ABCvino – La “piramide” delle denominazioni di origine

di Fabio Ciarla

 

Quando si parla del sistema di certificazione della produzione vitivinicola, si incappa spesso in una trappola concettuale e simbolica: la “piramide qualitativa“.

 

La trappola della piramide

Fino a qualche tempo fa, si spiegava la gradualità degli ambiti produttivi indicando la forma della piramide e mettendo al livello più basso e ampio le IGT (Indicazione Geografica Tipica), poi, a salire le DOC (Denominazione di Origine Controllata) e, infine, le DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita). Ecco, diciamo che stabilire, per legge, che la qualità di un vino può essere messa su una scala nella quale c’è un grado più altro (DOCG) e uno più basso (IGT) – e più in basso ancora i comuni “Vini da Tavola” – non è sicuramente l’operazione più corretta da fare.

 

Le regole dell’Europa

Tra l’altro dovremmo cominciare a prendere confidenza anche con la nuova normativa europea che etichetta tutti i prodotti alimentari di qualità, vino compreso, in DOP (Denominazione di Origine Protetta – comprendenti DOC e DOCG),  e IGP (Indicazione Geografica Protetta – corrispondenti alle IGP). L’intento comunitario era quello di unificare i sistemi di riconoscibilità tra i vari Paesi, che sarebbe anche auspicabile se non andasse a cozzare tuttavia con una cultura e una storia che rendono le produzioni vinicole dei singoli Stati europei assolutamente non omologabili.

 

I “Supertuscan”: vini da tavola pregiati

Detto questo, chiariamo una volta per tutte che tali denominazioni hanno un valore principalmente territoriale – come riportano con precisione le sigle tramite la “O” di Origine e la “G” di Geografica – e solo in seconda battuta considerano una gradualità di vincoli legati alla qualità del prodotto finale. Insomma, quando si tratta di vino tutto è più complicato di quanto appare a prima vista, in effetti dalle IGT alle DOC e poi alle DOCG ci sono differenze a volte sostanziali nella produzione e nella lavorazione dei vini che dovrebbero certificare una maggiore qualità, ma non è una regola matematica. Soprattutto perché i nostri territori sono diversi, così come le storie dei produttori che li hanno resi grandi. A cominciare, per fare l’esempio forse più famoso, dai “Supertuscan“:  vini che, stravolgendo qualsiasi regola territoriale dell’epoca (perché prodotti con vitigni internazionali), videro le prime annate uscire sul mercato con scritto “Vino da Tavola” in etichetta pur essendo prodotti di pregio e prestigio assoluti.

 

“Abuso” di piramide

Spero di non avervi confuso ulteriormente le idee, d’altronde le Denominazioni sono nate e hanno anche una funzione importante nei confronti del cliente finale, certificando e garantendo il rispetto di alcune regole. Bisogna ammettere inoltre che anche dal punto di vista economico il concetto della “piramide” funziona, con un valore dei vini in crescita partendo da quelli IGT poi a salire con i vini DOC – che mediamente costano/valgono l’80% in più – e quelli DOCG, addirittura 3,3 volte più di quelli al livello più basso (stime ISMEA). Però non possiamo dimenticare che forse si è abusato di questo strumento e ora se ne pagano le conseguenze, non tanto a livello delle 73 DOCG italiane con esempi di chiara fama come Brunello o Barolo, quanto per le oltre 330 DOC e le oltre 110 IGT. Qualche esempio chiarificatore potrebbe trovarsi nelle recenti denunce di produzione: dati forniti dai singoli produttori per la quantità di uve raccolte e atte a dar vita a vini di specifiche DOC. Ebbene sono molte, sicuramente alcune decine, quelle che hanno nella relativa casella un chiarissimo zero: se non ci credono neanche più i produttori perché dovrebbero crederci i consumatori? A voi la risposta…

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