L’Italia leggendaria dell’arte e dell’industria. Una mostra a Roma

di Vittorio Ferla

 

C’era una volta Civiltà della Macchine, la rivista di Finmeccanica, nata per far dialogare l’impegno dell’industria italiana per lo sviluppo tecnologico ed economico del paese con i valori di un umanesimo ispirato all’arte e alla filosofia. C’era una volta l’Italsider, il gruppo siderurgico tra i maggiori dell’industria di Stato, capace di stimolare l’attività di artisti eccellenti nei decenni ’50 e ’60.

C’era una volta la flotta dei transatlantici italiani, orgoglio della cantieristica nazionale negli anni del boom economico, custode di un patrimonio artistico straordinario che accompagnava con discrezione gli ospiti delle navi durante le traversate in mare. E c’erano una volta, intorno a quest’epoca d’oro dell’industria pubblica italiana, decine e decine di pittori, scultori, tessitori, scrittori, poeti, filosofi, illustratori, dedicati all’interpretazione del rapporto tra la modernità tecnologica e il senso profondo della vita umana.

 

Un impegno per recuperare dei beni comuni


“C’erano una volta”, scriviamo, perché, a partire dalla fine degli anni ’70 quella grande stagione di dialogo tra arte e industria si è chiusa. Con il rischio di dimenticare un patrimonio enorme di esperienze e opere d’arte.

“Nell’arco di mezzo secolo i passaggi societari, i cambi di sede, le liquidazioni, l’incuria e le alienazioni operate con le aste avevano condotto al progressivo smembramento di una delle collezioni artistitiche più ricche d’Italia”. A parlare è Sabrina Fiorino, restauratrice e conservatrice, tra le protagoniste di una impresa straordinaria: il recupero di quelle opere d’arte che l’indifferenza e la negligenza di manager e istituzioni rischiava di disperdere.

“Anni fa – spiega – sono entrata in contatto con questo mondo e ho capito che si poteva fare un lavoro di conservazione e di divulgazione importante per consentire a tutti di avere accesso ad un pezzo di storia dell’arte italiana. Anche per questo motivo ho pensato di coinvolgere nel mio laboratorio di restauro delle storiche dell’arte: avrebbero potuto dare un contributo fondamentale per raggiungere l’obiettivo”.

 

Sabrina, Claudia, Nicoletta, Caterina: insieme per salvare la… Civiltà delle Macchine

Da questa passione nasce così GmgCultura, un gruppo di lavoro composto da quattro giovani professioniste dell’arte – con Sabrina Fiorino lavorano anche Claudia Canalini, Nicoletta Provenzano e Caterina Salvagno – impegnate per il recupero della vicenda storica e artistica di Civiltà delle Macchine e per l’urgenza di salvare un patrimonio di opere dimenticate provenienti dai cantieri dell’Italsider e dalle navi italiane.

“A partire dal 2013 Fintecna e Cassa Depositi e Prestiti decidono di dare il via alla catalogazione delle opere e riportano alla luce dipinti e sculture. Anche la GNAM collabora: la prima esposizione viene realizzata, gratuitamente, nei suoi locali. La mostra, dal titolo Arte sulle motonavi. Il varo dell’utopia, raccoglie 16mila visitatori, un numero importante se si pensa che si tratta di opere per lo più misconosciute e prive di spinta pubblicitaria. Nel frattempo, arriva anche il riconoscimento dei Corporate Art Awards, i premi pensati per identificare, valorizzare e promuovere le eccellenze nelle collaborazioni tra il mondo del business e quello dell’arte a livello internazionale”.

 

Il coinvolgimento umano e professionale degli artisti

Qualcosa comincia a muoversi, finalmente. L’impegno di queste donne per l’arte riceve finalmente importanti gratificazioni. Ma non basta.

“Forse il riconoscimento più bello è stato il coinvolgimento umano di chi ha vissuto quel periodo. Penso agli artisti, ma anche alla gente comune. È stato bello confrontarsi con artisti ancora viventi. Penso allo scultore Luigi Gheno, per esempio, che mi ha aiutato a ricomporre e a restaurare i sei pannelli di bronzo realizzati per la sala del consiglio della Direzione generale della Finsider a Roma. Penso all’artista e critico d’arte Gillo Dorfles, la cui preziosa riflessione è raccolta nell’intervista pubblicata sul catalogo. Penso, inoltre, alla vicenda di Beverly Pepper, un’artista americana di Brooklyn, che oggi ha 97 anni anni e vive a Todi e che, in quegli anni, bella e affascinante, condivideva senza snobismo con gli operai della Finsider il comune lavoro sulle sue opere. Ma penso infine a Raffaello, il passeggero di una delle navi che, venendo a visitare la mostra, mi ha confessato: quando feci il viaggio ero malato; le opere collocate sulla nave mi sono rimaste impresse, ma non ho potuto goderne appieno; oggi finalmente posso fare il viaggio bene”.

