Colle Picchioni, quell’isola di qualità a Marino

di Vittorio Ferla

 

“Lo vedi, ecco Marino/la sagra c’è dell’uva/fontane che danno vino/quant’abbondanza c’è”. Chi non ricorda questo ritornello di Nannì Nannì, magari nella versione cantata da Gabriella Ferri? Un ritornello nato per rappresentare gli antichi fasti della viticoltura dei Castelli romani. Peccato che, nel corso degli anni, sulla genuina allegria di questa tradizione abbia preso il sopravvento l’atmosfera sempre più grossolana di osterie trasandate. Peccato che l’abbondanza di vini si sia risolta in una produzione di sempre più bassa qualità.

 

L’avventura di Paola Di Mauro

Proprio nelle campagne di Marino, nascosta tra le traverse, si trova la tenuta Colle Picchioni dove la famiglia Di Mauro fa vino dagli anni ’70, a pochi chilometri da Roma. Non vi aspettate, però, dame da cinque litri o vini che sanno appena di acqua colorata. Niente di tutto questo. Colle Picchioni è un’azienda di grande qualità con una storia incredibile, la cui fama è stata capace di varcare l’oceano in tempi in cui la reputazione del vino italiano era distrutta dallo scandalo del metanolo. Potremmo definirla, dunque, un’isola felice. Ma quanta determinazione è servita per costruirla!

“Alla fine degli anni ’60, mia nonna, Paola di Mauro, decide di vendere la casa di proprietà di Fregene. Allora era un posto molto alla moda, ma lei si era stancata. Era una donna molto determinata, in quel momento gestiva un ingrosso di ferramenta di famiglia. Prende casa qui, rilevando non soltanto la casa ma anche le vigne della vecchia proprietaria francese”. Valerio Di Mauro, il nipote di Paola, mi accoglie in azienda con un sorriso e racconta divertito questa vicenda. La nonna è mancata nel 2015, a lei è dedicata l’etichetta Donna Paola, ancora è palpabile l’energia della sua storia.

 

“Vini del contadino? No, grazie, faccio da sola”

“Nella nuova proprietà c’erano già 4 ettari di vitigni internazionali. Il motivo per cui noi lavoriamo i vitigni internazionali, in una zona storicamente segnata dalle altissime produzioni di Malvasia e Cesanese, è questo. Sono quelli che mia nonna trovò già qui, al momento dell’acquisto. Ai quattro ettari originali comprati, ne abbiamo affiancati altri sedici, un po’ sparsi, che gestiamo in affitto. All’inizio non fu facile. C’era il classico contadino che faceva il vino. Ma era pessimo. Mia nonna era una donna troppo orgogliosa per accettare che nella sua tenuta si producesse un vino di così bassa qualità, molto più simile all’aceto. A un certo punto lo disse chiaro e tondo al contadino. Lui se la prese molto. Le disse: se lo faccia da sola. E così è stato”.

Oggi Valerio ha ereditato il timone dell’azienda, la gestisce con entusiasmo, ha voglia di innovare. La forte impronta di Paola non è un peso, ma un’affettuosa ispirazione.

 

Un punto di riferimento per l’enogastronomia italiana

“Paola di Mauro è stata una figura importante nella scena enogastronomica italiana. E’ stata una grande cuoca – spiega con orgoglio Valerio – e ha scritto libri di cucina di grande successo, anche per conto del Gambero Rosso. Nota a livello internazionale, hanno parlato di lei grandi quotidiani americani come il New York Times e il Los Angeles Times e ha insegnato la cucina al Valentino di Santa Monica e al ristorante di Bastianich. Luigi Veronelli ha dedicato pochi libri ai grandi personaggi del vino: uno di questi era mia nonna”.

L’impatto con il mondo del vino, però, non è semplice. Non soltanto Paola non aveva competenze specifiche sulla materia enologica. Paola era perfino astemia, quindi non aveva nemmeno una grande esperienza di assaggio.

 

Gli incontri che hanno fatto la storia di Colle Picchioni

“Ciononostante – spiega Valerio – l’obiettivo era fissato: il vino del contadino doveva essere bevibile. Per cominciare serviva l’enologo. La prima fortuna per la nostra azienda è stata quella di conoscere il giornalista Daniele Cernilli, ancor prima che nascesse il Gambero Rosso. Fu lui a presentare il grande Luigi Veronelli a Paola. Poi fu la volta dell’enologo Giorgio Grai, leggendario ‘winemaker’ altoatesino. Con Tachis era al vertice dell’enologia italiana. Ancora una volta l’incontro fu dovuto a Cernilli. La Vigna del Vassallo, quello che poi è diventato il vino di punta della nostra azienda, nasce proprio da un’idea di Cernilli. Noi avevamo dentro tutto, dal Pinot nero al Sangiovese, al Cesanese. Cernilli ci suggerì di creare un cru, di separare la vigna dal resto. E’ venuto fuori quasi per gioco un taglio bordolese di Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc. Fu il primo ‘Tre bicchieri’ del Lazio. Precisamente, la Vigna del Vassallo ’85 fu premiato nella prima edizione della Guida ai vini d’Italia del Gambero Rosso ’88”.

“Poi, con il tempo – continua Valerio – sono arrivati altri riconoscimenti. Abbiamo fatto varie prove. Già negli anni ’70 avevamo una produzione di 10mila bottiglie. La prima annata del vino Colle Picchioni risale al ’76. Ad un certo punto, cominciamo ad affittare altri terreni e diversifichiamo le tipologie di vini. Adesso abbiamo 6-8 vini: 6 blend della nostra tradizione più due monovitigni, una Malvasia puntinata in purezza e un Cesanese Igp, che usciranno a breve. Abbiamo fatto la scelta di rinunciare alla doc perché pone troppi vincoli. I nostri vini sono tutti Igp”.

