisione tecnica di cantina.

La scommessa è riuscire a veicolare con una terminologia alla portata di tutti, concetti ed idee che abbiano un fondamento tecnico preciso e non riflettano semplicemente le emozioni e l’ispirazione del momento.

Il risultato finale della degustazione non può essere ridotto ad un semplice responso di buono o cattivo. A mio avviso la qualità sensoriale, sopratutto a livello olfattivo, non può essere legata all’intensità aromatica o alla piacevolezza personale del degustatore del momento, quanto invece alla natura stessa dell’aroma presente.

 

Gli strumenti che fecero l’aroma

Allora avremo gli strumenti giusti per capire che, se un trebbiano profuma di banana e rosa va benissimo, perché da un mosto con un aromigramma, pressoché piatto, gli unici profumi possono essere conferiti durante la fermentazione alcolica (giocando su temperature di fermentazioni e su pulizie dei mosti), ma se un moscato o uno chardonnay o, peggio ancora, un sauvignon contengono alte percentuali di acetato di isoamile o fenil 2 etanolo (seppure aromi piacevoli non lo nego), forse, abbiamo sbagliato qualcosa, abbiamo coperto un aroma varietale tipico solo di quel vitigno, quindi una ricchezza unica e distintiva, con aromi banali e comuni a tutte la varietà. Quell’aroma di fondo, che è rappresentato dai norisoprenoidi e dagli alcoli superiori per i vini rossi e dagli acetati degli alcoli superiori per i vini bianchi, va benissimo per varietà neutre ma è un grande errore trovare su vini provenienti da uve che presentano un espressione aromatica specifica ed unica.

 

Aromi: a che serve l’enologo?

Qui entra in gioco la bravura dell’enologo che non sta nell’apprendere una tecnica e riproporla fedelmente a mille chilometri di distanza, magari su altre uve, aspettandosi di ottenere lo stesso risultato. Non avrebbe senso, sarebbe anzi controproducente.

La capacità sta a mio avviso innanzitutto nel comprendere la tecnica nella propria area di origine e cercare di contestualizzarla, cioè renderla altrettanto valida, modificandola, per zone diverse.

 

Il vino è un progetto

Il vino è un progetto, e questo progetto noi lo dobbiamo avere bene in testa prima di cominciare a piantare il vigneto. Il risultato non deve essere una sorpresa. Questo perché tra la scelta dell’impianto del vigneto e l’imbottigliamento abbiamo centinaia di decisioni da compiere. Occorre conoscere le conseguenze di queste decisioni. Ad ogni incrocio dobbiamo sapere qual è la strada che ci allontana o ci avvicina da quel progetto. Il primo compito è il rispetto della tipicità varietale, tenendo sempre a mente la definizione di Qualità riportata da una lontana norma ISO: “La qualità è l’insieme delle proprietà o delle caratteristiche di un prodotto o di un servizio che conferiscono ad esso la capacità di soddisfare esigenze espresse o implicite”.

 

(Terza e ultima puntata sull’analisi sensoriale dei vini. Per chi non le avesse lette, ecco prima e seconda)