ABCvino – Un “Prosecchino”? E il sommelier sviene

di Fabio Ciarla

Ci avviciniamo tranquilli al banco d’assaggio, vediamo la vaschetta con il ghiaccio (“mastella” in gergo) e i vini “spumanti” aperti, ci facciamo coraggio e chiediamo: “Un prosecchino, grazie!”. È a quel punto che il sommelier, dall’altra parte, ha un mancamento o manifesta evidenti tremori, nonché un certo ticchettio della palpebra. Eppure siamo stati educati…

 

Il Prosecco: il re dei vini “mossi”

Il problema non è l’educazione in senso generico ma l’educazione al bere bene e alla conoscenza dei vini. Il Prosecco è il vino “mosso” più consumato d’Italia (e pare quasi “del mondo” ormai) ma non può e non deve essere sinonimo di un’intera categoria di vini.

Esistono infatti vari tipi di Prosecco, ma soprattutto vengono prodotti vari tipi di vini spumanti. Chiariamo subito che per essere “mosso” (in modo naturale e quindi senza aggiunta di anidride carbonica), il vino deve subire una “ri-fermentazione” dopo quella primaria che ha trasformato il mosto in vino, consumando gli zuccheri e tramutandoli in alcol. Scusate la brutalità ma almeno così ci capiamo velocemente. Cominciamo quindi dalla distinzione primaria e generale: metodo Charmat (o Martinotti) e Metodo Classico.

 

La distinzione dei Metodi

Tornando ai metodi, cominciamo con il Metodo Charmat, o “Martinotti” (inventato a cavallo tra ‘800 e ‘900), che prevede una rifermentazione del vino in autoclavi, grandi recipienti in acciaio che realizzano in modo veloce e controllato questo processo. Può essere “corto” o “lungo”, ma in genere è utilizzato per vini da bere giovani e velocemente (alcuni dei quali di grande qualità). Il Prosecco, come altri spumanti, è prodotto con questo metodo nella zona di origine del Veneto e nel Friuli Venezia Giulia.

Con Metodo Classico si intende, in Italia, il metodo “Champenoise” inventato pare da un tal monaco Dom Perignon intorno al 1670. Il primo chiarimento è per il nome, non si può usare il termine “Champagne” in nessun altro caso che per i vini spumanti prodotti con questo metodo nella omonima regione francese (quindi esistono metodo classico francesi che non sono Champagne, ma genericamente “vins mousseux”). Il Metodo Classico prevede una rifermentazione in bottiglia, quindi singola e con una difficoltà intrinseca enorme. Si tratta di un procedimento complesso, fatto di aggiunte di lieviti e zuccheri per innescare la rifermentazione (liquer de tirage), poi di sboccatura dei residui e per finire con l’aggiunta di vino misto a zuccheri (liquer d’expedition) per definire la tipologia (Brut, Dry, Demi-Sec ecc.). Si tratta di vini solitamente più complessi di quelli prodotti con Metodo Charmat, che affinano per più mesi sui lieviti, a volte anche per molti anni, e che hanno un costo maggiore. In Italia le due maggiori espressioni dei Metodo Classico sono la Franciacorta e la zona di Trento.

 

Un anno di vita

Questa, in breve e sommariamente, la differenza tra i due metodi, una cosa però li accomuna: sono vini da consumare entro un anno dalla messa in commercio! I vini spumanti, qualunque sia il metodo, non reggono bene l’affinamento in bottiglia e una volta acquistati vanno consumati in tempi brevi. Quando troviamo un “millesimato”, quindi con annata di produzione specificata e magari vecchia di un lustro o più, non significa che quel vino è in bottiglia da quella data, significa solo che è stato prodotto con sole uve di quella vendemmia (cosa non frequentissima nei Metodo Classico e indicativa del pregio della bottiglia). A far fede per il consumo tuttavia è la data di sboccatura, di solito presente nella retro-etichetta, che appunto non dovrebbe essere più vecchia di un anno circa.

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