
di Fabio Ciarla*
Realizzare un menu degustazione di un grande ristorante deve essere difficile, a volte bisogna condensare in alcuni piatti anche anni di ricerca. Soprattutto – ed è quello che più ho apprezzato nella visita ad Aqua Crua di Barbarano Vicentino – è necessario fare in modo che il commensale non si stanchi, che abbia di fronte una sinfonia di gusti capace di stimolarlo, magari andando in crescendo, o alternando, oppure creando punti di rottura. Come nella musica classica insomma. Pur non essendo un esperto mi sembra un po’ questa la cifra stilistica necessaria per realizzare un grande menu degustazione, evitando un ritornello pop per una composizione sempre varia, che soprattutto non sia monotona. E non si tratta solo di cambiare l’ordine delle portate, giocando con antipasti e secondi, perché facendo ricerca e sperimentazione queste diventano categorie superate.

L’esterno del locale
Eccoci allora al cospetto dello chef Giuliano Baldessarri, dai più conosciuto per la sua presenza in giuria a Top Chef Italia ma con una solida formazione tra Italia e Francia: due anni da Aimo e Nadia a Milano, poi in Francia con Marc Veyrat prima all’Auberge de L’Eridan ad Annecy e dopo a “La Ferme de mon Père” di Mègeve, qui incontra Massimiliano Alajmo che lo inserisce alle Calandre nel 2003, dove rimane 10 anni fino, appunto, alla scelta di realizzare Aqua Crua, ristrutturando un vecchio stabile abbandonato nel piccolo paese al centro di Colli Berici in provincia di Vicenza. Nel 2015 arriva la Stella Michelin, mentre subito dopo lo spazio diventa anche hotel, con cinque camere molto ben curate, oltre a fornire corsi di cucina e un e-shop per gli appassionati.
Abbiamo avuto la fortuna di fare quattro chiacchiere con Baldessarri prima della serata, un personaggio con tratti da visionario uniti alla concretezza delle vigne e dei boschi del Trentino, dove si rifugia appena può. La parte visionaria si evidenzia ovviamente in cucina, con elaborazioni di grande espressività, ma legate sempre a quelle erbe selvatiche, a quella ricerca dell’originale / concreto che rende la sua cucina difficile da definire con poche parole.
A cena scopriamo una carta dei vini su tablet ben studiata, con produzioni locali ma anche chicche sparse per l’Italia

Il tavolo della colazione
(stranamente c’è anche il Lazio con il Cesanese di Damiano Ciolli, il Grechetto di Sergio Mottura e l’Aleatico di Andrea Occhipinti) e ricarichi tutto sommato corretti. Lo staff di sala è giovanissimo ma preparato, la cucina è a vista e molto popolata, si fanno preparazioni complesse e si cura il dettaglio (come si può vedere in parte dalle foto).
I menu degustazione sono due, I Frattali e Iniziazione, storico il primo e una recente evoluzione il secondo. Noi abbiamo assaggiato qualcosa dell’uno e dell’altro, partendo dal “Trespolo a 3 degustazioni” passando poi a “L’anello” (sobriamente esagerato), “La Mortadella” (di seppia) , “Il Rognone” (di coniglio), “Il Tarassaco” (buonissimo), “Lo Spaghettone” (con innesto di fungo koji), “Il Riso” (con pepe, molto pepe, di Sichuan), “Il Tamarindo” (che però è il pesce Occhialone), “Il Colombaccio” (piccione ma cacciato) e infine il “Sorbetto al Lime” (con olio d’oliva) come pre-dessert e la “Crema Carbonizzata” (con acido citrico) per chiudere.
Ed ecco la partitura di questo menu-sinfonia. Inizio subito rassicurante che però dà anche il calibro del tipo di cucina, il

L’Anello
trespolo è spettacolo così come l’Anello e il gusto è un riassunto di quello che ci aspetta a seguire. Con la mortadella di seppia si comincia dal pianoforte, bella presentazione e gusto delicato grazie anche alla cialda di polenta, il rognone aggiunge il suono dei fiati e comincia a completare la melodia.

Il Tarassaco
Con il Tarassaco invece, nella sua semplicità, si comincia a toccare una prima vetta gustativa come per l’assolo di un violino che poi lascia di nuovo spazio al resto dell’orchestra. Lo spaghetto grosso Mancini infatti è un piatto elaborato, ci sono tanti suoni dentro grazie alla crema di pasta arricchita di foglie Kaffir e caffè d’alga. A questo punto arriva il colpo di scena, i fiati si scatenano con gli acuti e il risotto Carnaroli di Vercelli spinge il palato grazie all’abbondante pepe di Sichuan che risveglia molti sensi. A questo punto siamo pronti per il finale, con l’Occhialone

Il Riso
servito freddo con tamarindo (liquirizia, paprika ecc.) e il Colombaccio con una riduzione di ginger e Campari con tartufo di Norcia (Parmigiano Reggiano 24

Il Colombaccio
mesi, cocco ecc.) che fanno da contraltare alla melodia accennata dai primi due piatti coinvolgendo però tutti gli strumenti a disposizione. Finale da brividi con il lime del sorbetto e la crema a base di carbone vegetale, polipodio (un tipo di liquirizia), acido citrico, caffè in polvere, lime e limone grattugiato. Un “dolce amaro, dolce e acido” come spiegano dalla cucina di Aqua Crua, per una chiusura stupefacente del concerto che ci è stato dedicato.
Una lettura veloce di alcuni degli ingredienti dei vari piatti ci dà l’idea di quanto complesso sia il lavoro di ricerca e amalgama degli strumenti selezionati da Giuliano Baldessarri: farina di Ceci, crema alla taina (sesamo), broccolo fiolaro, mazzancolle, pomodoro disidratato, grano arso, aceto balsamico, maionese di polline, ketchup di funghi shitake e portobello, riduzione di guanciale affumicato, artemisia, pinoli di San Rossore, Chaat Masala, succo d’arancia, lievito di birra, crema di pistacchio, olio all’aringa, rampuzzolo di Villaga, limone grattuggiato, verbena, trombetta nera (fungo nero selvatico), succo d’arancia, limone di mare, crosta di pane fritta, finocchietto selvatico di montagna, peperoncino, zenzero, cocco, spirulina, fegatini, nocciola piemontese e pane al curry. Strumenti assoggettati a partiture complesse, come ad esempio per la cottura del Colombaccio: spadellato 15 minuti poi messo in forno a 140 gradi per 8 minuti (4 da una parte e 4 dall’altra), messo a riposare a 40 gradi per 25 minuti per rendere estremamente tenera la carne.
Una cucina sicuramente moderna, così come l’allestimento della sala (essenziale al punto da risultare a tratti un po’ freddo), che si misura con piatti ottimi di per sé, il Tarassaco forse più di tutti, e altri buoni per come erano posizionati nel percorso, il risotto ad esempio.
Un’esperienza da provare, così come merita l’ospitalità per la bellezza delle camere, al piano superiore dello stesso stabile, e il gusto della colazione, con confetture fatte in casa, burro artigianale e pane realizzato sempre dalla cucina di Aqua Crua.
*In collaborazione con Enoagricola