
di Vittorio Ferla
“Ci occupiamo di vino da cinque generazioni. Cominciò tutto con il nonno di mio nonno”. Giuseppe Mannino ci accoglie nella sua Tenuta del Gelso, in Contrada Juncetto, poco fuori dal centro abitato di Catania, sulla strada che porta a Enna e Gela. Il cuore dell’azienda è qui.
Cinque generazioni di viticultori nel vecchio palmento
“Qui c’erano vigne fino ai primi del ’900: in passato la produzione agricola era incentrata sulla vite. Il palmento, la struttura utilizzata tradizionalmente per la vinificazione del vino, è uno dei più grandi della zona e testimonia l’antica produzione vitivinicola di famiglia. Oggi le vigne non ci sono più e il palmento non può più essere utilizzato per motivi di legge. E così i 65 ettari della Tenuta del Gelso ospitano oggi agrumi, ortaggi e ulivi”.
Giuseppe Mannino viene da una famiglia di tradizioni nobiliari originaria di Gravina di Catania, uno

Giuseppe Mannino con Vittorio Ferla
dei primi paesi – poco più di 25 mila abitanti – che si incontra uscendo dal capoluogo in direzione dell’Etna. “Oggi in realtà non abbiamo più proprietà in quella zona. Ma abbiamo conservato la tradizione vinicola delle Tenute Mannino di Plachi”.
Una tradizione antica che risale al 1800. ll Barone Franz Mannino cominciò allora ad esportare vino e arance in Europa e nel Nord America. “Grazie a questa attività conquistò riconoscimenti per i suoi prodotti in diverse esposizioni mondiali: all’Expo di Parigi, a Vienna, a Philadelphia”.
Adesso le Tenute Mannino di Plachi sono diventate una realtà complessa che si è ripensata sulla base delle tendenze di mercato. Parliamo di un’azienda agricola, vinicola e agrituristica presso la quale si svolgono wine tasting, pranzi, cene e attività ecoturistiche.
Uve bianche e rosse tra Viagrande e Castiglione

Bottiglie Tenute Mannino di Plachi
La produzione di vino con le sue 50 mila bottiglie costituisce un asset importante e gode della fresca ribalta dell’Etna DOC. Da una parte, le uve bianche: Catarratto e Carricante, concentrate nelle campagne di “Varanni”, ovvero Viagrande, un paesino etneo di 8 mila abitanti a 400 metri di altezza. Le uve a bacca rossa – Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio – si trovano invece nelle campagne di Pietramarina di Castiglione. (Qui e qui leggete le due degustazioni fatte in cantina).
“Le dimensioni aziendali sono limitate. La lavorazione in cantina è tutta di seguito, prima l’uva bianca e poi la rossa”. Ovviamente, non è più possibile utilizzare i sistemi di lavorazione dei palmenti tradizionali, ormai vietati dalla legge. “Usiamo vasi di acciaio e di legno, temperature controllate, pressa chiusa per i bianchi per mantenere i profumi, lunga fermentazione a 14 gradi, poco uso della chimica, imbottigliamento solo appena fatta la precipitazione delle particelle”.
Continua Mannino: “Facciamo circa 50 mila bottiglie, ma solo se il vino è buono. Altrimenti va all’ingrosso. Nella cantina di Castiglione produciamo cinque etichette, diciamo 6 con lo spumante: poche bottiglie di metodo classico sui lieviti per 18 mesi. Lo spumante è nato per gioco perché mia moglie consuma tanto spumante”.
Il rosso resta il vino di punta, sia per quantità che per qualità. “Il nerello mascalese ha bisogno di tempo. La caratteristica allappante del nerello va contrastata. Usiamo l’acciao fino alla malolattica, poi si passa alle botti di legno. Una volta anche le barrique, adesso non più. Il nerello mascalese non ama molto il legno: usiamo botti più grandi di rovere francese (tonneaux). I bianchi fanno solo acciaio”.
L’azienda non si ferma al vino. Ci sono le marmellate di agrumi: arancia, arancia amara e mandarino preparate con buccia e miele di zagara, rispettando l’antica ricetta di famiglia. C’è l’olio DOP extra vergine di oliva ottenuto dalla Nocellara Etnea, l’oliva autoctona dell’Etna. Completano la produzione i patè di olive verdi e nere, i pomodori secchi e piccanti, i pomodori secchi alla siciliana (li abbiamo provati e vorremo gustarli di nuovo). “Tutta la nostra produzione – precisa Mannino mentre visitiamo il vecchio palmento che oggi è una suggestiva location per feste ed eventi – permette di garantire la qualità e la tracciabilità, dalla materia prima alla materia finita”.