 

Alla mostra, come visitando un transatlantico

E, in effetti, il visitatore della mostra – oggi ospitata a Roma nelle sale dell’Auditorium di Fintecna in via Veneto – può avere davvero la sensazione di trovarsi nei saloni di un transatlantico.

Attraversando i vari ambienti è un continuum di opere d’arte, perfino lungo le scale che conducono alle sale sottostanti, dove si trova il bancone del bar decorato con le sculture originarie di quegli anni. Qui si aprono le grandi sale dove è possibile ammirare gli imponenti arazzi che ornavano i saloni dei natanti del tempo. Qui ci si può imbattere nelle antiche porte dei saloni della nave e scoprirvi le “Figure umane in paesaggi fantastici”, gli olii su lastra metallica del pittore Salvatore Fiume, capaci di creare un’atmosfera pittorica che va oltre il limiti fisici degli ambienti.
Arte sulle motonavi. Il varo dell’utopia è il titolo di questa raccolta di arazzi, pannelli di vetro, dipinti su porte, sculture decorative che i viaggiatori potevano ammirare sui transatlantici. Un vero e proprio viaggio nel tempo, insomma.

Un percorso carico di emozioni che ci aiuta a comprendere la stima che circondava questi giganti dell’industria italiana, ambasciatori della bellezza italiana nel mondo. “Per avere a New York un biglietto della Doria – scriveva Andrea Rapisarda nel 1954 – occorrono lunghe prenotazioni, e sono stati segnalati perfino dei casi di borsa nera, come per un concerto di Toscanini”.

 

L’immagine dell’Italia nel mondo

L’architetto Gio Ponti, al quale fu affidato l’incarico di allestire le sale di prima classe della Andrea Doria, riscontrava qui “il richiamo della leggenda d’Italia: le architetture famose, i giardini famosi, l’Italia antica, l’Italia delle celebri festività, l’Italia dei poeti amanti (da Romeo e Giulietta a Paolo e Francesca), l’Italia dei paesaggi famosi, l’Italia delle maschere e del teatro e dei personaggi, l’Italia dei costumi, l’Italia delle bellissime donne, l’Italia delle musiche, l’Italia delle canzoni; l’Italia, l’Italia, l’Italia; l’Italia degli artisti e dell’artigianato d’oggi, l’Italia delle incantevoli ceramiche, dei prodigiosi vetri, degli smalti famosi, delle stoffe meravigliose: l’Italia leggendaria dell’arte e della storia”.

Oggi, dunque, nei saloni di Fintecna, è custodito uno tesoro di arte contemporanea inestimabile. I pannelli di alluminio dipinto a smalto di Eugenio Carmi. Le “Colonne del viaggiatore” di bronzo, acciaio e stagno realizzate da Arnaldo Pomodoro. I disegni di Giuseppe Capogrossi. I dieci acquarelli commissionati nel 1961 dall’IRI a Giorgio de Chirico. Le copertine di Civiltà delle Macchine di Gino Severini, Umberto Mastroianni, Sinisca, Gianni Dova, Domenico Cantatore, Pietro Consagra e tanti altri. Gli arazzi tessuti dalla nota arazzeria Scassa. Le statue decorative di bronzo di Marcello Mascherini. L’imponente “Astratto” di Mario Sironi per la turbonave Conte di Biancamano.

Potremmo parlare di un ‘miracolo’, così come è stato un miracolo la recuperata passione delle fondazioni – a partire dalla Fondazione Sinisgalli, il poeta e ingegnere che ha fondato e diretto Civiltà delle Macchine – che hanno collaborato a questa impresa.

 

Un laboratorio intellettuale e visionario

“Negli anni ’50 e ’60 – sottolinea Sabrina Fiorino – il profondo legame tra artisti e industriali rese l’Italia un unicum nel mondo. L’industria fece dell’arte un punto cardine della vita e della strategia aziendale, analizzando l’industrializzazione e promuovendo la propria immagine, anche all’estero, attraverso gli artisti”.

La rivista Civiltà delle Macchine fu il laboratorio intellettuale e visionario di questo incontro e, davvero, se ne sente la mancanza. E così, mentre suggeriamo di visitare la mostra per riscoprire quel connubio tra arte e tecnologia, speriamo che nuovi manager, intellettuali e imprenditori illuminati trovino il coraggio e la determinazione di rilanciare il progetto di quella rivista per affrontare le sfide del nostro tempo presente. Lo stesso coraggio che hanno avuto Sabrina, Claudia, Nicoletta e Caterina.