
di Ilaria Donatio
Quando ho incontrato, a fine marzo i fratelli Pellegrino – Floriano (25 anni) e Giovanni (20) – in visita al loro Bros, a Lecce, mi sono ricordata di una frase bellissima che dice molto della loro avventura: “A volte essere un fratello è ancora meglio che essere un supereroe”.
Per almeno un mese non sono riuscita a scrivere dell’impresa di Floriano e Giovanni: il nostro incontro mi aveva così tanto coinvolta che era necessario un “tempo di posa”, proprio come in fotografia. Un intervallo che sarebbe servito a illuminare bene la scena e a guadagnare quello sguardo esterno utile a trovare le parole.
“Bros is the new black”
Arrivata al ristorante Bros dopo una lunga passeggiata nel barocco leccese, ho trovato prima Giovanni, il più piccolo, che forse l’intervista non avrebbe mai voluto farla – “è Floriano quello bravo, l’esperto di interviste” – ma in assenza del fratello maggiore, a lui – occhi che sorridono sempre e accento salentino marcato – tocca fare gli onori di casa.
GnamGlam non fa abitualmente recensioni di ristoranti, non dà voti a nessuno, né chi lo anima intende improvvisarsi foodblogger (se non per gioco). Fa bene una cosa però: racconta storie che devono essere raccontate. Non storie qualsiasi, dunque, ma storie di lavoro, di impresa, di creatività, storie che danno valore al territorio. E dal territorio prendono ispirazione, lo interpretano, ne esaltano l’identità e poi la lasciano andare in giro per il mondo.
La staffetta dei Pellegrino brothers
E in giro per le cucine di mezzo mondo, sono andati Floriano e Giovanni (ma anche Francesco, il terzo fratello – che eccelle in pasticceria – e che per ora è esterno all’impresa di Bros) ancora prima di compiere 20 anni: diploma alberghiero in tasca, come in una sorta di “staffetta fraterna”, inizia Floriano e lo fa a Milano, da Ilario Vinciguerra – una stella Michelin – per passare allo spagnolo Martin Berasategui – tre stelle Michelin – e al Noma – il ristorante danese che per ben quattro volte è stato giudicato il migliore del mondo secondo la classifica The World’s 50 Best Restaurants.
“Dopo Floriano è stata la volta di Francesco e poi sono arrivato io”, racconta Giovanni, il più piccolo dei tre fratelli: tutti siamo passati da Martin che è come nostro padre, ci segue ancora da lontano e il 23 maggio sarà con noi a Bros”. Un specie di inaugurazione posticipata, sembrerebbe, che vedrà questo “padre putativo” dei Pellegrino Bros – durante l’intervista il suo nome tornerà spesso e sempre pronunciato con devozione affettuosa, tipica di chi nutre un sentimento di autentica riconoscenza – tenere a battesimo il locale che si trova nel centro storico del capoluogo salentino.
Il mondo di Bros
Trenta posti in tutto, dieci ragazzi in cucina: il più grande di 27 anni, la più piccola di 18. Tavoli – stupendi – che vengono da Bilbao, lampade dalla Francia, lampadari da Hong Kong: pietra leccese come se non ci fosse un domani, luminosa, quasi catarifrangente, portafiori con la macchia mediterranea-salentina dentro: “murteddra” e “barba”, spiega Giovanni orgoglioso.
Un mondo perfetto, penso subito: dove tutto sembra essere “concentrato”, nel design come in cucina. Un mondo dove il barocco resta la cornice naturale che fa capolino attraverso i vetri delle finestre ma, contemporaneamente, dove sei dentro la sobrietà e l’eleganza nordeuropee mentre già con i sensi ti immergi nei profumi e nei colori dei piatti che iniziano a sfilare, uno dopo l’altro, a tavola.
E finalmente arrivano i sapori: quelli che ti riportano alle radici di questa terra, che è anche la mia e che, dunque, non ha bisogno di troppe parole per farsi largo e, allo stesso tempo – in questo c’è il timbro dei Pellegrino – ti fanno fare il giro del mondo.
“La nostra cucina”, racconta Giovanni, “ha in fondo un segreto semplice semplice: abbiamo imparato tecniche diverse, da alcuni tra i migliori chef del mondo, le abbiamo portate qui, nella nostra terra, e le sfruttiamo per esaltare i nostri prodotti”.
