Giampaolo Bruni: l’eleganza dei vini del Rinascimento

di Vittorio Ferla

“Il dottor Bruni sta per arrivare”. Sono nella cantina dell’azienda Piandaccoli, un fabbricato moderno in una zona di confine tra Calenzano e Prato, in un giorno di marzo. Ad accogliermi è Francesca Bruni, la nipote di Giampaolo. È lei che tiene con grande cura e professionalità i rapporti dell’azienda con i media.

Si è laureata con una tesi sulla comunicazione dedicata ai blogger civici, scrivendo dei casi di Yoani Sanchez a Cuba, dei migliaia di giovani blogger palestinesi e, ovviamente, del fenomeno Grillo in Italia. Oggi lavora con il nonno per promuovere in giro per l’Italia e per il mondo vitigni dal nome fiabesco e ancora Piandaccoli_Francescatutti da scoprire come il Mammolo, il Pugnitello o il Foglia Tonda.

 

Un orgoglio di cantina

“La nostra cantina è un piccolo gioiello, dotata di strumenti di nuova generazione in grado di esaltare efficienza e funzionalità. Tini refrigerati a 16-18°C. Una diraspatrice Bucher Vaslin di grande qualità. Macchinari di ultima generazione. Il legno delle botti di Alain Fouquet e piccoli tonneau francesi. Per il raccolto del 2015, annata assai generosa, saranno sperimentate 40 barrique”. La cantina si trova ad appena 20 minuti dal centro di Firenze, circondata da un attrezzato complesso ippico (l’equitazione è un’altra passione di famiglia). Giampaolo Bruni mi accoglie con un gran sorriso e illustra con orgoglio i punti di forza del suo progetto. È un imprenditore affermato, sa il fatto suo, è lieto di raccontarsi. “Abbiamo vini molto potenti – spiega – che hanno bisogno di un affinamento importante. Servono almeno tre anni; prima non possiamo andare sul mercato. Vinifichiamo le singole uve in purezza. Il blend si
fa solo al momento dell’imbottigliamento. Siamo alla ricerca dell’equilibrio: dedizione lenta e accurata per far crescere al meglio il carattere dei nostri vini. La media produttiva è di 80 mila bottiglie, con un potenziale di120 mila bottiglie. La vendemmia del 2015 è stata particolarmente abbondante, quindi il potenziale potrebbero essere di 150 mila”.

Ci tiene a trasmettere il senso di dedizione e rigore: “lavoriamo tutto al massimo. Si cerca di portare il frutto nel modo migliore nelle cassette, evitando inizi di fermentazione. In cantina si tiene la voce bassa, non si fuma, si garantisce il massimo di pulizia, ogni lunedì si svolge la disinfezione. Qui si lavora seriamente, con condizioni prossime a quelle di una sala operatoria. C’è un impegno continuo alla ricerca della qualità”.

Siamo nei pressi di Prato, città famosa per l’importante tradizione tessile. Bruni rappresenta una perfetta sintesi di questo territorio: da un lato, imprenditore del tessile con il marchio ‘Ilaria’, specializzato in filati e fibre pregiati di alpaca, cachemire, angora, e partner da quarant’anni delle migliori firme della moda italiana; dall’altro, appassionato cultore dell’eredità del Rinascimento. Ma tutto questo a Bruni non bastava.

La scoperta di Piandaccoli e la passione del vino

villa“Mio suocero aveva acquistato nel 1950 la Tenuta di Piandaccoli con la relativa villa, di grande importanza storica: le strutture murarie originarie sono quelle di un convento dell’anno Mille e rimase un edificio religioso fino ai primi dell’Ottocento. Per la famiglia è stata per cinquant’anni una residenza di campagna con una novantina di ettari, alcuni dei quali coltivati a vigneto. Nel tempo, i vigneti sono stati progressivamente trascurati. Mi sembrava davvero un peccato. Quel patrimonio meritava di essere valorizzato e, così, mi offrii per rilevarlo”.

La passione per il vino esisteva da tempo. Probabilmente si era ‘scatenata’ in Francia, in occasione di un viaggio di lavoro. “Il mio agente in loco era il rampollo di una famiglia di industriali tessili. Il padre tirava di scherma alle 5 del mattino e a colazione consumava uovo e limone. Avevano vigne in Borgogna di cui andavano molto fieri. Io parlavo con orgoglio dei nostri vini piemontesi e toscani, ma lui mi guardava con sorrisetto sussiegoso. Mi disse che mi avrebbe fatto assaggiare i suoi vini, che se non mi fossero piaciuti si sarebbe dichiarato sconfitto e me li avrebbe regalati tutti. In caso, contrario però, se mi fossero piaciuti, avrei dovuto pagarglieli tutti. Ovviamente, era uno scherzo. Me li avrebbe offerti senza chiedere nulla in ogni caso, ma sapeva ovviamente di avere in mano dei prodotti eccezionali. Questa piccola vicenda mi toccò profondamente e scatenò in me il desiderio di fare la storia dell’enologia di questa zona e di realizzare un’impresa importante: produrre vini di qualità a partire, però, dai vigneti autoctoni della Toscana. Da qui nasce l’idea di recuperare gli antichi vitigni rinascimentali locali, molti dei quali ormai a rischio di estinzione. Oggi posso dire che il risultato è raggiunto. Siamo partiti soltanto nel 2005, ma tra i nostri prodotti – come si legge in autorevoli guide come quella di Daniele Cernilli – si annoverano alcuni dei Chianti migliori degli ultimi 20 anni”.

