Cantine Gulino: secoli di vino a Siracusa

Vittorio Ferla

 

I Greci, i Romani, gli Arabi, i Piemontesi, i Borboni. Sono soltanto alcuni dei popoli passati dalla Sicilia, in secoli di storia e di dominazioni. Se vi capiterà di conversare di vini siciliani con Sebastiano Gulino, medico otorinolaringoiatra, non potrete fare a meno di essere trasportati, attraverso questi popoli, in un meraviglioso viaggio nella storia dell’isola. Gulino è un medico che esercita a Siracusa, ma la sua famiglia è da secoli impegnata nella viticoltura.

 

Quelle viti portate dai Greci

“La mia famiglia – spiega Gulino – si occupa di viticoltura dal 1600. Ma per parlare di vino qui bisogna partire da molti secoli prima. Siamo nel Sud Est della Sicilia. Quest’anno si festeggiano i 2750 anni della nascita di Siracusa, una delle città più antiche d’Italia. I vitigni principe di questa zona sono il Moscato e il Nero d’Avola. Entrambi furono introdotti qui dai Greci”.

Insomma, parlare di vino da queste parti significa partire da molto lontano, quasi tremila anni fa. I Greci diffusero l’allevamento delle viti con impianti ad alberello proprio a partire da qui. Prima l’approdo in quella che diventerà Siracusa. Poi la diffusione della viticoltura in tutto il territorio del Val di Noto, che corrisponde a un triangolo: la punta avanzata di una Sicilia che affonda nel Mediterraneo e guarda all’Africa. Una terra mitologica nella quale le aree vitate di maggior prestigio hanno il nome di Buonivini, Burgio, Bufalefi, Baroni, Bimmisca, Agliastro, San Lorenzo, San Basilio, Timponazzo.

“Il Nero d’Avola nasce qui. Soltanto negli anni ’70 verrà esteso al resto della Sicilia. Oggi, grazie agli industriali del vin, lo trovate anche nella Sicilia occidentale, ma l’origine è qui”. E’ proprio così: il Nero d’Avola prende il nome dal piccolo centro in provincia di Siracusa, Avola. Perfino il suo secondo nome, Calabrese, erronea traduzione dell’espressione dialettale “Calaulisi”, deriva dai due termini ‘calea’ (uva) e ‘aulisi’ (avolese) che ne indicano l’origine.

Non solo uva nera, però. “Questa – dice Gulino – è zona di elezione dei Moscati. Il Moscato bianco è un’uva profumata, aromatica, strutturata. In Sicilia, a differenza del Nero d’Avola, si trova solo a Noto e a Siracusa, entrambe doc: nella Sicilia occidentale hanno lo Zibibbo che è il Moscato di Alessandria. Il Moscato bianco è il terzo vitigno d’Italia. Si trova anche in Piemonte e nell’Oltrepò pavese. Lo studioso Saverio Landolina Nava ne faceva risalire le origini all’uva introdotta a Siracusa dal mitico re trace Pollio. Insomma, il Moscato bianco è considerato uno dei vitigni più antichi d’Italia. E la sua storia è fortemente intrecciata con la storia di Siracusa e Noto”.

 

I terreni calcarei della Fanusa

Il nucleo originario della proprietà di Gulino sta in Contrada Fanusa, davvero a pochi metri dallo Ionio. La Fanusa, infatti, è anche un ampio accesso al mare, utilizzato dai siracusani come zona di villeggiatura e bagni estivi. “In origine questo era un querceto. Poi arrivarono i romani, disboscarono e fecero granai. I terreni della Contrada Fanusa sono una mescolanza di sabbie e calcareniti. Sono questi terreni – non certamente l’aria del mare, come dicono alcuni con un eccesso di poesia – a conferire alle uve la sapidità che le contraddistingue”.

Derivate dalla sedimentazione marina, queste calcareniti sono anche conosciute, nella letteratura geologica, con il nome di panchina: una particolare tipologia di deposito marino costiero, riscontrabile lungo le coste italiane e, in particolare, lungo quelle della Sicilia e della Sardegna, costituita da arenarie e conglomerati di resti fossili, soprattutto di molluschi. Formazioni sedimentarie modellate dal tempo e dall’azione abrasiva del mare, localmente ricoperte da un fertilissimo suolo agrario originatosi in larga parte dal disfacimento della calcarenite sottostante e da sostanze organiche.

