Il cibo? Più facile a mangiarsi che a dirsi

di Ilaria Donatio

 

A Torino, entro la splendida cornice della Cavallerizza Reale – complesso costruito tra il Seicento e l’Ottocento, parte del sistema delle residenze reali sabaude, dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco – dal 25 al 27 febbraio, si è svolta la prima edizione del Festival del Giornalismo Alimentare con il patrocinio del Mipaaf.

 

Si parte dal basso

borgiaL’idea da cui muove questo “numero zero” – organizzato e diretto da Massimiliano Borgia e un gruppo di giornalisti e operatori della comunicazione – nasce “dal basso”, spiegano, “dal lavoro, dalla passione, dal senso di responsabilità di chi fa informazione in un Paese che, sulla coscienza alimentare, poggia la sua identità e il suo riconoscimento nel mondo”.

Un’operazione culturale necessaria, quella che si propongono gli ideatori del Festival che, da un lato, ha l’ambizione di ripensare i codici della comunicazione alimentare – più scienza, meno esoterismo – e dall’altro vorrebbe portare la narrazione dell’universo “food&beverage” (con tutti i suoi apparati simbolici) ad una maggiore correttezza informativa.

 

Chi deve comunicare e cosa?

Il programma è stato ben impostato e ha dato la parola a un buon numero di discussant  – alcuni dei quali davvero bravi ed efficaci e che avrebbero meritato ancora più spazio – ed esperti del settore, in taluni casi, un po’ troppo tecnici, con un assortimento che ha ampi margini di miglioramento. panel-foodfestLa scelta di “chi deve comunicare cosa“, d’altra parte, è uno dei temi fondamentali per un evento dedicato esattamente alla comunicazione alimentare e, su questo terreno, le prossime edizioni del Festival avranno di certo il tempo e lo spazio per perfezionarsi!

Anche il coinvolgimento di una platea eterogenea – di comunicatori, blogger, aziende, istituzioni, uffici stampa, scienziati, alimentari e influencer – intende contribuire allo scopo: “Il cibo non è un settore e chi mangia non è solo una categoria”, siamo tutti coinvolti, spiega Cinzia Scaffidi – ex Slow Food e scrittrice – e, dunque, un’operazione di tale portata avrà successo, a patto che non intercetti solo una parte dei suoi stakeholder.

 

Tutti i temi di dibattito

panel:2I panel in cui la due giorni si articolava hanno tentato di districare i nodi principali del nucleo centrale – il cibo e la sua comunicazione – e che ne costituiscono anche le principali scommesse: il diritto al cibo e la questione degli sprechi alimentari, il tema dell’acqua pubblica e quello dell’educazione alimentare rivolta ai più piccoli. Ancora: il fenomeno dei reati alimentari e quello delle “bufale” che, con l’effetto moltiplicatore dato dai social provoca allarmismo e disinformazione (GnamGlam ne scriverà più diffusamente nelle prossime ore).

 

Sotto la lente d’ingrandimento, anche gli stessi codici applicati al cibo: sempre più in voga e informali, si tratta di neologismi scelti dal vasto pubblico che condivide sui social network e che predilige un linguaggio  sempre più emotivo e disinvolto. Il vino, poi, con il suo universo di riferimento e la sua valenza culturale e simbolica, ha meritato uno spazio di dibattito adeguato: da un lato, esiste l’esigenza di promuoverne un consumo consapevole e dall’altro si pone la necessità di operare un po’ di chiarezza scientifica sulla sua “bontà” (anche su questo tema, in arrivo un pezzo a parte!).

Sul portale del Festival, troverete già pubblicati i resoconti di ciascun panel di approfondimento.

 

Educational tour

eventi offE naturalmente, non poteva mancare il versante più ludico e piacevole, ma non per questo meno istruttivo: quello degli eventi “collaterali”.

Show cooking, degustazioni e gli educational tour sul territorio (domani pubblicheremo quello a cui abbiamo aderito noi di GnamGlam: la vinoterapia del percorso benessere proposto dal resort Ca’ San Sebastiano e la scoperta dell’architettura enologica degli Infernot, nel Monferrato).

 

Il Festival del futuro

Da oggi si apre il lavoro più difficile per il team che ha lanciato un Festival come quello appena concluso: gli inglesi la chiamano “follow up“, verifica dei risultati, relativo aggiustamento e indirizzo, programmazione futura.

Sarà molto interessante vedere come riusciranno a intercettare gli sviluppi futuri di questo progetto: inventarsi un contenitore che – in un momento storico in cui il cibo è sulla bocca di tutti, perché fa audience, appassiona e vende – dia spazio a chi il mondo del cibo e del vino lo racconta per lavoro e dovrebbe farlo correttamente, non è stata operazione da poco.

Ora dovranno scommettere sul come farlo: renderlo più crossmediale  – incrociando diversi canali di comunicazione  – senza rinunciare a una maggiore interdisciplinarità – e dunque connettendo ambiti diversi con il risultato di arricchire le linee di dibattito – ecco, questa potrebbe essere una bella sfida.

A loro il testimone!