Vini del 2000: le nuove frontiere del gusto

piandaccoli_marchioMa torniamo agli inizi dello scorso decennio, quando Bruni cominciava a progettare la sua nuova ‘creatura’. “In primo luogo, dovevamo capire in quale direzione andare. A questo scopo abbiamo chiesto alla Università olandese di Utrecht, dove aveva sede una cattedra specializzata sulla ‘evoluzione del gusto’, di darci una mano. E così una squadra di ricercatori è stata sguinzagliata nei pub per capire quali fossero le possibili tendenze del futuro. Il risultato è stato eccellente, la ricerca ha anticipato molti dei trend di questi anni. In primo luogo, fine della fascinazione per i vitigni internazionali. Fine dei vini troppo strutturati. No deciso all’eccesso di legno in cantina e a quegli aromi terziari che provengono dalla tostatura. No ai vini troppo ‘marmellatosi’ e con tannini troppo pronunciati. Secondo l’Università di Utrecht, i consumatori erano in cerca di vini eleganti, equilibrati, freschi, minerali, di pronta beva”. Insomma, la strada di Piandaccoli era segnata.

Il Rinascimento toscano nel vigneto

Come raggiungere, però, questi obiettivi di prodotto? Bisognava investire sulle uve locali, in alcuni casi scomparse, delle quali mancavano informazioni e immagini. “Le ricerche del professor Bandinelli della Facoltà d’Agraria dell’Università di Firenze ci hanno permesso di recuperare una serie di vitigni autoctoni: ne abbiamo fatti risorgere 16 e ne abbiamo selezionati alcuni per finire nelle nostre bottiglie. Abbiamo registrato la graduale evoluzione vegetativa dei nostri autoctoni, unendo la fase evolutiva all’andamento climatico. Poi abbiamo portato a termine anche la zonazione dei terreni. Anno dopo anno costruiremo una banca dati fondamentale per comprendere le diversità di andamento varietale. Una straordinaria sorpresa: abbiamo ritrovato vitigni estremamente generosi, forse un po’ gracili, ma certamente in grado di conferire eleganza ed equilibrio formidabili al vino”.

I venti ettari di vigneto di Piandaccoli sono oggi dedicati a storici vitigni toscani: Foglia Tonda, Pugnitello, Mammolo, Barsaglina, Colorino e a diversi cloni di Sangiovese. Un progetto che ha radici antiche e lo sguardo rivolto al futuro. Per due ragioni. Da un lato, infatti, i vitigni autoctoni rappresentano la novità del panorama vinicolo toscano. Dall’altro, in tempi in cui serve sempre più specializzarsi e differenziarsi queste novità locali possono ricreare un interesse da parte dei consumatori più curiosi.

 

Un terroir caratteristico

I vigneti di Giampaolo Bruni si trovano a Malmantile, vicino a Lastra a Signa. Qui, nel Miocene, aveva la foce un emissario di un grande ghiacciaio che, nel suo percorso, si portava dietro tutto quello che trovava, mineralizzando i terreni e creando una geologia unica. Ancor oggi si possono vedere i depositi di materiali tipici di questo tipo di conformazione geologica scendendo nei cosiddetti ‘borri’, profonde fenditure vigneti2del terreno che tanto influenzano il microclima di questa porzione di Toscana. “Qui si trovano 6-7 tipi diversi di terreni – spiega Bruni – fatti di ferro, ghiaia, galestro, e i tipici sassi arrotondati. Ogni vigna ha un nome che dipende dal terreno, sono nomi di fantasia, alcuni di famiglia”. Inoltre, queste colline nei dintorni di Firenze sono accarezzate dallo zefiro che contribuisce a creare a sua volta un microclima caratteristico e che conferisce alle uve note aromatiche interessanti.

Non usiamo anticrittogamici, ma pipistrelli che ogni notte mangiano l’equivalente del proprio peso in parassiti. Ginestre e oleandri completano l’impronta biologica della tenuta. La vendemmia è legata al grado di maturazione e al grado zuccherino ed è tutta manuale”, spiega Bruni.

Agli inizi di un percorso

Durante la degustazione nella clubhouse, racconta con fierezza i risultati raggiunti. D’altra parte, per raggiungere l’obiettivo di rivitalizzare i vitigni autoctoni e rilanciare dei vini eleganti, ancorati al Rinascimento, è stata creata, praticamente dal niente, un’azienda all’avanguardia. Forse 10 anni sono ancora troppo pochi per dare dei giudizi definitivi, intanto però si riesce a leggere il carattere di questo imprenditore: idee chiare, intuizione e visione, costanza e disciplina, un piano strategico da rispettare con il massimo rigore, amore per la tradizione ma sguardo rivolto al futuro. Un’impronta precisa nella concezione del lavoro, nella ricerca dell’eccellenza del risultato, nel rispetto della natura e del consumatore. “In giro per il mondo – dice – c’è tanto interesse per una Toscana vitivinicola nuova”. Tutto questo è Piandaccoli, una bella avventura che merita di essere seguita con attenzione.