“Il Sud Est della Sicilia – ricorda Gulino – ha delle caratteristiche geologiche completamente diverse dal resto della Sicilia. I Monti Iblei qui vicino costituiscono una placca di confine tra Africa ed Europa”. In effetti, l’area Iblea, in base agli studi geologici, è parte delle propaggini settentrionali della placca africana, che nell’area mediterranea – e quindi in Sicilia – ha il suo punto di scontro con la placca europea. Questa micro-placca siculo-iblea ha caratteristiche peculiari ed esprime un terroir diversificato per le colture.

 

Siracusa, piena d’acqua

L’altra caratteristica geomorfologica della zona è la presenza di profonde fenditure causate dall’erosione superficiale dei vari corsi d’acqua che solcano gran parte dell’altopiano su cui sorge la provincia. Da qui i numerosi canyon, dette cave, che caratterizzano la zona. Basti pensare a Pantalica, Cavagrande del Cassibile, Cava d’Ispica.

“Siracusa è piena di acqua – dice Gulino. Come si spiega il fenomeno della Fonte Aretusa, fonte d’acqua dolce sul mare? Viene dalla foce del fiume Anapo e per spinta risale. Lo stesso fiume Ciane è fatto da tre falde superficiali. Questa è la particolarità del territorio: calcareniti spugnose, falde d’acqua superficiali e grotte scavate dall’acqua. Se si va nella zona dei bagni ebraici di Siracusa si trova acqua sotto terra fino a 15 metri. I Greci avevano capito anche questo. Quando Siracusa fu messa sotto assedio l’acquedotto che portava l’acqua da Pantalica alla città poteva essere interrotto. Ma grazie a questo sistema di falde i greci riuscivano comunque a portare l’acqua dalla parte nord della città – dove oggi c’è il Viale Scala greca – fino all’isola di Ortigia”.

Anche queste caratteristiche, unite al clima mite, piovoso d’inverno, torrido d’estate, hanno fatto si che questa provincia, considerata la più assolata d’Europa, fosse territorio ideale per la coltura delle viti e degli ortaggi.

 

Le donne di Piazza Armerina? Bionde con gli occhi azzurri

“Nella città di Piazza Armerina – continua Gulino – proprio nel cuore della Sicilia, le ragazze sono bionde con gli occhi azzurri. E sa perché? Perché siamo in un ‘isolato genetico’! La zona di Piazza Armerina è stata terra di conquista di Normanni che hanno vissuto lì per secoli senza mescolarsi con altre popolazioni. Questa cosa è fondamentale per l’evoluzione della specie. Anche nel campo agroalimentare. Le migliori cultivar si selezionano se ci sono isolati genetici. A Pantalica si trovano piante che altrove non ci sono. Gli ulivi esistevano in Sicilia da prima dei Greci, ma la nocellara – che è la cultivar di partenza – si è diversificata: noi abbiamo qui la Tonda iblea che ha vinto importanti premi ovunque. Questo territorio è ricco di cultivar selezionate nel tempo. Pensi all’arancia rossa di Lentini: qui la portano gli arabi e con loro comincia la gastronomia siciliana. Oppure al Femminiello siracusano, cioè al limone di Siracusa che oggi è dop: è ricco di olii essenziali, un limone piccolo, ma per profumare il corpo o gli ambienti è meglio di qualsiasi prodotto industriale. La notizia recente è che sarà utilizzato anche da Ferrero per le sue brioscine”.

Gulino prende un limone del suo giardino e ne incide la scorza: “basta massaggiare lievemente con un dito sopra l’incisione e senti che profumo… se strofinato sul corpo resisterà per un’ora almeno!”

 

Il Made in Italy è fatto dai piccoli

Anche la Sicilia è fatta di microzone. Nella sola Val di Noto insistono ben tre doc del vino: Eloro, Siracusa, Noto. Un tempo il vino era forse la coltura principale.

“La superficie dedicata al vino adesso è solo l’1,5% del totale dei terreni coltivati. Si è ridotta parecchio rispetto al passato. Un tempo si produceva tanto prodotto. Il Marchese Rudinì, allora ministro dell’agricoltura, fece costruire un grande palmento nella zona di Marzamemi: attraverso le vasche sotterranee il vino veniva convogliato fino al porto dove veniva imbarcato per tagliare i vini francesi. Questo edificio servì per risollevare almeno per un po’ la crisi dei produttori”.

