A Lecce un corso per diventare sommelier in carcere

Uno dei suoi primi studenti era un giovane che aveva arrestato quattro anni prima. Altri erano stati condannati per rapina a mano armata, traffico di droga e associazione a delinquere di stampo mafioso. Le classi sono attrezzate in modo essenziale, dietro a finestre protette da sbarre orizzontali e verticali, benché una abbia dei dipinti colorati che coprono i muri. Ma niente di tutto questo è bastato a far desistere Marco Albanese, ufficiale di polizia da 19 anni e istruttore sommelier da cinque, dall’insegnare i sentori principali del bouquet caratteristico di uno chardonnay o a mescere un’annata rara a una classe di studenti estasiati”.

carcere-sommelierLa notizia del primo corso di avvicinamento alla degustazione del vino, rivolto a detenuti di un penitenziario leccese e “ideato” dalla cantina Feudi di Guagnano, arriva sulle colonne del New York TimesIl pezzo, pubblicato alcuni giorni fa, a firma di Gaia Pianigiani, è ricco di particolari e racconta la bella idea concepita da Gianvito Rizzo –  53 anni, amministratore delegato della cantina di Guagnano (Le) – e che il carcere leccese di Borgo San Nicola ha realizzato in chiave di riabilitazione.

Albanese, 43 anni, insegna dunque ai detenuti a diventare sommelier, nell’ambito di un programma innovativo, teso a formarli a nuove abilità professionali, ma anche ad aiutarli a sviluppare un legame con una regione, la Puglia, rinomata per le sue uve Negroamaro.

“Il programma”, prosegue il pezzo, “è stato accolto con entusiasmo dagli studenti“. E anche il “poliziotto-sommelier” – a quanto pare – ha scoperto aspetti diversi della propria professione.

Ho potuto vedere il loro lato umano, una volta che si sono trovati fuori dal loro contesto”, ha riferito Albanese, che per l’occasione ha tolto la sua uniforme da poliziotto, e indossato giacca blu e cravatta da sommelier. Tanto più che “non ho dovuto mantenere la solita distanza, visto che ero il loro insegnante”.

Anche loro meritano una seconda occasione ed è importante che sappiano che le istituzioni hanno fiducia nel fatto che loro possano essere educati a una vita diversa”, ha aggiunto.

Il programma si articola in 8 lezioni, gli studenti sono 30 uomini e donne, a cui viene insegnato – separatamente – l’arte della degustazione, e le tecniche con cui scegliere e servire i vini locali.

“Abbiamo la speranza di insegnare loro l’importanza sociale del lavoro e il valore del loro 04prisonwine1-master768territorio, in modo tale che poi possano scegliere di lavorare qui, avendo già acquisito le giuste competenze”, ha detto Rita Russo, la direttrice del Penitenziario di Lecce, il più grande della regione Puglia. I detenuti possono anche studiare per conseguire un diploma di scuola superiore, coltivare pomodori, frequentare lezioni di teatro e imparare ad essere pittori o sarti.

La giornalista ha poi raccontato piccoli aneddoti della lezione.

“I calici, pronti all’uso, stavano su un banco di scuola coperto da una tovaglia color cachi. Su un tavolo vicino, tre bottiglie di Chardonnay, un Primitivo e un Negroamaro. Roberto Giannone, che lavora per l’associazione sommelier locale, ha poi mostrato come stappare una bottiglia, incidendo con tre tagli la capsula che copre il collo della bottiglia, inserendo il cavatappi e tirando via facilmente il tappo.

“Una volta che il tappo è fuori”, ha detto, “usate un tovagliolo per mostrarlo ai vostri clienti: è un modo
semplice per essere gentili e evitare inconvenienti”.

 

“Naturalmente, i corsi per sommelier non possono essere considerati una soluzione”, ha detto Georgia Zara, a capo di un programma all’Università di Torino che propone un master in criminologia e psicologia forense. “Ma istruiscono i carcerati e creano interazione sociale, che è molto importante”. Le lezioni offrono anche un “ponte tra il contesto della prigione e il mondo esterno, perciò si tratta di un piccolo investimento per ridurre il rischio di recidiva” ha detto la signora Zara.

04prisonwine3-master675Il NYT dedica un po’ di spazio anche all’ideatore di un’iniziativa così particolare, Gianvito Rizzo, che oltre a guidare la cantina Feudi di Guagnano, ha fornito il vino, come le bottiglie di Negroamaro, per le lezioni. Non solo. Rizzo ha proposto anche l’idea che i detenuti possano iniziare a lavorare nei suoi quasi 75 ettari di vigna, già dal prossimo anno. “Vedo il vino in maniera democratica”, ha detto Rizzo passeggiando nel suo vigneto. “La campagna è l’opposto della prigione. Sei libero. Senti i profumi della natura e impari a prenderti cura di essa. Penso che anche per i detenuti sarebbe positivo sperimentarlo”.

“Neanche bevo, ma ho imparato ad assaggiare, sentirne i profumi e a degustarlo”, avrebbe commentato un detenuto che sta scontando una condanna a 10 anni e a cui è stata concessa l’opportunità di parlare in anonimato. “Pensi che sia una piccola cosa, ma significa il mondo per noi”.

Un piccolo successo dal grande valore sociale.