
Un luogo incantato alle porte di Roma. Un vino che miscela tradizione e sperimentazione.
Arrivi al Casale Marchese e quasi non credi, dopo aver attraversato un territorio rovinato dall’edilizia brutta e disordinata della Roma suburbana, di passeggiare su un declivio da cartolina, attraversato da filari d’uva e alberi di ulivo. Già questo – aver salvato queste campagne dalla cementificazione, dedicandole, come vuole tradizione, alla produzione del Frascati, l’uva di Roma – è un merito grande.
Un cuore di pietre e di storia

Stemma di famiglia
Non solo. La famiglia Carletti, di origini nobiliari, proprietaria del Casale, ha pensato bene di custodire l’antico basolato romano che corrisponde all’antica via Labicana e una collezione di reperti dell’epoca. “Qui c’era una stazione di posta – spiega Alessandro Carletti, amministratore dell’azienda e appassionato d’arte – e un simbolo fallico, a rilievo su una lastra di basolato, indica il lupanare dove gli uomini di passaggio si fermavano prima di arrivare in città. Nelle stanze è apprestato un minuscolo museo di reperti archeologici trovati tra ’700 e ’800”. Tutto intorno a questo cuore classico, si è sviluppato l’edificio del settecento, usato in parte come casa privata e in parte per la produzione del vino e come luogo di ricevimenti, sul quale campeggia lo stemma dei Marchesi dei Cavalieri con il levriero simbolo della famiglia.
Vitigni vigorosi e sperimentazione
La tenuta si estende per 60 ettari, 40 dei quali coltivati a vigneto (Malvasia puntinata, Trebbiano, Bombino, Bellone insieme a vitigni internazionali), gli altri 20 ospitano alberi di ulivo. “Produciamo oltre 1500
ettolitri di vino sfuso per la vendita diretta: ovviamente si tratta di un vino con minore gradazione alcolica e minore struttura, frutto di potature che hanno lasciato molte gemme”, spiega Paolo Peira, l’enologo consulente dell’azienda. “Per altri terreni la potatura è più severa, si riduce la resa a tre chili per pianta e così aumenta la qualità. Questo dei castelli romani è un territorio vulcanico poggiato su una bolla d’acqua. Un terreno molto vigoroso dunque, capace di produrre tanta uva. Ma questa vigoria va gestita. Ecco perché, per esempio, lasciamo attecchire l’erba: per entrare in competizione con la vite e sottrarle acqua”.
La rivincita del Frascati
È vero: il Frascati è un vino semplice, dal quale non ti aspetti troppo, di beva quotidiana, potremmo dire un po’ maltrattato, ridotto talvolta a bevanda pallida, solforata e debole, e dunque facile e popolare. Ma è anche vero che, con un lavoro attento, lungo tutta la catena della produzione, dalla zonazione dei vigneti alla pressatura (per il bianco senza diraspa-pigiatura) all’imbottigliamento, è possibile ottenere prodotti di livello. È il caso del Frascati superiore del Casale Marchese, vino sapido, corposo, elegante, che sa di banana e di rosa.
Clemens: voglia d’innovazione
Quello che ci ha colpito di più è il Clemens, un bianco che porta il nome di un cardinale di questa famiglia e mescola la Malvasia tipica del posto con un vitigno internazionale come il Chardonnay.
Il colore si presenta giallo dorato molto intenso, il profumo floreale e fruttato. In bocca la frutta bianca si fa molto presente e riporta quasi alla mente un moscato: il sapore è puntuto, molto fresco e di grande dolcezza minerale.
Parliamo di prodotti importanti e innovativi, in grado di miscelare la custodia della tipicità e il gusto dell’esperimento. Infine, grazie al prezzo abbordabile, si rendono accessibili a un vasto pubblico di potenziali appassionati.