Oggi il territorio del Val di Noto è fatto per lo più da piccole e medie cantine. “Le cantine di famiglia hanno un ruolo importante nel rispetto del territorio. La terra si misura a palmi – insegnano gli antichi – e da un palmo all’altro può cambiare il suolo. Nel corso dei primi anni del Duemila c’era l’idea che i piccoli produttori dovevano morire, ma questa deriva della globalizzazione nell’agroalimentare non può valere. Se fai milioni di bottiglie finisci nei supermercati. Ma i prodotti italiani veri sono prodotti di nicchia: il made in Italy è fatto di tante piccole cose”.

 

Il regno dei vini dolci

“La nostra azienda nasce nel 1600. Fin dall’inizio fu adibita alla coltivazione del Moscato. Nasciamo con i vini dolci. Ne parla anche Plinio il Vecchio. Gli antichi volevano dei vini dolci: in genere, facevano due parti di sciroppo e una di acqua. Questo valeva per i ricchi, mentre i poveri si accontentavano di una parte di sciroppo e due di acqua. La storia – sorride Gulino – si ripete sempre!”

In effetti, il vino degli antichi era molto più simile a uno sciroppo di uva, a volte liquoroso, che a quello che noi oggi beviamo. E talvolta si aggiungevano miele e resine al vino. Oggi la cantina Gulino sforna due prodotti molto interessanti: il Jaraya, che significa ‘casa delle vacche’, e, soprattutto, il Don Nuzzo, dal nome del padre di Sebastiano, un moscato di grande pregio che ha ricevuto e riceve diversi riconoscimenti, tra i quali per esempio il Douja d’Or. “I nostri clienti abituali erano i re e già nel 1900, al Salone di Parigi, il nostro vino vinse la medaglia d’oro. Nella scena quinta del secondo atto di Lucrezia Borgia, opera lirica di Gaetano Donizetti – aggiunge con orgoglio Gulino – un coppiere versa per tutti il ‘vino di Siracusa’, suscitando l’apprezzamento dei convitati – ‘ottimo vino!’ – e un allegro canto”.

 

La viticoltura a Siracusa

I documenti ufficiali dicono che l’azienda di famiglia nasce nel 1793. Nel 1850 la fillossera distrugge i vigneti che rinascono con l’innesto sulla vite americana. Nel 1860 Siracusa è solo Ortigia. Poi con il ponte umbertino la città si espande anche sulla terraferma.

“I miei avi vendevano il vino a Ortigia. Oggi c’è il Corso Matteotti, costruito durante il fascismo da Mussolini. Proprio dalla parallela di destra che si chiama via Cavour partiva il cosiddetto ‘pettine’ di Siracusa che portava i quartieri medievali verso il mare. Lì c’erano le vie delle arti e dei mestieri. Nella via dei vignaioli i miei avi vendevano il vino”.

Alla fine degli anni ’60, Mario Soldati riscopre proprio a Siracusa due antichi vitigni: l’Albanello e il Moscato. Ma negli anni’70 è di nuovo crisi. “La nostra azienda è di 40 ettari. Negli anni ’70 tutto è stato convertito all’orticoltura grazie a questa falda di acqua che scorre sotto di noi, alle vasche e alle canalizzazioni create dagli uomini. L’economia era molto parcellizzata e con un ettaro di agrumeto si poteva mantenere un figlio all’università. Nel 1980 muore mio padre: non voleva che i figli tornassero in campagna, quindi in questo momento – sorride ironicamente Gulino – non sarà molto contento. Negli anni ’90 gli orticoli non hanno più grande mercato. L’alternativa è chiara: o si vende o riprendiamo la nostra storia vitivinicola. Dedichiamo cinque anni alla ristrutturazione della cantina e del palmento. Fin dalle prime produzioni riusciamo a fare eccellenti prodotti. Riceviamo riconoscimenti in tutto il mondo. Abbiamo degli importatori americani che con il nostro prodotto riescono a realizzare ottimi affari. Ci stiamo prendendo delle belle soddisfazioni”.

