
di Stefano Sequino
Antiche dimore, tradizioni contadine e vigneti caratterizzano la fascia settentrionale del Piemonte, luoghi, anch’essi donati alla viticoltura, non molto distanti (almeno in termini geografici) dai più rinomati distretti viticoli delle Langhe, Roero e Monferrato.
Una fascia che si estende fino alla Val d’Ossola e alle montagne di confine, fatta di vigneti, spesso terrazzati che, da tempi antichissimi, ancor prima della colonizzazione romana, caratterizzano i paesaggi agricoli e rurali. Poche centinaia di ettari di vigneti, nei quali dominano le viti di Nebbiolo, e che talvolta, con qualche difficoltà ma con indiscussa caparbietà, si arrampicano fino alle pendici moreniche che originano dal Monte Rosa, argille, porfidi, rocce granitiche e ricche di minerali.
Una grande varietà geologica dell’alto Piemonte, che contribuisce a diversificare i vigneti, le uve ed i vini da esse ottenuti, in una striscia meno estesa, e per questo meno produttiva rispetto al restante e più blasonato vigneto regionale, ma che, oltre a riconquistare un ruolo importante per l’economia del territorio, ha raggiunto livelli di assoluta qualità e tipicità.
L’altro Nebbiolo
Tra i vini Docg e Doc dell’alto Piemonte spiccano Nebbioli d’eccellenza, varianti ʹnordicheʹ del vitigno autoctono piemontese che qui non raggiunge il 10% del vigneto regionale. Un’uva adatta ad essere vinificata in purezza ma più spesso destinata al blend con altre varietà tradizionali, l’Uva Rara o Bonarda Novarese, Croatina e l’Uva Vespolina, anche detta Ughetta, per ottenere vini strettamente legati al territorio d’origine, strutturati e longevi, destinati alla maturazione in legno e ad un medio-lungo affinamento in bottiglia.
Un ʹaltroʹ Nebbiolo, chiamato Spanna nelle province di Vercelli e Novara o anche Prunent nella Val d’Ossola, Picoutener o Picotendro in Valle d’Aosta fino alla più nota Chiavennasca valtellinese. Già Plinio il Vecchio parlava di ʹspineaʹ o ʹspioniaʹ, coltivata dapprima nel novarese per poi essere diffusa nelle zone limitrofe del canavese e della sesia.
Nomi diversi, in alcuni casi biotipi genetici affini, per indicare sostanzialmente una stessa varietà ʹmadreʹ, dagli acini piccoli, serrati e con una buccia tipicamente pruinosa che gli dona l’effetto ʹannebbiatoʹ da cui probabilmente ne deriva il nome. Una varietà d’uva da cui, più a Sud, oltre ai più rinomati vini Docg Barolo e Barbaresco delle Langhe, si ottengono, nel Roero, alla sinistra del fiume Tanaro, altre produzioni, anch’esse di grande qualità ma di minor struttura.
Carema, eccellenza d’altura
Tornando invece nell’alto Piemonte, tra i vini territoriali d’eccellenza c’è, al confine con la Valle d’Aosta, il vino Doc Carema, eccellenza d’altura anch’esso base-Nebbiolo dato che il disciplinare ne prevede un contributo di almeno l’85%. Una poesia della terra, così indicata da Mario Soldati, riconosciuta come Denominazione di origine controllata nel 1967, i cui vigneti si sviluppano ostinatamente sulle pendici moreniche del monte Maletto, a ridosso delle Alpi.
Qui il paesaggio è caratterizzato dai tipici terrazzamenti e dai pilastri tronco-conici in pietra, spesso monolitici, detti topion o pilun, dalle cure attente dei vigneti che testimoniano l’unione che c’è tra uomo e territorio, una veduta delle alture caratterizzata da pergole arroccate sorrette dai pilun, con il compito di trattenere il calore del giorno per rilasciarlo gradualmente durante la notte.
In quest’area il Nebbiolo offre vini intensi, eleganti, vellutati e corposi, dai tannini complessi e con una propria e singolare sapidità.
Un’eccellenza enoica celebrata, anche quest’anno, con la Festa dell’Uva e del Vino di Carema, giunta alla 64a edizione. Una festa, organizzata dal Comune di Carema con il patrocinio della Regione Piemonte, che dal 21 al 25 settembre ha chiamato gli appassionati, non solo di vino ma anche di storia e cultura. Degustazioni, passeggiate tra i vigneti, l’occasione di “andar per cantine antiche”, un percorso, animato da intrattenimenti musicali, che passa per 11 antiche cantine e l’opportunità di degustare i vini e le grappe di Carema e le specialità della tradizione.
Si torna a casa, dall’Alto Piemonte, pensando all’impegno ed alle iniziative che la comunità, a tutti i livelli, organizza, con non poche difficoltà, per valorizzare i vigneti di Carema, arroccati sui pendii delle montagne di confine. Vigneti che raccontano la fatica e i sacrifici delle persone, guardiani di antichi terrazzamenti e di tradizioni, che hanno curato e tutt’oggi curano le pergole per contribuire, nonostante un mercato orientato all’omologazione dell’offerta, al mantenimento dell’incredibile biodiversità, anche sensoriale, che caratterizza i Nebbiolo d’altura.