Il Natale sardo: dai culurgiones alle seadas

È l’agnello il principe della tradizione culinaria natalizia in Sardegna. Tutto ruota intorno alle origini pastorali del popolo sardo e della stagionalità del prodotto: gli agnelli infatti nascono a metà novembre e sono pronti per la macellazione proprio a ridosso di Natale, quando pesano 5 o 6 chili.

È un menù corposo, quello natalizio anche per quanto riguarda i primi piatti.

Primi all’appello sono i “culurgiones“, ravioli con la pasta fatta in casa che viene stesa e riempita di ricotta di pecora, con zafferano o arancio, oppure nel nuorese, con formaggio fresco. Sono quindi cotti in abbondante acqua salata (o brodo d’agnello) e poi conditi con il ragù di salsiccia o di bovino, e insaporiti dal pecorino stagionato.

L’altro primo tipico della Sardegna è il brodo di agnello, insaporito da sedano, carote, patate e carote, servito bollente con una fetta di formaggio fresco che si scioglie a contatto con il brodo caldo. In Barbagia e in Gallura vengono preparati anche le lasagne di pane carasau spezzando grandi sfoglie di pane che vengono immerse per qualche secondo nel brodo d’agnello. Sgocciolate poi con un mestolo bucato vengono sistemate in una pirofila unta d’olio e condite a strati sempre con ragù e pecorino e informate per mezz’ora nel forno a legna.

La tradizione vorrebbe l’agnello, rigorosamente arrosto, allo spiedo. Le operazioni di cottura iniziano un paio d’ore prima della consumazione del pranzo, con la preparazione del fuoco che deve dare copiosa brace. Ad un’ora e mezza circa dal pasto, l’agnello allo spiedo viene accostato alla brace per farlo asciugare, poi man mano che si riscalda viene accostato sempre più vicino. Un’ora e mezza di cottura, e l’agnello viene tolto dallo spiedo solo dopo che i commensali hanno consumato i primi ravioli e brodo d’agnello, perché va mangiato rigorosamente scottante.

Poco prima della cottura dell’agnello, compito riservato al capofamiglia che tramanda la tradizione ai figli, si prepara “sa cordula” (anche “la treccia”): si infilzano nello spiedo cuore, fegato e polmoni dell’agnello, che vanno cotti anch’essi molto lentamente. A fine cottura si attorciglia allo spiedo l’intestino dell’agnello e si prosegue con la cottura fino a quando non ha assunto un delicato colore dorato e una consistenza croccante. In alcuni territori della Sardegna, quelli più vicini al mare,  c’è anche il pesce, cucinato in tutte le salse, ad onorare le tavole delle famiglie riunite per la giornata di festa.

Tutto è abbondantemente annaffiato dal vino rosso corposo di uve sarde – Carignano, Cannonau e Bovale – l’antico vino dei romani, ceppo quasi andato perduto, poi riscoperto e rivalutato proprio in questi ultimi anni. All’agnello si accompagnano verdure fresche di stagione.

Segue poi il festival del dolce. Per rispettare la tradizione in ampie casseruole si friggono in olio d’oliva le seadas, fagottini di pasta fatta in casa farciti di formaggio fresco e condite con miele o zucchero. Nel cesto dei dolci non mancano i gueffus” alle mandorle, gli amaretti, i “bianchiunus”, meringhe con mandorle tostate e i “papassinos“, dolci d’autunno per eccellenza fatti con pasta, strutto e sapa (vino cotto), preparati in occasione della giornata dei morti, ma che continuano ad imperversare per tutto l’inverno, ripieni di frutta secca e guarniti da glassa.

Ci si avvia così al termine del luculliano pranzo natalizio (durata media: 3 ore!) con il caffè, il tradizionale fil’e ferru, l’acquavite sarda, che riscalda gli animi e accompagna la famiglia alla cena nella quale si predilige il brodo di agnello per smaltire la poco cristiana abbuffata del pranzo.