 

La Strada del vino e dei sapori del Val di Noto

L’azienda di compone di 15 ettari. Otto si trovano qui alla Fanusa, gli altri tra Ispica e Pachino. Produciamo 70-80 mila bottiglie. Quest’anno saremo la la bottiglia ufficiale dei 2750 anni di Siracusa, con tanto di logo del compleanno della città. Ma non è stato semplice. All’inizio le Istituzioni avevano pensato di usare un’altra azienda della Sicilia occidentale. Ma che senso avrebbe avuto avere come testimonial un’industria del vino che non appartiene al territorio? Purtroppo, nelle Istituzioni – e non solo – c’è enorme deficit culturale. D’altra parte, pochi anni fa, un ministro disse che con la cultura non si mangia: se lo ricorda?”

Sebastiano Gulino – che è anche presidente delle Strade del vino e dei sapori del Val di Noto – si è fatto una bella esperienza di rapporti con le Istituzioni: “quest’anno finalmente riusciremo ad aprire una enoteca esclusivamente dedicata alla Strada del vino e dei sapori del Val di Noto. La sede sarà proprio nella città di Noto, perla del barocco di questa zona della Sicilia, cittadina che può contare su di un milione di visitatori all’anno. Ma non è stato semplice trattare con le istituzioni locali. Alla fine, però, sembra fatta: potremo mostrare ai viaggiatori di tutto il mondo le nostre specialità vitivinicole e agroalimentari proprio nel cuore della città di Noto: la Loggia del Mercato di Palazzo Nicolaci”.

 

Nell’antico palmento

“E’ molto importante che le imprese siano gelose del loro territorio”, continua Gulino. “Guardi. Proprio qui nel giardino ho piantato un alberello di mandorla ‘pizzuta’ tipica di questo territorio. Le varietà storiche sono la nostra fissa. Lo stesso ho fatto con le piante di ulivo. C’è anche la ‘zaituna’, che è proprio una varietà tipica siracusana”.

La visita prosegue nel Palmento del 1600, recuperato con grande fatica. Ci sono le vasche dove veniva pigiata l’uva. Poi dei sottopassi dove sono realizzate delle nicchie con attrezzi e mobilio che ricordano un piccolo museo del vino. Poi le pareti con le immagini degli avi e le targhe di tutti i premi conquistati. Infine, la bottaia dove riposa il Nero d’Avola. “Qui – spiega Gulino – ci sono le pareti realizzate con i calcareniti provenienti dalla cava di Terrauzza. Guardi quanto è friabile e porosa. Tutto il palmento è stato costruito con metodo antisismico. E ancora le antiche presse del Monte Lauro, di una lava più antica di quella dell’Etna. L’uva passita veniva ricoperta di paglia. Il Nero d’Avola fa sempre affinamento in botte. Mai il legno, invece, per i vini bianchi”.

E poi snoccioliamo la serie delle etichette (ne abbiamo assaggiate tre, tutte di grande livello: potete trovare le degustazioni qui). I bianchi sono tre: il Fania (‘quercia’ in latino) è un mix di Fiano e Insolia; l’Akram – parola di origine georgiana che vuol dire ‘generoso’ – a base Chardonnay; Pretiosa, con il mitico Albanello in purezza. Poi i rossi: il Drus (‘quercia’ in greco) è un Nero d’Avola in purezza; il Fanus – da Fanusa, il nome della contrada – è un blend di Nero d’Avole e Syrah per farlo più morbido. “D’altra parte – assicura Gulino – il primo blend della storia è il Cerasuolo di Vittoria, fatto in Sicilia con Nero d’Avola e Frappato”. Infine, oltre ai vini dolci di cui si è detto sopra, c’è il Saliens, dal latino ‘vino che spuma’.

“L’Albanello di Siracusa è un antico vitigno a bacca bianca, storicamente coltivato nelle province di Siracusa e Ragusa. Ed era sparito. Oggi siamo gli unici al mondo a farlo” – afferma con orgoglio il dottor Gulino. Nel 1879, l’enologo Giovanni Briosi scrisse che, pur non essendo l’Albanello molto noto in commercio, soprattutto all’estero, “pure con esso si potrebbe ricavare il migliore vino asciutto di tutta la Sicilia”. Non sappiamo se è il migliore di tutta la Sicilia, ma è sicuramente un grande vino. Così come il Nero d’Avola Drus. Il Don Nuzzo, infine, è di sicuro tra i migliori moscati d’Italia.