I miei tre giorni con Diego Planeta

di Ilaria Donatio

La campagna nel sangue

“Io penso che l’unico modo per essere liberi nella vita sia quello di non farsi pagare mai per il proprio lavoro”. Ecco chi è Diego Planeta, palermitano di nascita, residenza a Menfi – perché “Palermo è diventata una città senza dignità: nessuno che lavora, nessuno che abbia un’iniziativa, tutti che si piangono addosso e vivono di elemosina della Regione, dello Stato” – viaggiatore nell’animo. Uno con “la passione per la campagna”. Uno che nel 1958 inizia a lavorare, “perché mio padre era del 1893 ed era piuttosto acciaccato”.

Ecco, Diego Planeta è uno che ha la campagna nel sangue: è tutta la sua vita. E infatti, dice: “Io sono stato folgorato dalla passione per la campagna e dalla passione per mio padre, perché mio padre adorava la campagna”.

Lo racconta con quell’aria indolente e ironica che avrà per tutto il tempo del nostro viaggio: tre giorni per vigneti, in passeggiata, dalle prime ore del mattino al tramonto, lenti attraversamenti delle sue tenute – sei in tutto, tra la Sicilia sud-occidentale e quella orientale – inframmezzati da immancabili soste di degustazione di Grecanico e Moscato, di Nerello Mascalese e Nero d’Avola.

Per vigneti

Tre giorni durante i quali Diego Planeta non smette mai di raccontare. Anche con i silenzi: lunghe pause di raccoglimento che gli servono a chiamare a raccolta le parole. Ricostruire una storia di 50 anni, che è anche storia collettiva, è impresa non da poco: “La normalità in Sicilia era odiare la campagna. Mi sono sempre chiesto il perché nelle case di campagne,  alle finestre dei piani più alti, ancorchè fornite di persiane e di scuri vi fossero  le tende. Poi ho capito: alle signore non piaceva guardare la campagna spesso arsa e infuocata ai tempi del raccolto, le tende servivano a evitarne la vista ”. E invariabilmente, conclude: “Questa è la Sicilia, non c’è niente da fare”. “Certo”, prosegue, “la campagna era insicura, c’era la malaria, non c’erano le strade, non c’era l’acqua…”, e si capisce che ha premura di fornire all’interlocutore informazioni non deformate dalla lente delle proprie emozioni.

Tre amici

Sì, Diego Planeta deve amare questa terra almeno quanto riesce a odiarla: è severo nel giudizio ma anche molto razionale. “Sono discretamente inquieto, non  dormo più di due o tre notti nello stesso letto, odio la noia della routine, vivere è cambiare”, dice. D’altronde, si affretta ad aggiungere: “I siciliani  di buona apertura mentale (e ce ne sono tanti) sono  sempre viaggiatori,  se rimani fermo in Sicilia sei un uomo morto”. E ancora: “Quando dico che ho tre amici, intendo dire che ho tre amici con i quali riesco a parlare, e trecento a cui non saprei cosa dire: sono antico socio di vecchi circoli, ogni tanto un po per nostalgia e forse per il desiderio di rivivere l’impossibile (la gioventù)  vado, alla fine resto muto . I miei coetanei , sposati bene, vita serena, niente scossoni, ma è vita o vegetazione ?”. Parole come fendenti. E idee come scolpite nel legno: “Per trasformare le cose non ci vuole chissà che: pochi uomini, qualche idea e tanta volontà “. E in questa breve ricetta sembra essersi conservato, ancora intatto, il segreto del suo successo. Successo: questa parola non piacerebbe a Diego Planeta. Perché lui è così: essenziale, schivo, con quella ruvidezza tipica di chi ha imparato a fare a meno delle parole sovrabbondanti, che dicono troppo e, dunque, si rivelano vane.

Per essere liberi

Diego Planeta nasce a Palermo il 2 febbraio del 1940 e da oltre cinquant’anni vive ed opera nel territorio di Menfi, dove ha avviato le “Cantine Settesoli” di Menfi, tra le più importanti cooperative agricole d’Europa, con 2.000 soci che coltivano una superficie di circa 6.500 ettari, con una produzione annua di 550.000 quintali di uva: “All’inizio erano 60 soci, più o meno 500 ettari di vigneto, mentre oggi esporta il 40% di tutta la produzione vinicola siciliana”, spiega senza particolare enfasi nel tono della voce. Ma poi aggiunge, “quindi quest’azienda ha il 6% del vigneto però fa il 40% di tutto l’export di tutta la Sicilia, e questa è un’attività. Un’attività di servizio e non di lucro, per la quale non ho mai ricevuto un solo centesimo: zero. Perché io penso che l’unico modo per essere liberi nella vita sia non farsi pagare mai. Bastano i soldi per mangiare, per comprarti quattro libri, educare i figli a scuola e vivere decentemente: tutto ciò che è in più, è in più”. Planeta, tuttavia, produce ricchezza per il territorio in cui opera.