Menu salentino con un pizzico di mondo
“Noi prepariamo lo spunzale – in salentino: si tratta dello sponsale che è un cipollotto, ndr – con l’animella e la liquirizia con una salsa al Physalis”. Poi: per esaltare il porro – “non buttiamo niente: con la parte verde facciamo l’olio di porro – usiamo la tapioca e del prezzemolo fritto”. Una cucina che riutilizza tutto, dunque: “esaltiamo quello che il territorio ci offre usando le tecniche che abbiamo imparato fuori”.
Tra i primi piatti, nel menu primaverile c’è “un fusillone cotto in un brodo di scampi crudi e lo scalogno (preparato sottovuoto con uno sciroppo a base di aceto) con una salsa al sesamo nero”. Poi c’è anche “un’insalata con erbe spontanee e insalate di raccolta che coltiviamo nel nostro terreno di Scorrano”. Un’insalata, in verità, che pare più un progetto di ricerca: “è composta da quattro settori – acido, amaro, sapido e dolce – e che va mangiata secondo quest’ordine preciso”, spiega Giovanni quasi in tono accademico.
“Ora abbiamo appena cambiato il menu – che naturalmente segue la stagione – ma in quello precedente proponevamo una pescatrice intera – difficilissima da trovare ma noi abbiamo il nostro pescatore di fiducia – fatta al barbecue, spolverata con il cacao amaro e condita con una salsa al cioccolato”.
Questi ragazzi che, poco più che ventenni, hanno imparato l’arte di stare in cucina nell’agriturismo della madre (di Scorrano, mentre il papà è di Trepuzzi, entrambi paesi in provincia di Lecce) e poi – come dice il vecchio adagio – hanno avuto il coraggio di metterla da parte e sono partiti, oggi hanno portato il mondo nel Salento.
La bellezza di Giovanni
“Io per esempio ho portato il Sancho pepe dal Giappone che con la colatura di alici e il pistacchio di Bronte sta alla perfezione”, prosegue Giovanni che ha iniziato la sua gavetta da Paco Perez (catalano, due stelle Michelin: “dopo Ferran Adrià, il secondo chef conosciuto per la cucina molecolare: con lui non riesci a mangiare un piatto caldo, perché è tutto a 60 gradi”), poi ha proseguito da Pierre Gagnaire (francese: “con lui era tutto tecnica di cottura, una visione totalmente ribaltata”).
“Qui, nel Salento, tutti pensano che i turisti cerchino solo le sagne ‘ncannulate (ritorte): anche noi prepariamo le sagne solo che abbiamo le sagne secche del Pastificio del Duca – che condiamo con la salsa al pomodoro giallo e ricotta scanta (in salentino significa “forte”: cremosa e dal sapore particolarmente deciso e intenso, si usa in piccole quantità per insaporire il sugo della pasta artigianale, ndr).
“Ora sono appena tornato da Cina e Giappone, dalla cucina di Seiji Yamamoto, tre stelle Michelin, un maestro del pesce di cui sono innamorato. Un’esperienza pazzesca: sono stato l’unico dei fratelli a uscire fuori dall’Europa. Il problema è stata la lingua. In Cina non parlavano in inglese, e anche in Giappone, le comande erano fatte in giapponese: dopo un mesetto ho iniziato ad ambientarmi. Lì quando si lavorava, eravamo tutti in silenzio: non c’era il minimo rumore, in Cina (dove lavoravo in un ristorante giapponese) molto meno, ma in Giappone tutto era pulitissimo, nessuno fiatava, e andavamo avanti – senza pausa – dalle 7.00 alle 16.00: sono dimagrito tantissimo”.
La bellezza di Giovanni è sì nei suoi 20 anni ma è soprattutto nella voce che trema un po’ quando – dopo averti portato nelle cucine stellate e aver accennato ai sacrifici fatti e alle difficoltà incontrate – non riesce a trattenere l’emozione: esattamente quando ti dice, “a un certo punto mi sono ambientato e ora so fare tutto”, è allora che la voce si fa più timida, proprio quando dovrebbe essere più fiera e decisa.
E si fa ancora più dolce quando introduce il fratello maggiore, che sembra avere vissuto due vite ma ha solo 25 anni: Floriano.
Floriano, “the boss”
Floriano ha il carisma, l’energia e la combattività di chi ha le redini in mano e deve farcela, di chi non ha ricevuto regali – semmai occasioni che ha saputo sfruttare – di chi viene da una famiglia semplice, è cresciuto in fretta e si è fatto forte da solo.
