Le osmize di Trieste, istituzioni del buon cibo

di Alessandra Bassi

 

Il suo nome viene dallo sloveno osem, ovvero “otto”.

E otto erano i giorni dell’anno nei quali, secondo l’editto emanato dall’imperatore Giuseppe II d’Asburgo nel 1784, a tutti i contadini del Carso era concesso di vendere i propri prodotti direttamente presso le loro case.

Ma non solo. Veniva loro imposto di segnalare tale attività esponendo una frasca nelle vicinanze, pena la confisca della merce.

Le osmize, diffuse in tutta la provincia di Trieste e in misura minore sul litorale sloveno, sono una vera e propria istituzione.

Certo, ad oggi i giorni di apertura non si limitano a otto, la durata e il periodo sono infatti a discrezione del proprietario in base alla quantità di vino prodotto.

Una cosa rimane inalterata: si viene accolti in ambienti rustici e campagnoli, allestiti con semplici panche e tavoli in legno immersi nel verde dei vigneti.

Entrare in un’osmiza è una vera e propria esperienza; vi si trovano, pronti alla degustazione, prodotti del territorio, vini locali quali Terrano, Vitovska o Malvasia e le immancabili uova sode con sale e pepe. E poi prosciutti, insaccati, pancetta e olive.

Ancora oggi, nonostante siano passati secoli, vige l’usanza di esporre un ramoscello verde e una freccia di legno rossa per segnalare l’osmiza aperta più vicina.