Pistacchi

Introdotti in Europa dagli Arabi e coltivati con denominazione DOP in Sicilia (qualità di Bronte, nominata Presidio Slow Food), i pistacchi sono ricchi di vitamina A, B1 (o tiamina), B2, B3, B5, B6, C oltre a ferro, fosforo e manganese, potassio, rame. Apprezzati da soli o come ingredienti per dolci o per piatti anche salati, una delle proprietà curative più apprezzate di questo tipo di frutta secca è quella di aiuto per il cuore. L’altro è che aiutano a tenere sotto controllo anche i livelli di colesterolo cattivo nel sangue: grazie al buon contenuto di grassi “buoni” mono e polinsaturi, l’alta presenza di fibra, la quota significativa di antiossidanti e anche l’apporto di potassio e magnesio, capaci di bilanciare gli effetti del sodio.

 

I pistacchi italiani, a differenza di quelli turchi e californiani – semi grandi e colori tenui – sono piccoli e tosti, oltre che colorati di un verde smeraldo più acceso. Sono anche, come scrive Licia Gramello nel suo “I sapori d’Italia”, “così timidi da maturare solo un anno sì e l’altro no”. E queste “piccole gemme di bontà in bilico adorabile tra il dolce e il salato”, come li definisce la Gramello, si prestano alle ricette più svariate.

 

La preferenza per i terreni lavici, le temperature elevate e l’acqua limitata, ha spostato la terra d’elezione dal basso Mediterraneo e da Asia minore e Medio Oriente alle campagne di Campania, Basilicata e Sicilia, che in Bronte ha il suo epicentro (sede di DOP e presidio Slow Food). A Bronte, grande centro incastonato tra le falde occidentali dell’Etna – il più alto vulcano attivo d’Europa – le piante assorbono dal terreno lavico le sostanze necessarie per un frutto più ricco di aromi e concentrazioni di sapori.

 

Qui, la raccolta, fatta solo negli anni dispari tra fine agosto e i primi di settembre, è in genere di circa 30.000 quintali di pistacchi. Che troveremo nei negozi sotto diverse forme: pelati, sgusciati e non sgusciati, in granella e in farina, a scaglie, in pasta e in creme. Che l’industria pasticciera trasformerà in torroni, paste, torte, confetti e biscotti; che l’industria gelatiera confezionerà in gelati, cassate, spumoni; che i salumieri impiegheranno per rendere più preziose e profumate mortadelle e soppressate; che piccoli (e medi) produttori appassionati di cose buone elaboreranno in pesti delicati e profumati da gustare sui taglierini o sui morbidi gnocchi di patate o per arricchire le farcie di arrosti o per profumare friabili crostate. Ma, attenzione! Dato l’alto costo del pistacchio di Bronte, l’unico coltivato in Italia ed esclusivamente in Sicilia, alcuni produttori si rassegnano a impiegare pistacchi d’importazione con risultati senz’altro diversi. Infatti, sebbene i pistacchi di Bronte rappresentino soltanto l’1% della produzione mondiale, quanto a qualità restano i primi della classe.

Insomma, pochi ma buoni. Anzi, buonissimi!

 

Fonti:
riza.it
greenstyle.it
greenme.it
mangiarebene.com
Licia Gramello, I sapori d’Italia dalla A alla Z, Gribaudo Editore, Milano 2015