Perché ho dato un calcio ai pregiudizi su cibo e vino

di Ilaria Donatio

Quando ho iniziato a occuparmi di agroalimentare, allargando poi il campo all‘enogastronomia di qualità, provavo imbarazzo e mi dava fastidio la sensazione – non aveva neppure “dignità” di idea né consapevolezza di pensiero – di aver “declassato” i miei interessi e dunque anche le mie competenze.

Una sensazione che più di una volta ha trovato stampelle impietose in molti dei miei vecchi colleghi a cui presentavo questo progetto e che dimostravano per lo più considerazione e apprezzamento. E tuttavia, non era infrequente che mi sentissi rispondere: “Certo, mi piace tutto quello che fate e mi piacerebbe collaborare, ma non mi chiedete di scriverne!”.

Brutta sensazione perché figlia di un preconcetto di cui anch’io ero vittima: quello che relega cibo e vino alla sola sfera ludico-estetica, che va bene per Masterchef in prima serata oppure alla socializzazione su Instagram, ma guai ad andare oltre. Guai a superare il confine invalicabile del bello e asettico, del piatto inodore e insapore (ma da fotografare).

Come se cibo e vino non fossero il motore dell’economia di questo Paese il cui tessuto produttivo, di piccoli e piccolissimi produttori, sul cibo di qualità e sul vino buono, ha scommesso tutto;

* come se un piatto di pasta e fagioli fosse fico solo a Masterchef;

* come se alla mozzarella di bufala campana incorniciata dal rosso dei pomodori pachino, bastasse essere fotogenica con Foodie e non avere – soprattutto – latte di prima qualità e pomodori che da Pachino vengono davvero!

* come se gli infiniti dibattiti su quello che mangiano i nostri figli nelle mense scolastiche, siano il fiato (sprecato) di mamme troppo apprensive (leggete il post di oggi scritto da Ilda Curti!);

* come se Instagram esaurisse la “pratica” food&wine con i suoi filtri – buoni per tutti i gusti (estetici) – e quello che predica da anni Slow Food fosse pane per i denti dei soli gastrofighetti.

 

E invece il cibo ha da puzzà. E sui prodotti enogastronomici è possibile – oltre che opportuno – imbastire un’altra proposta, anche narrativa:

* perché la qualità di quello che mangiamo ci ricompensa in molti modi e per questo ha bisogno di persone competenti che la raccontino e la facciano conoscere;

* perché ci fa stare bene ed ha a cuore la nostra salute;

* ci fa risparmiare mentre mangiare schifezze alla lunga costa molto di più;

* infine, permette a tutti di vivere in armonia con l’ambiente che ci circonda e di rispettarlo.

Ed eccoci qui: non so dove ci porterà questo viaggio ma abbiamo tutte le intenzioni di andare fino in fondo. E siamo anche in ottima compagnia!