“Onorevoli trombati”

Nel 1967, costituisce a Vittoria, la S.I.S., società per azioni che opera nel campo dei servizi per l’agricoltura, oggi con più di 500 dipendenti e un fatturato che supera i 60 milioni di euro l’anno:  “La S.I.S., poi, fa nascere un’altra grossa azienda che produce ‘pomodoro che sa di pomodoro'”, sottolinea in tono grave, mentre si diverte a scrutare l’effetto che fanno le sue parole in chi lo ascolta. Insomma, l’azienda di pomodoro che sa di pomodoro, “esporta il 100% di tutta la produzione: in GB, in Olanda, in Germania”. Poi, Planeta si dedica ai vivai di piante orticole, “un’altra cosa entusiasmante”, dice, “stanno a Vittoria, in provincia di Ragusa, a Osimo, in provincia di Ancona, poi a Gabela, in Bosnia e a Saint Livrade, in Francia”. Dal 1985 al 1992 è presidente dell’Istituto Regionale della Vite e del Vino: “Un istituto regionale che sovrintende tutto quello che riguarda la sperimentazione e la promozione del vigneto siciliano: all’inizio, quando l’assessore all’Agricoltura me lo propose, volevo rifiutare! Era il classico ente pubblico, governato per trent’anni da onorevoli trombati, quindi un luogo di potere: poi mi entusiasmai perché era l’opposto della mia vita di imprenditore, in cui hai un sacco di idee ma non hai soldi né tempo per realizzarle. Così, mi misi a lavorare seriamente, feci un concorso ed entrarono una decina di giovani, li ho fatti stare un anno a girare il mondo: una squadra di giovani entusiasti con i quali abbiamo cambiato la viticoltura in Sicilia, una rivoluzione!”. E dal 1987 è componente dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino, carica che continua a mantenere.

Dieci anni per nascere

Poi nel 1985 inizia a “pensare” i vini Planeta: ci impiega dieci anni e nel 1995 nascono: “Tanto è il tempo del pensiero e dell’azione preparatoria di vigneti e uomini”. Nel 2004, Diego Planeta è nominato Cavaliere del Lavoro dall’allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi e nello stesso anno, riceve la laurea ad honorem, in Scienze e Tecnologie Agrarie, presso l’università degli Studi di Palermo, discutendo una Lectio Magistralis su “Vino e Metamorfosi del Territorio. Una Case History, Menfi e le terre Sciane”. Nel 2008, diventa presidente di Assovini Sicilia, associazione che raggruppa le principali aziende vitivinicole siciliane.

Secondo Wine Spectator, la rivista più influente del mondo sul vino, oggi, l’azienda agricola Planeta è tra le prime cento aziende al mondo per la qualità dei suoi prodotti. Il 60% della produzione totale è venduto all’estero, in settanta paesi diversi, il resto in Italia: “L’ideale è  75% estero e 25% Italia: qui da noi non ci sono soldi e la gente non paga: noi non produciamo beni essenziali, ma beni che sono consumati in occasioni costose. Lavoriamo meglio in città come Roma e Milano”.

Le tenute Planeta

Ulmo a Sambuca di Sicilia, Dispensa a Menfi, Dorilli a Vittoria, Buonivini a Noto, Feudo di Mezzo sull’Etna a Castiglione di Sicilia, e infine La Baronia a Capo Milazzo, preso in affitto da una fondazione per trent’anni (“Paghiamo anche un canone piuttosto altro, ma quella di Capo Milazzo è in una posizione abbastanza unica ed è per un progetto che vogliamo realizzare. D’altra parte tra trent’anni io non ci sarò più, dunque non è cosa che mi preoccupi!”): questi sono i luoghi di Planeta, per una superficie complessiva di vigneti che ammonta a 363 ettari.

