Ricette da romanzo: il timballo del Gattopardo

Il cibo è sempre molto presente nella letteratura, in particolare in quella italiana. Una traccia famosa si trova anche nel capolavoro di Tomasi di Lampedusa.

Il romanzo Il Gattopardo, di Tomasi di Lampedusa pubblicato nel 1958, narra la storia delle vicende significative del principe di Salina e della sua famiglia negli anni dell’unità di Italia, in una Sicilia resistente ai cambiamenti.

Cibo e letteratura: i maccheroni secondo Lampedusa

Come ogni anno, da generazioni, i Salina si trasferivano con la bella stagione nel palazzo addormentato di Donnafugata. Come ogni anno veniva, in occasione del loro arrivo, riaperta la casa, organizzata da mani sapienti una cena solenne per accogliere gli amici di sempre e ribadire il potere immutato del principe. Quella sera nella grande sala entrò anche Angelica con la sua bellezza italiana, con la sua fisicità prorompente poco raffinata ma assai conturbante. Il nipote del principe, Tancredi, si innamora di lei; il principe la osserva rapito dalla sua spontaneità e dalla sua bellezza.
Inizia la serata, le candele illuminano la tavola sontuosa, entra il timballo di maccheroni che l’autore così magistralmente descrive: “L’oro brunito dell’involucro, la fraganza di zucchero e di cannella che ne emanava, non era che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroni corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio.”
Diverse antiche ricette siciliane si avvicinano alla descrizione del timballo fatta dal Tomasi di Lampedusa. C’è anche una versione gourmet del celebre chef Ciccio Sultano. A voi la ricerca della migliore!

L’influenza francese sulla cucina siciliana

Le molteplici dominazioni che si sono succedute in Sicilia, hanno contribuito non poco a cambiare le usanze gastronomiche dei siciliani. L’influenza francese, per esempio, ha introdotto l’uso di ingredienti come la cipolla in salse e condimenti;  la salsa bechamel, così delicata da rendere raffinati anche sughi forti che poi insaporivano pasta e timballi; la pasta frolla , squisitezza adoperata come involucro di timballi di pasta o di passati di verdure, di ricotta, di carne e di pesce.
Furono sempre i cuochi francesi ad inventare pietanze usufruendo di quanto veniva prodotto dalla calda terra di Sicilia. Nel seicento non c’era casa aristocratica palermitana che non avesse un cuoco francese. Un personaggio insolito, primo attore nelle cucine delle splendide case nobiliari. Il suo nome da Monsieur venne subito trasformato in “Monsù” dai servi locali che lo assistevano. Chiamato appositamente dalla Francia preparava piatti eccezionali, sconosciuti ai commensali e si esibiva in decorazioni che sbalordivano gli invitati.
Erano eleganti consommé, aragoste e polli in gelatina, dolci fantasiosi, fegati d’oca e maestosi pasticci e timballi come quello di cui si parla qui: “il pasticcio del monsù” ricordato anche nella “cena del Gattopardo”, cioè il Principe di Salina, protagonista dell’omonimo e famosissimo romanzo di Tomasi Di Lampedusa.
In Tomasi il cibo assume sfumature narrative sottili, variegate, metaforiche, allusive; descrive un’epoca nella quale l’opulenza gastronomica era associata alla condizione sociale privilegiata: pranzi ricchi, elaborati e quel che più conta abbondanti, che si potevano permettere solo i nobili. Oggetti, luoghi, ambienti, consuetudini, divengono metafora di condizioni sociali e categorie dello spirito, documento e giudizio etico, sociale, estetico.

 

Fonti: http://www.ricettedisicilia.net/primi/il-pasticcio-del-monsu/