L’Etna al centro di un Grand Tour
Attualmente Giuseppe Mannino ricopre anche il ruolo di presidente del Consorzio Tutela Vini Etna Doc, un consorzio che raccoglie 70 aziende che producono vini sul vulcano secondo il disciplinare. È sua l’idea del Grand Tour dell’Etna: “Mi piaceva l’idea di recuperare la vicenda dei colti viaggiatori europei del ’700 che vennero fin qui e si innamorarono della Sicilia. Noi abbiamo seguito il percorso inverso: portare la Sicilia in giro per il mondo per fare assaggiare l’Etna. Il vino diventa un ambasciatore: questa è solo una parte delle cose squisite che è possibile trovare da noi. Abbiamo così portato ben più di 30 aziende prima a Roma, poi a Milano, infine a Monaco. I protagonisti del Tour sono stati i titolari delle aziende: gli unici che sono in grado di spiegare e raccontare la loro storia e il loro prodotto. Alla fine è stato un successo che in tanti vorrebbero ripetere”.
Piccole aziende, grandi vini
Tuttavia, l’Etna resta un luogo singolare: “Da noi si trovano solo aziende piccole. Che in poco più di dieci anni hanno compiuto passi enormi. Basti pensare che nel 2002 le aziende imbottigliatrici erano soltanto sei, mentre ora sono circa 80. La superficie vitata, inoltre, cresce in media di 50 ettari all’anno. Cresce il successo sui mercati europei e internazionali. Grandi apprezzamenti arrivano anche dalla critica enologica: basti pensare all’attenzione mostrata da Wine Spectator per l’Etna e ai punteggi altissimi che i nostri vini ottengono nelle classifiche americane. E pensare che prima il Nerello mascalese nemmeno si conosceva. Sono segnali decisamente incoraggianti che fanno ben comprendere le potenzialità future, pur rimanendo la nostra produzione destinata a una nicchia di mercato e non a grandi numeri”.
In sostanza, continua Mannino, “le aziende più rilevanti, in realtà, sono arrivate dopo perché il brand dell’Etna tira moltissimo. L’arrivo di queste grandi aziende, da un lato, è un vantaggio. Ma dobbiamo ricordare che loro sono industriali: fanno milioni di bottiglie. Viceversa, l’Etna da solo produce 2 milioni di bottiglie, ma in modo molto frammentato. In proporzione, ci sono troppi produttori e troppo poche bottiglie. La parcellizzazione, inoltre, fa si che tutto costi più caro, frastagliato tra le varie aziende. D’altronde, la grande frammentazione delle proprietà è un’eredità inevitabile della nostra storia. Nella zona di Catania ci sono più di 2 mila palmenti, mentre a Palermo i palmenti erano pochi e grandi. Insomma, qui veniamo da una tradizione di individualismo estremo. Non è facile stare insieme. Quante volte ho dovuto confrontarmi con espressioni del tipo: ‘la mia bottiglia non può stare vicina alla sua’ oppure ‘il mio vino è migliore’. Davvero una gran fatica! Ma i produttori con il tempo hanno capito che da soli non si va da nessuna parte”.
Competizione e collaborazione
Oggi, questa estrema frammentazione sembra riflettersi nella definizione delle ‘contrade’: “All’ottimo lavoro di divulgazione dei vini dell’Etna abbiamo unito col tempo la modifica del disciplinare. Dal 2011 abbiamo inserito la definizione delle contrade: il vino dell’Etna, infatti, cambia a seconda della quota, del suolo, dell’esposizione. La composizione chimica del terreno cambia a seconda delle diverse colate. Così, l’uva che cresce oggi, dopo 500 anni dalle eruzioni più importanti, raccoglie queste caratteristiche”.
Il telefono di Giuseppe Mannino squilla sempre. Serve il fabbro, perché i furti sono continui e bisogna di nuovo cambiare le serrature. Poi, con tono amabile, prende accordi con un produttore di dolci che è un suo partner fidato. La conversazione con GnamGlam si svolge in una stanza piena di mobilio tipico siciliano e antichi cimeli di famiglia. Alla fine, il padrone di casa ci saluta con un sorriso pacioso. Ancora una volta ha fatto il suo mestiere. Ha venduto l’Etna. Lo ha venduto bene. E pensare che “prima, il nerello mascalese nemmeno si conosceva…”.