“A Menfi, abbiamo piantato anche 98 ettari di oliveti. È una zona bellissima, con la collina che degrada sul mare”. Tra le colline di Menfi, zona turistica a 100 km da Palermo, ci sono le due grandi aziende di famiglia: la prima è la Dispensa, avviata nel 2000, è l’azienda e la cantina più grande, con oltre 160 ettari di vigneto, nucleo storico dei Planeta, oggi, fulcro tecnologico e produttivo dell’attività aziendale. Il baglio, la tipica fattoria fortificata siciliana che si affaccia su un ampio cortile, con le abitazioni private della famiglia, include anche “La Biblioteca” che conta un’importante collezione di libri dedicati alla vite con testi che risalgono anche al ‘700: è qui che si tengono le degustazioni dei vini. Ma la prima cantina Planeta, sorta nel 1995, è Ulmo: qui, i visitatori potranno godere di un museo a cielo aperto, dedicato alla storia della viticoltura. A Buonivini – nei pressi delle città tardo-barocche, Modica e Noto, entrambi siti Unesco, c’è la tenuta  più eco-friendly: le “Case Sparse”, piccole abitazioni rurali che punteggiano di colore rosso amaranto il vigneto, sono state ristrutturate nel rispetto della tradizione e arredate con materiali di recupero. La cantina, ultimata nel 2003, è interamente sotterranea, per minimizzare l’impatto ambientale. La cantina Dorilli, a pochi chilometri dalla città di Ragusa, nel cuore dell’area di produzione del Cerasuolo di Vittoria, è frutto di un intervento di ristrutturazione di uno splendido casale dei primi del Novecento. Feudo di mezzo sull’Etna e La Baronia a Capo Milazzo, infine, sono le uniche tenute Planeta che si estendono nella parte orientale dell’isola – a Sud la prima, a Nord l’altra – in montagna e al mare, entrambi  “work in progress”.

I tre fattori

“Ogni vino può essere apprezzato da un numero limitato di consumatori”, racconta Diego Planeta, mentre ceniamo nel piccolo ma incantevole resort, La Foresteria – 14 stanze in tutto,  in quello che appare come un tipico borgo di case rurali adagiato sulla collina, a guardia dei vigneti e degli oliveti che lo circondano – a soli 4 km dal mare cristallino della spiaggia di Porto Palo.

“Il vino ha tre fattori che lo contraddistinguono”, prosegue, “la varietà del vitigno, il territorio e l’uomo. Per produrre vini diversi, dunque, è necessario scegliere zone diverse”. E così, come se elencasse, con orgoglio, i nomi dei propri figli, Diego Planeta cita i grandi Cru, i vini delle sue cantine: “Ad Ulmo ci sono lo Chardonnay e il Merlot; il Nero d’Avola e il Moscato bianco a Noto, il Cerasuolo a Vittoria, un vino assolutamente particolare, e poi siamo andati sull’Etna per fare il Bianco Carricante e il Nerello Mascalese, a Milazzo perché dovevamo produrre il Mamertino. Perché?”, si chiede a voce alta per proseguire il discorso senza correre il rischio di essere interrotto: “Perché quando Giulio Cesare vinceva in battaglia, brindava col Mamertino e quando perdeva, si consolava col Mamertino, il primo vino di cui si parli ampiamente nella storia antica”.

Un uomo libero

Infine, semplifica, per essere certo di essere compreso: “Campagna dolce, vino sereno, che ti fa innamorare ma non ti accompagna a lungo. Campagna aspra, vino aspro che però poi diventa gran signore e che ti accompagna per tutta la vita”.

Poi, chiede a un collaboratore un’ultima bottiglia di “Grecanico per concludere la cena” e aggiunge: “Tutta questa storia dei caratteri dei vini non l’ho inventata io. Molti si stupiscono della diversità del carattere dei siciliani e giungono alla conclusione che questa diversità sia data dalla diversità del territorio, dalla sua morfologia. Questa equazione vale anche per il vino!”.

È il momento dei saluti.

Diego Planeta mi consegna una copia della propria tesi di laurea, con la promessa di restituirla in un prossimo viaggio siciliano: “Mi raccomando, torna a portarmela: è l’unica copia che mi è rimasta!”.

Ha il suo solito sguardo malinconico, quel sorriso un po’ beffardo che lo aiuta ad affrontare il mondo ed è un uomo libero.