Floriano è quello che ti dice: “Noi dobbiamo essere come un’associazione a delinquere di stampo culinario: questo è il momento di stare chiusi qui dentro, a lavorare, e anche quando non ci sentiamo compresi, non dobbiamo cedere e abbassarci al livello del chiacchiericcio che sentiamo intorno a noi”. Chiudi gli occhi, li riapri e ti sembra strano che quelle parole possano essere pronunciate da un ragazzo di 25 anni.
Ma è così: “Noi stanotte siamo usciti da qui alle 4.30: non possiamo permetterci il lusso di abbassare la tensione, dobbiamo tenerla sempre alta. Come il soufflè: basta poco per farlo afflosciare, basta non montare bene gli albumi ed esce un soufflè da schifo”.
Il perché sia uno tosto, a parte l’indole, è presto detto: “Tutte le esperienze mi hanno lasciato qualcosa, ma certamente è Martin (Berasategui) che ci ha formati più di tutti. Quando da lui arrivavano i giovani rampolli di famiglie facoltose, li mandava a raccogliere le cicche da terra: nessuno vedeva la cucina durante il primo mese”.
Floriano ha le idee chiare un po’ su tutto: “Per il pesce noi italiani dobbiamo imparare dal Giappone”, dice, “per le carni e i dolci dai francesi, noi eccelliamo sulle paste e il mondo ci guarda per come le cuciniamo: purtroppo, valorizziamo sempre meno le paste secche e copiamo gli altri su quelle ripiene, che non fanno parte della nostra cultura”.
Progetti per il futuro
E va diritto al punto: “Tu non puoi essere quello che non sei stato: non credo negli autodidatti, io posso essere creativo e immaginarmi la ricetta più bella del mondo, ma se non ho imparato alla scuola di qualcuno ci dovrò arrivare dopo molto lavoro. Al contrario, mi basterà molto poco tempo per sviluppare una buona idea una volta che ho acquisito le tecniche migliori“.
Progetti per il futuro?
“Io mi fermo per ora: Isabella (sous-chef al Bros, 20 anni, ex pupilla di Claude Bosi) e mio fratello dovranno fare altre esperienze”. Del fratello Giovanni, Floriano dice: “lui è un genio, è un cavallo bianco: so di essere duro con lui come con tutti gli altri, ma in questo momento è necessario”.
Lavoro e tanta dedizione, dunque.
“Io faccio sempre quello che dico“, conclude Floriano: “forse è il potere di attrazione, non so. Ma il nostro sogno è quello di lasciare Bros come ristorante di città (raggungendo gli obiettivi che ci siamo prefissi), e poi di allargarci. Io ho il ricordo di queste fantastiche maison nelle campagne francesi (Michel Bras): perché allora non fare la stessa cosa nelle nostre campagne di Scorrano? Non ci manca nulla: le capre di mio zio a due passi e la masseria. Chiaramente, il problema è il percorso”.
Quanto ci impiegheranno? Secondo noi, una manciata di anni: perché loro fanno sempre quello che dicono.
Al Bros, noi abbiamo mangiato (vedi la gallery):
- Porro laccato, prezzemolo e tapioca
- Shawanmushi, lattuga di mare e sgombro (l’ispirazione è giapponese: a base di uovo, brodo di pesce)
- Olive al forno con semi di finocchietto
- Pane preparato con tre farine diverse (Mulino Marino, Vigevano, Quaglia) e olio extravergine di oliva, cento per cento coratina, di Savino Muraglia che, con una tecnica particolare, diventa di consistenza burrosa, da spalmare (con i bellissimi coltelli di legno di ulivo!)
- Una spuma alla ricotta forte con pomodoro datterino
- Biscotto al pecorino con crema di rucola e formaggio fuso
- Toast con mela smith e fegato di rana pescatrice
- Animella spunzale e liquirizia
- Triglia e finocchietto selvatico e di mare con paninetti cotti al vapore firmati Pellegrino Bros
- Soufflè alla barbabietola, gelato al latte di pecora, cumino
- Uovo fucking cold
I vini (la cantina è in costruzione, sarà internazionale e avrà circa 200 etichette):
- Franciacorta
- Verdeca di Castello Monaci primitivo (molto profumato, bouquet fiori e frutta)
- Posta Vecchia (Cantina San Donaci), un Salice Salentino Dop (un blend pepe nero e vegetale, morbido, giustamente tannico)