 

Il ricordo di Cernilli

Di recente Daniele Cernilli, ricordando il primo incontro con Paola nel 1979, ha scritto: “A quell’epoca era veramente alle prime armi come vignaiola. In realtà era una signora di buona famiglia, titolare di un’affermata attività commerciale, e Colle Picchioni, la sua piccola tenuta alle porte di Roma, era più una casa utilizzata per le vacanze, e non un’azienda vitivinicola. A fare il vino c’era un vecchio contadino totalmente incapace di ottenere qualcosa che non assomigliasse all’aceto per condire l’insalata. In un paio d’anni, quella signora della buona borghesia cittadina, si sarebbe trasformata in uno dei personaggi più carismatici e famosi dell’allora piccolo mondo della vitienologia nazionale”.

 

C’è del buono tra i Castelli Romani

Lo scenario laziale nel quale l’azienda si è imposta non era facile. “Roma rappresentava certamente un mercato enorme. I Castelli Romani puntavano su vitigni di grandissima resa, ma la qualità, di conseguenza, era molto bassa. La nostra azienda è andata controcorrente. Poi, con il tempo anche altre cantine hanno deciso di investire sulla qualità. Pian piano, appena il mercato si è aperto, la mentalità è cambiata. Nel ’96 Riccardo Cotarella ha sostituito Giorgio Grai. Pian piano siamo subentrati noi – mio padre Armando ed io – ci siamo appoggiati a un enologo esterno per la parte più burocratica. Cotarella è un amico, sempre a disposizione”.

“C’è tanta urbanizzazione qui intorno. Con alcune isole felici come noi e le tenute di Antinori a Fiorano. Tanti ancora conferiscono alle cantine sociali che pagano la quantità. Per i produttori è una strada meno faticosa, con cui eviti i rischi della qualità. Certo, da qualche tempo nel Lazio cresce la qualità dei produttori, aumentano le cantine che lavorano bene, ma non si arriva a contare 100 aziende di livello. Molti pensano ancora di affondare gli altri. Se Chianti e Amarone sono famosi è perché sono in tanti a farli bene. La collaborazione è ancora scarsa, ma le nuove generazioni fanno meglio. Il Lazio parte se la politica sta fuori”.

 

Colle Picchioni: vini che hanno identità

“Per me – continua Valerio – resta importante l’idea di riconoscere il mio vino tra tutti gli altri. I vini di Colle Picchioni – dice con orgoglio – hanno caratteristiche originali, rispetto ad altri vini sono identificabili. Facciamo i vini come piacciono a noi. Vogliamo lavorare nella maniera più pulita possibile senza inseguire certificazioni. Oggi produciamo 100 mila bottiglie l’anno. Vendiamo tanto negli Stati Uniti e nel Giappone. E nei ristoranti che diciamo noi: a Roma al Grand Hotel la Pergola, in America da Bastianich e da Piero Selvaggio. Adesso il made in Italy tira. In passato abbiamo venduto tanto in Italia, ma durante la crisi abbiamo invertito i mercati di produzione: adesso il 60-70% va all’estero, il 30-40% resta in Italia. Purtroppo, in Italia è tutto più complicato: qua ti pagano e non ti pagano; all’estero è più difficile che si possa fare. Abbiamo ritarato le vendite verso Lazio, Liguria, Alto Adige e Toscana. Molto poco al Sud, proprio per la difficoltà dei pagamenti”.

Qui potete leggere le nostre degustazioni di quattro etichette di Colle Picchioni.

La visita prosegue in cantina, dove sono stati fatti investimenti importanti. “I tini di acciaio – spiega Valerio – sono all’aperto e si spende tanto per tenere basse le temperature basse. Tutto è ben sterilizzato e lavoriamo nel rispetto di tutti i vincoli. Raccogliamo i grappoli a mano: in realtà i filari sono un po’ più larghi proprio per favorire la meccanizzazione, ma preferiamo la raccolta a mano. L’occhio umano è sempre meglio. Le nostre migliori etichette, Le Vignole e Il Vassallo nascono qui, all’interno di questa cantina. Cerchiamo il risultato migliore anche a costo di buttare via il vino che non ci convince. Facciamo il vino come piace a noi: il disciplinare della doc Marino chiede di filtrare in vasca, ma così alla fine c’è il rischio che il vino non sappia di nulla, dunque preferisco evitare. Abbiamo 30 barrique: di queste 10 sono fisse e 20 cambiano. Il legno è rovere francese di media tostatura: non mi piace l’idea di comprare botti usate. Sempre in cantina curiamo anche l’imbottigliamento e l’etichettatura. In tal modo siamo autonomi, in grado di gestire l’intera filiera”.

 

In pista con nuovi progetti

C’è di più. Colle Picchioni vuole crescere. Sono in rampa di lancio due nuove etichette basate su due autoctoni in purezza: Malvasia e Cesanese.

Ma non solo. “Valerio è diventato bravissimo, un vero chef professionale”, ha detto Cernilli. Valerio, infatti, ha raccolto il testimone dell’azienda anche sul versante culinario.

Da qualche tempo a Colle Picchioni è partito un nuovo progetto: l’Officina enogastronomica. Cene a tema, degustazioni, corsi di cucina, serate dedicate alle cucine regionali con particolare attenzione al Lazio. Accanto a Valerio c’è Laia, la moglie di origini tedesche e spagnole, anche lei chef. A lei Colle Picchioni ha già dedicato un’etichetta: Perlaia.