
di Stefano Sequino
Successo di vini sardi al premio “5 Stars Wines” organizzato durante il Vinitaly 2016. Sono 28 i vini entrati nella selezione finale del concorso che hanno raggiunto o superato i 90/100 e, tra questi, anche la Vernaccia di Oristano, prima Doc isolana (riconosciuta 45 anni fa!) ottenuta da uve Vernaccia raccolte ai lati del fiume Tirso e fino al golfo di Oristano, dove la viticoltura risale addirittura all’epoca nuragica (1.200 a.C.).
Tanti ceppi e poca resa caratterizzano i vigneti di Vernaccia di Oristano, uve raccolte a mano e destinate alla produzione della Doc solo se hanno un titolo alcolometrico volumico naturale minimo di 14% vol..
Si tratta di un processo di elaborazione particolare, dato che dopo la vinificazione in bianco delle uve (senza macerazione) il vino, nel mese di marzo successivo alla vendemmia, è travasato in botti di castagno o di rovere lasciate scolme per circa un decimo della loro capacità, per un lento invecchiamento di almeno due anni.
E proprio durante la conservazione avviene la magia della Vernaccia: un processo di affinamento biologico condotto dai lieviti cosiddetti filmogeni (Saccharomyces prostoserdovii, Saccharomyces bayanus e Zigosaccharomyces balii) che donano al vino il tipico carattere “flor” e lo sviluppo di biofilm esteso sulla superficie e invece, sotto la superficie, l’alcol etilico viene ossidato ad acetaldeide e questa in parte ulteriormente ossidata ad acido acetico, fenomeno che tra l’altro è anche accompagnato da un progressivo imbrunimento del vino.
I contenitori in legno svolgono un ruolo fondamentale perché, contrariamente agli altri vini bianchi, devono assicurare un certo scambio con l’ambiente esterno: doghe sottili e piccole dimensioni quindi, per consentire una perdita di acqua per evaporazione per un 2-3% all’anno, fenomeno tra l’altro responsabile dell’aumento del grado alcolico durante l’invecchiamento del vino destinato a diventare Vernaccia di Oristano Doc.
Ci vogliono 2-3 anni perché la Vernaccia di Oristano assuma il suo giallo dorato ambrato ed il caratteristico bouquet, complesso e singolare, particolarmente intenso ed un sapore caratterizzato da un retrogusto di mandorle amare che nelle migliori annate assume il carattere “Murruai”, termine esclusivo del territorio della Valle del Tirso, che sembra sia dovuto all’antica usanza di profumare le botti e le cantine con la mirra.
E tornando alle performance dei vini sardi al Vinitaly 2016, “tante cantine sono state premiate con punteggi molto alti, a conferma di un momento di altissima qualità della produzione vitivinicola sarda – ha detto l’assessore dell’Agricoltura Elisabetta Falchi – il riconoscimento alla Vernaccia ha però un grande valore, essendo stato attribuito a un vino così particolare nel panorama italiano e internazionale: sarà un ottimo punto di partenza per ragionare anche coi produttori su come rilanciare e valorizzare produzione e commercializzazione di questo vitigno autoctono che rischia di estinguersi”.
Ma anche il punto di partenza per una riflessione: nonostante l’altissima qualità e la tipicità di un vino antico, la Vernaccia di Oristano rischia davvero l’estinzione. Pochi produttori, poco più di 500 ettolitri di vino e pochi ettari di vigneto investito a Vernaccia di Oristano, tra l’altro sempre più spesso destinata alla produzione della Vernaccia del Tirso Igp, un vino dal disciplinare più flessibile che non prevede il processo di “florizzazione” del vino.