Il Negroamaro? Versatile e insospettabile

di Jlenia Gigante*

A distanza di una settimana dal laboratorio di abbinamento cibo-vino di Slow Food Roma guidato dal fiduciario Andrea Petrini, lo scorso 6 marzo nel corso di Nero del Salento – la rassegna sul negroamaro a cura di GnamGlam e con la collaborazione dell’associazione del Negroamaro – deGusto Salento – il ricordo àncora l’assaggio a due termini: versatile e insospettabile.

La premessa del ricordo parte da una considerazione: le tecniche enologiche, oggi, consentono di ottenere da un’uva a bacca scura molteplici tipologie di vino. Ma i risultati sono sempre così interessanti e coerenti con il profilo varietale? La risposta è arrivata dagli assaggi, un racconto degustativo articolato in otto etichette di otto realtà vitivinicole.

Un vitigno, tanti vini

La varietà autoctona della penisola salentina è capace di offrire materia per spumanti rosé e rosati dalla verve mai banale. E se – per la storia di questo lembo di terra pugliese estesa per 142 km di lunghezza e 45 km di larghezza tra i due mari e suddivisa in tre areali (brindisino, leccese, jonico-tarantino) – il rosato è tradizione, la versione spumantizzata, che da qualche anno ammicca nella produzione di più di qualche cantina, non è un mero esercizio di stile enologico ma è un’altra interessante espressione del negroamaro in cui la dote di freschezza spicca senza mai perdere di vista la piacevolezza del frutto. Dimostrazione ne è stato il sorso del metodo charmat Brut Rosé di Santi Dimitri. Il filo conduttore della versatilità è apparso evidente anche nei calici di rosso. Dal Nigra di Romaldo Greco (12 mesi in acciaio), al Vereto Salice Salentino DOC Riserva di Vallone (affinamento in botte grande e lunga sosta in vasche di cemento), al Tenuta Paraida Copertino DOC di Marulli Vini (tradizionale blend di negroamaro 80%, malvasia nera di Lecce e Montepulciano), per chiudere con Lago della a Pergola di Vetrere (con sosta di 12 mese in barrique francesi nuove), la riflessione è univoca: il negroamaro – dotato di una bella vena acida e di tannini diversamente interpretabili in base ai tempi di raccolta e legati al suolo sabbioso, calcareo o argilloso – non nasconde la sua essenza.

La sorpresa del negroamaro nel tempo e nel piatto

Un’essenza tenace, quella del negroamaro, capace di sfidare il tempo su un filo tensivo di grande piacevolezza. La prova l’hanno fornita gli assaggi dei rosati targati vendemmia 2015 di Saturnino di Tenute Rubino e di Mjere di Michele Calò & Figli: olfatto intrigante, fresco, pulito, frutto integro, e grande personalità. Una sorpresa ancora più grande il Vigna Mazzì 2014 di Rosa del Golfo, rosato con affinamento in legno, che alla dorsale fresca regala tonalità retrogustative piacevolmente speziate.

Sorprendente anche la sua versatilità sui piatti. Sì, perché le diverse tipologie di negroamaro hanno saputo tenere testa al ventaglio variegato di abbinamenti della proposta food del laboratorio, declinata sui più stuzzicanti e prestigiosi Presidi Slow Food di Puglia: le bollicine rosé per il Capocollo di Martina Franca e per il salame a staffa prodotti da Santoro; il rosato per il crostino con pomodorino Fiaschetto di Torre Guaceto; il rosato affinato in legno sul crostino con cipolla macerata nel vincotto primitivo della Comunità del Cibo di Terra Madre di Ugento prodotta da I Contadini; il rosso riserva per la zuppa di Pisello Nano di Zollino, presidio salvaguardato da Antonio Calò; per chiudere con un rosso di struttura per il caciocavallo podolico stagionato.

Sì, in conclusione, non è presunzione affermare che il negroamaro è un insospettabile giocatore del tempo e del piatto.

*Sommelier – master class ALMA-AIS